Riflettori puntati sulle start up innovative a Trento, presso EIT Digital, nel corso dell’Italian Innovation Day, in una limpida giornata di metà dicembre.
Dai vari interventi si è disegnata una trama di fondo, che ha tratteggiato un affresco statico della struttura imprenditoriale italiana, per lo più arroccata su paradigmi tradizionali e poco attenta al cambiamento.
Se una nuova rivoluzione industriale deve esserci, allora, deve venire dal basso, dalla ventata di cambiamento portata dalle startup, espressione dell’intuizione di singoli individui o di gruppi di ricercatori.
Un mondo vivace e composto da capitani coraggiosi, quello delle startup che, nel corso dell’incontro di Trento ci è stato raccontato da Marco Bicocchi Pichi, presidente di Italia Startup, l’Associazione crocevia delle imprese innovatrici, degli incubatori e acceleratori, degli stakeholders di un settore trasversale che partecipa alla rivitalizzazione della competitività italiana sui mercati internazionali.
Lui, con un passato di manager e un presente da startupper, l’anno scorso ha raccolto il testimone di Riccardo Donadon, fondatore dell’Associazione che si fa portatrice degli interessi di una categoria vitale per il cambiamento di rotta della talvolta arteriosclerotica struttura industriale nazionale.
Nato a Lugano, ha fatto studi a Torino, fino alla laurea in Economia e Commercio. Ha l’imprenditoria nel sangue e il piglio battagliero del bisnonno, Emilio Bicocchi, allorché la ebbe vinta nella bonifica della Maremma.
Da parte di madre, poi, appartiene alla famiglia proprietaria di un marchio storico della metalmeccanica, prima, e dell’automotive poi, la Diatto, fra i protagonisti dell’imprenditoria italiana a cavallo fra l’800 e il ‘900.
Non fu forse nel 1835 Guglielmo Diatto uno startupper, allorché fondò a Torino una fabbrica di carrozze all’avanguardia per l’epoca, poi evolutasi verso le auto e le vetture ferrotranviarie?
La vita di Marco Bicocchi Pichi ha avuto un prima, quello di manager in multinazionali informatiche e della consulenza strategica, e un dopo, allorché decise di dare spazio alla propria creatività che sentiva repressa.
Lentamente ha maturato l’idea di voler cimentarsi in un percorso tutto suo, diventando imprenditore e business angel, ovvero l’angelo custode di chi a sua volta vuole creare un’azienda.
L’incontro con Riccardo Donadon è stato fondamentale nelle sue scelte di lavoro e di vita. A 48 anni la svolta: il fascino del mercato digitale e dei pionieri che ne stavano avverando le potenzialità gli ha indicato una via nuova per la propria vita. Entrando nei consigli di amministrazione di alcune start up (fra le altre, Alleantia, Nextome, Wib, Condomani), Marco Bicocchi Pichi ha compreso che la strada di una nuova economia italiana era questa. Nel giugno 2015 è stato eletto dal Consiglio Direttivo alla presidenza di Italia Startup per il triennio 2015/2018.
Abbiamo sintetizzato all’osso un itinerario tra managerialità nel lavoro dipendente e autonomo che ha consentito a Bicocchi Pichi un caleidoscopio di competenze. Un patrimonio che lui mette a disposizione degli startupper dalle idee innovative.
“Ad Italia Startup – racconta a Media Duemila, a margine dell’incontro a EIT Digital dell’Italian Innovation Day – contiamo circa 1.900 associati, di cui 500 sono startup nel vero senso della parola.
Ad esse vanno ad aggiungersi grandi aziende interessate al mondo delle startup, incubatori e acceleratori, di cui circa 50 certificati come tali dal Ministero dello Sviluppo Economico, esperienze di co-working e talent garden, abilitatori, ossia organismi che consentano alle start up di avere una vetrina, testate di settore. Per le start up l’iscrizione è gratuita, mentre per gli altri soggetti c’è un tariffario riportato sul nostro sito.”
– Quale è stata la startup italiana di maggior successo, al momento?
“Certamente Yoox, che si occupa di vendita online di beni di lussa, moda e design e che nel 2012 conquistò il Premio Leonardo per l’innovazione. Nata nel 2000 a Milano con un investimento iniziale del Fondo di venture capital Benchmark Capital di 3 miliardi di lire, a cui negli anni se ne sono aggiunti altri, da molti anni macina utili e giro d’affari. Federico Marchetti, ravennate, ha avuto un’intuizione vincente.”
– Quali sono i passi per diventare startup di successo?
“Occorre percorrere le tre fasi classiche: il ‘solution problem fit’ ovvero che il prodotto risolva davvero un problema percepito dal mercato; la creazione di un mercato per esso “solution market fit”, e, infine, il decollo è assicurato dalla presenza di ricavi e profitti “crescita”.
Solo così siamo in presenza di una start up in grado di avere un orizzonte operativo.”
