Ercolano. Cieco entusiasmo e ostile paura sono i soli, inconciliabili, atteggiamenti verso l’innovazione? E soprattutto, quali insegnamenti possiamo trarre dal passato recente per confrontarci con i balzi tecnologici del futuro? Domande aperte che non cercavano risposte univoche, ma che rappresentano uno sforzo per guardare nel nostro futuro prossimo. L’uomo globale nell’arte trova la sua rappresentazione? Questo il concetto protagonista della manifestazione voluta da Derrick de Kerckhove, che ha unito in videoconferenza cinque città, cinque centri di eccellenza (Nizza, Barcellona, Bari, Bilbao, Ercolano) per analizzare e soprattutto promuovere il dibattito su questa nuova dimensione dell’uomo. L’immagine a simbolo dell’essere globale è un corpo fatto di schermi, un corpo collegato, microcosmo in un teatro globale; de Kerckhove entra subito nel vivo di questo discorso e spiega: “Nel 1957, McLuhan diceva che con lo Sputnik l’uomo ha racchiuso il mondo naturale in un contenitore e ha fatto della Terra un’opera d’arte. L’orbita del satellite, che ci contiene tutti, estende l’essere umano nello spazio. Ricchi o poveri, viviamo la globalizzazione e ne siamo parte attraverso i telefoni cellulari e i satelliti. Già da tempo, molte opere d’arte, con o senza l’ausilio delle nuove tecnologie, riflettono questa nuova dimensione del nostro essere. L’arte globale esprime una sensibilità nuova in cui identità, intelligenze e presenze di spirito sono interconnesse, distribuite e multiple”.

“Il concetto di arte globale è frutto dell’uomo diventato ubiquo, che in tempo reale si nutre di scambi immateriali, è un essere senza territorio, con Internet, i cellulari, le realtà virtuali diventa essere globale”.

Le nuove tecnologie rivoluzionano la vita e spesso possono essere considerate nuove forme di arte. A questo proposito il guru canadese, da sei mesi nel Comitato di Direzione di Media Duemila, ricorda l’emozione provata 15 anni fa, quando da Tokyo, in una videoconferenza, ha assistito alla simulazione virtuale in 3D basata sulla tecnologia T-Vision: “Partendo dall’immagine del globo terrestre ho zoomato con il mouse – racconta – e sono sceso nelle strade di Berlino, percorrendole fino a vedere il luogo dove erano gli artisti di Art+Com”.

Questa esperienza ha anticipato StreetView, il sistema lanciato da Google il 30 ottobre scorso e che consente di esplorare da Internet anche le città d’arte italiane, proprio come se si fosse lì.

“Attraverso una finestra virtuale si può vedere in tempo reale l’ora che mostra la famosa torre di Berlino – continua de Kerckhove – Emozionante! Alla limpida visione del futuro si è aggiunta la mia grande emozione scaturita da questo mezzo fantastico. Qualcosa di simile alla emozione della moltitudine che il poeta W. B. Yeats ha indicato per definire come ci si sente quando ci si associa, e ci si identifica con un gran numero di persone anonime e con posti non conosciuti”.

Arte globale, uomo moderno e tecnologia sono dunque elementi indissolubilmente legati: “Un’arte che riflette e promuove un cambio di scala di sensibilità e ci trascina in dimensioni planetarie: siamo tutti globalizzati quando portiamo con noi il nostro cellulare – sottolinea il professore – Oggi stiamo rinascendo in un nuovo tipo di essere, come i bambini nascono in nuovi tipi di ambiente (vedi Media Duemila 259, 260, 261 e 262) sociale e culturale. Parliamo di una condizione transculturale dove ubiquità e simultaneità sono realtà per tutti”. All’inizio del secolo con il futurismo (vedi articolo di Giordano Bruno Guerri nelle pagine precedenti, ndr) è iniziato il momento di rottura con il passato e le tecnologie sono diventate protagoniste anche nell’arte: “Per cominciare possiamo citare l’arte comunicativa e ricordare quando nel 1914 Marinetti usa un telefono in una rappresentazione pre multimediale al Doré Gallery di Londra. Nel 1922 Laszlo Moholy-Nagy mette nei suoi disegni il telefono. Dopo nel 1963 Nam June Paik inizia la sua Electronic Television. Anche Elvis Presley, sebbene molti preferiscano ricordarlo solo come cantante, nel 1973 con il suo spettacolo Aloha dalle Hawaii è stato un precursore dell’arte globale mandando il concerto dal vivo via satellite in tutto il mondo.

Con il progetto delle Arti satellitari (1977), Kit Galloway e Sherrie Rabinowitz inaugurano l’uso della videoconferenza in arte, portando ballerini a danzare insieme in una trasmissione via satellite in tempo reale – o quasi – lungo tutto l’Atlantico. Tutto questo ha contribuito all’istantaneo allargamento della mia interpretazione dello spazio. Arriviamo al 1980 quando Kit e Sherrie ripetono l’esperienza con Hole in Space, una installazione in videoconferenza, molto poetica, che unisce due strade di New York e San Francisco permettendo ai passanti di vedersi e parlare tra loro. Oggi facciamo naturalmente la stessa cosa con Skype”.

Le polemiche sul concetto di arte globale non mancano, c’è chi la condanna come il critico francese Jean-Claude Moineau, che le attribuisce connotazioni negative. Il punto secondo de Kerckhove è: “L’arte sta veramente suggerendoci qualcosa di nuovo sulla vita terrena o è solo al servizio della globalizzazione dell’economia? Nel suo più profondo significato, l’arte globale non ha bisogno di essere commerciale, politica o ideologica, ma deve permettere alla gente di differenti culture di apprezzare e capire che tutti noi apparteniamo allo stesso ambiente”.

Maria Pia Rossignaud

direttore@mediaduemila.it

(Da: Media Duemila n° 263, febbraio 2009)

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