Non è vero ma ci credo… dalla bufala alla post verità. Essere culturalmente carrozzati serve.

Chi le conosce le evita. Anche alle bufale via social si attaglia lo slogan coniato anni fa per l’AIDS. Non che la carta stampata o i tg ne siano esenti, però. In quest’epoca di sovrinformazione, di assedio di news e opinioni mescolate fra loro selvaggiamente, tutti, ma proprio tutti, dal direttore del New York Times al vecchietto non nativo digitale che naviga su FB da dilettante allo sbaraglio (lui di più), possiamo cadere nella trappola di una bufala, spesso usata come arma di dis-istruzione di massa.
Un convegno svoltosi martedì 29 novembre alla Camera dei Deputati, “Non è vero ma ci credo – Vita, morte e miracoli di una falsa notizia”, ha focalizzato un fenomeno che ormai imperversa nella nostra società e contribuisce a fare opinione, alimentando, nei casi estremi, una cultura dell’odio.
Non a caso Maurizio Crozza, con le sensibili antenne del comico, ha recentemente aggiunto al suo bouquet di personaggi un modello di odiatore professionale, colui che sparge zizzania e cattiveria nei social, per un mix di invidia sociale e di ansia di giustizialismo.
Ascoltare i relatori che si sono susseguiti, a partire dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini, fatta segno di bufale e stalking a gogo’ nei tre anni e mezzo da cui è in carica, ha portato alla luce un iceberg. In genere, anche frequentando i social, abbiamo la percezione che vi sia una sezione ‘bufale, cavolate, false informazioni’ e taluni hanno una sorta di pilota automatico nell’evitarle. Tutto dipende, però, dall’essersi culturalmente corazzati e molte volte non basta neanche quello.
Molto coraggiosamente, la Presidente della Camera, nei giorni scorsi, ha denunciato, facendo i nomi e cognomi dei suoi persecutori, affinché diventasse un boomerang il ludibrio sociale che essi avevano sparso contro di lei.
Non sempre ciò è possibile; non sempre chi ne è colpito – come nel caso del cyberbullismo – ha gli strumenti per reagire, subisce e soffre.
“L’idea di questo convegno – ha spiegato la PresidenteBoldrini – è nata l’estate scorsa, in occasione del terremoto di Amatrice, allorché nella Rete si rincorsero e amplificarono notizie false, come quelle della magnitudo truccata, della prevedibilità empirica dei terremoti o vennero pubblicate foto fuori contesto. Ciò avveniva con intenti precisi, che non potevano assolversi con l’etichetta della goliardata. Era vera e propria disinformazione, sporca, illegale. Proprio nulla di innocente, quanto un’operazione tesa a gettare discredito, a delegittimare istituzionalmente.”
D’altronde, chi ‘frequenta’ FB, la cui deriva giunge anche la stampa, online o cartacea, in una osmosi continua e inarrestabile, in questi giorni ha assistito a picchi di disinformacjia, anche artatamente istituzionale, in tema di referendum costituzionale.
E, poi, c’è la questione centrale della post-verità, ovvero la deriva manipolatoria che sta imperversando nell’informazione. Con abilità, le redini della regia degli interventi sono state tenute da Paolo Attivissimo, giornalista online e cacciatore di bufale, che, coi tempi che corrono, è diventato un vero e proprio mestiere. Anzi, a nostro avviso, un hoax hunter, ovvero un esperto in debunking, sarebbe utile in ogni redazione di giornale.
Per flashes, riportiamo alcuni fili conduttori del convegno.
La descrizione dei fenomeni accentuatisi negli ultimi decenni, anche grazie all’esistenza di web press e dei social media, con l’aggiunta dell’ingovernabile citizen journalism (non dimentichiamo che Gioacchino Rossini, nel primo atto del suo ‘Barbiere di Siviglia’ faceva cantare a don Basilio “La calunnia è un venticello”) ha impegnato i relatori, che hanno analizzato le responsabilità sociali e individuali del fenomeno di una disinformazione divenuta rischio globale e, talvolta, ai limiti del terrorismo.
Similes cum similibus congregantur, è una frase che s’ispira a Cicerone. Sui social media, in attuazione di ciò, si creano ‘tribù’ fortemente polarizzate, impegnate a inseguire la coerenza della narrazione (l’usurato storytelling), più che la verità dei fatti. Il debunking, quindi, si pone come l’indispensabile resistenza civile contro la menzogna e contro possibili devianze verso un clima di odio generalizzato.
Dunque, che i social media si autoassolvano dalle loro responsabilità sociali, dipingendosi come semplici piattaforme, né più né meno quanto le compagnie telefoniche, è anch’essa una vera e propria bufala.
Qualcosa, però, su questo versante si sta muovendo, tant’è che Laura Boldrini ha preannunciato il suo incontro con i vertici di Facebook.
La direttora del TG2, Ida Colucci ha indicato come antidoto alla diffusione di ‘bufale’ sui media tradizionali l’utilizzo della fonte delle agenzie di stampa, che, attraverso la professionalità dei loro giornalisti, possono verificare la veridicità dei fatti e delle fonti e renderebbero superfluo un ri-controllo.
Per un grande media come un TG nazionale che, in genere, non fuoriesce dall’alveo delle 10 – 12 notizie, ciò può essere pure plausibile; ma anche le agenzie di stampa possono prendere delle cappellate (esempi sono stati citati dopo l’intervento della direttora Colucci); meno tutela hanno gli altri media e, soprattutto, i cittadini contro dei siti d’informazione nati appositamente per seminare bugie, anche semplicemente al fine di monetizzare in clic la curiosità di chi legge, accalappiato dalle balle eclatanti che questi pubblicano. In realtà Google ha avviato una campagna ‘antibufala’, rifiutando di corrispondere compensi a chi usa questi mezzucci per fare cassa. Ma basterà?
