Questo articolo segue il primo su: “Blockchain: #genesi #prospettive di un fenomeno rivoluzionario”.
Oltre le ragioni ideologiche che hanno sostenuto la realizzazione di un’infrastruttura distribuita, del tutto slegata dai vincoli imposti da qualsivoglia sistema centralizzato,
la Blockchain è stata progettata, come detto, per certificare l’assoluta autenticità di ogni informazione in essa transata.
Per mantenere fede a tale assunto, la caratteristica essenziale su cui essa si fonda è la sicurezza e pertanto i dati che circolano in rete, sono blindati in un sofisticatissimo sistema crittografico.
L’ingegnosa combinazione tra chiavi pubbliche e private, costituite da stringhe alfanumeriche di 26 o 35 caratteri, permette sì la libera circolazione dei dati ma, la loro decriptazione, esclusivamente al proprietario dell’informazione.
Altro assunto per la certezza del dato, certificato in Blockchain, è rappresentato dalla sua immutabilità, vale a dire che, una volta immesso nella rete, durante il percorso per la validazione, esso non può più essere modificato.
L’impossibilità di cambiare il contenuto delle informazioni, è un elemento di fondamentale valenza perché, in tal modo, tale tecnologia può assicurare per sempre la validità di quanto in essa inscritto.
Infatti, nessun tentativo di manomissione e/o errore di registrazione può verificarsi al suo interno e, se un singolo nodo della catena può essere hackerato, l’attacco risulterà comunque inefficace ai fini della transazione e validazione del dato.
L’impraticabilità della violazione scaturisce non solo dal gran numero di nodi che compone la rete (decine di migliaia), ma anche dalla loro dislocazione, essendo le postazioni sparse in modo del tutto anonimo, in ogni angolo del mondo tecnologizzato.
Per ottenere la certificazione di un’informazione, è necessario che il 50+1% dei partecipanti alla Blockchain dia il consenso e, considerata la quantità dei nodi è evidente che, tentare di forzare il procedimento di validazione, è impresa impossibile.
Per rispettare tutte le premesse, la Blockchain deve essere pubblica o permissionless, il che equivale a dire realmente distribuita e con un quantitativo notevole di nodi a garanzia dell’integrità di tutto il processo.
Purtroppo però, con l’evidenza delle potenzialità che tale protocollo ha mostrato, anche ben al di là della cryptocurrency, il termine Blockchain attualmente viene spesso utilizzato con finalità di mero marketing, svilendo così la sua essenza dirompente.
Esiste infatti un altro tipo di blockchain, la permissioned, che a quella autentica ha usurpato il nome, privata e quindi non esente da ingerenze, che si basa su un numero esiguo di nodi.
Evidenziare con estrema chiarezza la differenza tra Blockchain pubblica e la pseudo, è fondamentale, in virtù dei benefici che dalla permissionless la comunità può trarre, mentre la permissioned, con le sue criticità, nulla di nuovo o vantaggioso è in grado di offrire per il progresso sociale.