– Vi è un pilgrim father di questo settore, in Italia?
“Certamente. Si chiama Elserino Piol, un vero visionario, promotore, fra gli altri dei Fondi Kiwi 1 e 2.
Fra le sue ‘creature’, Venere.com, il sito di prenotazioni alberghiere online ‘coetaneo’ di Yoox, nato da 4 allora giovani studenti romani e poi ceduto per centinaia di milioni di euro ad una multinazionale del settore.
Fu Piol a promuovere il primo convegno sul Venture Capital e a credere nel digitale. Avrebbero dovuto farlo Ministro dello Sviluppo economico. Agli inizi del nostro secolo in Italia non si è presa granché sul serio la rivoluzione digitale, considerandola più che altro una moda.
E, invece, i risultati, in cui Piol ebbe fede, sono andati ben al di là delle previsioni.”
– Potete definirvi la Confindustria delle startup?
“Sì e no. Sì, perché rappresentiamo la voce delle start up presso le istituzioni, promuovendone le esigenze; no, perché non abbiamo un taglio sindacale. Ad esempio, abbiamo stilato un paper con altre 6 associazione del settore, richiedendo una serie di emendamenti alla Legge di Stabilità.
L’accelerazione imposta dai recenti fatti politici non ha consentito che essi venissero discussi e inseriti, ma non disperiamo che in corsa sia possibile che i nostri suggerimenti vengano presi in considerazione.
D’altronde il Ministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda, non è cambiato né, malgrado il susseguirsi di quattro Governi, sono mutati i due funzionari che sono nostri interlocutori presso la Direzione generale per le PMI, Stefano Firpo e Mattia Corbetta, che hanno approfondita conoscenza delle nostre problematiche e dialogano con noi mostrando grande apertura di vedute.
– Fra le 500 startup associate, quali possono vantare i risultati migliori?
Il raggiungimento del successo è segnato dal passaggio da startup ad impresa innovativa tout court con l’esito della cosiddetta “exit” ovvero la quotazione o l’acquisizione. Per le 500 iscritte non si è ancora avverato questo cambiamento, ma alcune hanno funding importanti, che ne lasciano presagire il successo, 10 milioni di euro provenienti da fondi venture capital italiani ma anche internazionali.
Ad esempio, Musement.com ha raccolto prima 5 e poi 10 milioni di dollari: si occupa di guidare quotidianamente turisti, ma anche abitanti di una città attraverso manifestazioni d’arte, musei, tour e attrazioni, spettacoli e concerti, food and wine, sport e avventura, eventi sportivi. Il suo slogan è “le più belle esperienze da vivere in tutto il mondo.”
Altra promettente esperienza è quella di TAG Talent Garden che ha recentemente raccolto altri 12 milioni di euro.
Interessante pure l’iniziativa BeMyEyes, utilizzata per monitorare se le politiche commerciali delle grandi aziende, con scontistiche dentro e fuori fattura, vengono rispettate dai loro clienti, ossia i gruppi della grande distribuzione.
Faccio un esempio: se un grande produttore di acqua minerale fa sconti speciali a una catena di supermercati ed essa non ne fa fruire il consumatore finale, secondo gli accordi sui tempi e modalità di applicazione finora era necessario utilizzare società che inviano rilevatori nei punti vendita. Invece, con BeMyEyes è possibile avere degli ispettori ‘onorari’, reclutati su FB, che, grazie a foto scattate col telefonino e geolocalizzate, informano l’azienda dei prezzi praticati al dettaglio, delle promozioni, delle cosiddette “esposizioni preferenziali” ovvero dell’evidenza dei prodotti sugli scaffali. Naturalmente, i rilevatori – studenti, casalinghe, consumatori ‘normali’ – ricevono un piccolo compenso per la loro collaborazione, si tratta di un vantaggio per le marche che ricevono informazioni tempestive e con una copertura più ampia e per chi svolge un “lavoretto” semplice (assai diverso ad esempio dalla consegna di cibi a domicilio).
– Fra le startup che si associano a Startup Italia, vi sono più neo imprenditori o neo imprenditrici?
“Le aziende al femminile sono ancora troppo poche, posso quantificarle intorno al 10%. Ad esempio, la napoletana Paola Marzario fondatrice del Brand of Ferrari che è anche nel Consiglio Direttivo di Italia Startup, Orange Fiber, l’azienda che ha creato il filato dagli scarti dell’industria agrumicola, ha per fondatrici Adriana Santonocito ed Enrica Arena; Mary Franzese, anche lei napoletana, è impegnata come Chief Marketing Officer nella diffusione di Neuronguard, il collare portatile per preservare dalle conseguenze del danno cerebrale acuto inventato dal giovane anestesista modenese Enrico Giuliani. Un dispositivo portatile che salverà tante persone dalla morte o da gravi danni cerebrali permanenti.”