Certo non basterà un qualsiasi risarcimento a chi si vede lesa la sua web reputation da barbari digitali.
I temi delle macchine del fango e dell’esigenza di un’ecologia dell’informazione sono stati l’incipit dell’intervento del sociologo dei media digitali Giovanni Boccia Artieri: è lui che ha immediatamente segnalato lo scivolone di una concatenazione di agenzie di stampa riguardo alla notizia, diffusasi dopo l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, secondo la quale il neo inquilino della Casa Bianca voleva eliminare la Statua della Libertà dal suo piedistallo newyorchese per indicare le restrizioni nell’accoglienza degli immigrati che voleva subito adottare. A cascata, molti media hanno riportato l’annuncio, troppo ghiotto e clamoroso per imporre una verifica.
Se, però, le bufale riemergono, è il tempo a giustiziarle: solo la prima volta che si diffuse l’allarme su FB a pagamento, dilagò il panico; ad un bis ci sono stati molti meno gonzi ad abboccare e, anzi, ci sono stati anche debunker volontari per sfatare la falsa informazione.
C’è sempre maggiore sensibilità sociale verso il debunking. Non basta. Boccia Artieri è stato categorico: se diventiamo untori di bufale e FB ne pullula, è colpa sì dei nostri amici; è colpa pure degli algoritmi, ma è anche colpa nostra che… condividiamo gattini (ricordate la bufala dei gattini bonsai, addirittura pre-social, in piena epoca di stampa cartacea?)
Appassionato e memorabile è stato l’intervento del Segretario generale della FNSI, Raffaele Lorusso. Da scolpire sul marmo le sue affermazioni: “Le bufale e la pubblicazione di notizie false sono un elemento di disonore per il giornalismo e non possono essere considerate un elemento costitutivo della professione”. Lorusso ha proseguito: “Chi, come la Fnsi, si batte contro ogni forma di bavaglio, contro ogni intervento di carattere autoritario per comprimere la libertà di espressione e il diritto di cronaca, contro le querele temerarie non può non essere in prima linea in un’azione di contrasto quotidiano alle bufale e alla violenza verbale”. Importante anche la citazione dell’articolo 2 della legge del 1963 istitutiva dell’ordine dei giornalisti. Sono parole scritte da Aldo Moro e Guido Gonella sulla libertà di informazione che sembrano ancora fresche d’inchiostro, quando richiamano la «tutela della personalità altrui», l’«obbligo inderogabile della verità sostanziale dei fatti», i «doveri di lealtà e buona fede» e l’«obbligo di rettifica».
Riprendendo l’appello della Presidente Boldrini contro il linguaggio dell’odio che sta dilagando, Lorusso ha affermato che “la nostra prossima battaglia – ha sottolineato – sarà contro l’hate speech, il linguaggio dell’odio, la porteremo avanti insieme con i colleghi della Carta di Roma, da sempre in prima linea su questo tema: promuoveremo un’iniziativa con le organizzazioni internazionali dei giornalisti da celebrare a Roma in occasione del sessantesimo anniversario della firma dei trattati europei”.
Il Segretario generale della Fnsi ha ricordato che “le notizie false sono spesso l’anticamera del linguaggio dell’odio. Tutto questo non ha niente a che vedere con la libertà di espressione e con l’articolo 21 della Costituzione. I giornalisti hanno il dovere della verità e del rispetto della dignità delle persone. Pretendere il rispetto dei doveri – ha detto ancora Lorusso – significa ridare dignità e decoro alla professione e rafforzare le battaglie per la libertà di espressione e contro qualsiasi forma di bavaglio.
Per essere credibili e riacquistare autorevolezza nell’opinione pubblica bisogna isolare e sanzionare chi diffonde falsità e alimenta il linguaggio dell’odio: avevamo proposto per questo l’istituzione del Giurì per la lealtà dell’informazione, ma c’è chi ha lavorato per affossarlo”.
E’ poi seguita una rassegna delle bufale su carta stampata e giornali on line (in particolare fra i principali giornali italiani) ad opera di Luca Sofri, direttore de ‘Il Post’.
Walter Quattrociocchi, direttore del Laboratorio computational social science Imt di Lucca, ha illustrato una serie di indagini fatte dal suo pool di lavoro, risultati che lo hanno fatto anche intervistare dai media americani in occasione delle recenti presidenziali.
I loro studi sulla polarizzazione per gruppi sui social media ha provato che l’atteggiamento di odio dilagante, con tesi preconfezionate, volte a tacciare di stupidità i non omologati, ha influito sulla campagna elettorale USA.
“E’ necessario promuovere una cultura dell’umiltà, non continuare a sparare a zero contro i tuoi non-sodali, asserendo che sono stupidi – ha detto Quattrociocchi – Occorre restaurare i ponti di comunicazione, anche con il sostegno dei giornalisti che devono rendersi conto di essere, a volte involontariamente, fonti di polarizzazione. Purtroppo, ormai ci siamo ridotti a comunicare con gli altri solo per prevaricarli e per avere ragione”.

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Annamaria Barbato Ricci
Annamaria Barbato Ricci è una stimata e nota giornalista italiana, free lance e già capo-ufficio stampa alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero dei Trasporti e consulente nello staff di Presidenza dell’UNICEF. E' stata coordinatrice e co-autrice della trilogia “Radici Nocerine: la Storia al servizio del Futuro”, e ideatrice de Le Italiane, un libro che racconta 150 anni di Italia al femminile.