Un gruppo internazionale di 14 scienziati firmatari, provenienti dalla Germania, Australia, Stati Uniti, Svizzera, Nuova Zelanda, Finlandia e Ruanda, hanno lanciato sulla prestigiosa rivista “Science”, un appello globale, vincolante per tutti, nel quale chiedono un accordo internazionale al fine di vietare, entro il 2040, la produzione di nuova plastica, e nel quale venga ufficialmente consentito soltanto l’uso di quella riciclata. La decisione venne lanciata nel febbraio scorso, nel corso della quinta assemblea generale dell’Unep, l’agenzia ONU che si occupa della protezione ambientale e trova adesso il sostegno degli esperti ricercatori. Secondo l’istanza infatti, occorre un nuovo trattato globale “per coprire l’intero ciclo di vita delle plastiche, dall‘estrazione delle materie prime necessarie per la loro produzione all‘inquinamento ad esse legato“, e che nel contempo incentivi la promozione dell’economia circolare ed il riciclo dei grandi volumi di rifiuti. Sempre secondo l’appello, servirebbe altresì un impulso fattivo legato ad un campagna mondiale di rimozione dei rifiuti di plastica abbandonati nell’ambiente. Nils Simon, uno dei ricercatori tedeschi tra i promotori dell’evento, ribadisce che “l’inquinamento da plastica pone una considerevole minaccia all’ambiente, anche se non ancora pienamente compresa. Affrontare questa sfida richiede un approccio innovativo, che favorisca misure per ridurre la produzione di plastica vergine e comprenda passi ragionevoli verso una economia della plastica sicura e circolare”.I ricercatori avvertono inoltre che l’aumento della nuova plastica da carburanti fossili nel 2050, consumerà il 10- 13 % del budget totale di carbonio disponibile per mantenere l’aumento delle temperature sotto 1,5 gradi dai livelli pre-industriali (come previsto dall’Accordo di Parigi sul clima del 2015). Secondo i sondaggi condotti dalla ONG Tearfund, con gli attuali ritmi, si prevede che nel2050, ben 12 miliardi di tonnellate di plastica finiranno disperse nelle discariche o nell’ambiente. Sempre secondo gli studi condotti dalla stessa agenzia britannica Tearfund in riferimento ai dati pubblicati nel 2020, oltre mezzo milione di tonnellate di inquinamento da plastica, prodotti da 4 colossi mondiali dell’industria del beverage, (Coca Cola, PepsiCo, Nestlè e Unilever), viene destinato verso 6 paesi in invia di sviluppo. Il problema dell’inquinamento da plastica è infatti al centro di un numero speciale di “Science.sciencemag.org” nel quale oltre a ripercorrere una cronistoria delle plastiche ambientali e del loro impatto sociale, economico e ambientale per lo smaltimento, fornisce delle indicazioni per la progettazione della plastica per una bio-economia circolare. E’ stato infatti stimato, che dal 1950 ad oggi siano state prodotte 8 miliardi di tonnellate di plastica, e che nel 2019 siano stati messe in circolazione 368 milioni di tonnellate di plastica vergine provenienti dalle fabbriche. Come inoltre evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, risulta che il 47% dei rifiuti da plastica provenga dagli imballaggi, il 14% dai tessili, il 6% dai trasporti, e che infine il 3% dei rifiuti di vari polimeri finisce in mare per un totale (secondo l’Onu) di 8 milioni di tonnellate l’anno. Gli scienziati quindi auspicano, con un accordo globale, il conseguimento dell’obiettivo prioritario, ossia “mettere fuori legge la produzione di nuova plastica vergine e utilizzare solo quella riciclata”. Il dibattito si rianima dunque, mentre dal giugno scorso è entrata in vigore la Direttiva europea SUP (Single Use Plastic), approvata nel 2019, che vieta gli oggetti di plastica monouso, posate, piatti cannucce, cotton fioc, ecc., fino a esaurimento scorte, dopodiché saranno vietati. Il problema dell’inquinamento delle plastiche è sempre stato sottovalutato dalle comunità e governi, in quanto si tendeva a legarlo principalmente all’inquinamento dei mari e dei rifiuti, ma “la plastica si trova sempre più in tutti i mezzi ambientali, compresi gli ecosistemi terrestri e l’atmosfera, nonché nelle matrici umane, compresi i polmoni e la placenta”. E’ indubbio l’utilità dei materiali plastici, anche ad uso sanitario, ma è altresì fondamentale comprendere quando non sia indispensabile, e soprattutto la possibilità e l’importanza di riciclarla nella maggior parte dei casi.