Il Brasile ha un nuovo presidente eletto: un ‘cavallo di ritorno’, Luiz Inacio da Silva, Lula per tutti, già due volte presidente, leader sindacale. Ma il presidente in carica, Jair Messias Bolsonaro, pur battuto al ballottaggio di domenica 30 ottobre, non riconosce la sconfitta, anche se accetta di dare il via al processo di transizione del potere.
La stampa internazionale ha così presentato l’esito delle elezioni brasiliane: “Il ritorno della sinistra al potere e un trionfo personale per Lula, dopo le accuse di corruzione che l’avevano portato in prigione per 580 giorni, prima di essere scagionato… Lula ha avuto più suffragi di qualsiasi altro candidato presidenziale nella storia del Brasile, battendo il proprio record del 2006…”.
Con la sua vittoria, Lula, 76 anni, un’icona della sinistra continentale e mondiale, che vuole difendere la democrazia, salvare la foresta amazzonica e portare giustizia sociale, ha completato un cammino stupefacente e che appariva, a un certo punto, inimmaginabile, dal potere alla prigione e di nuovo al potere; e ha pure messo fine, in linea di principio, alla turbolenta esperienza governativa d’un ex militare autoritario, omofobo, negazionista.
Al ballottaggio, l’anziano leader ha avuto il 50,9% dei voti, con quasi 60.350.000 suffragi, mentre Bolsonaro, 67 anni, è arrivato al 49,1%, con oltre 58.200.000 suffragi. Lula, che aveva già chiuso avanti il primo turno, domenica 2 ottobre, si è imposto in 13 Stati e Bolsonaro in 14.
Fra i due, un distacco di poco più di due milioni di voti in un Paese enorme: oltre 210 milioni di abitanti, il quinto al Mondo per estensione e per popolazione, politicamente e socialmente spaccato. Lo scrutinio è stato intenso e drammatico: Bolsonaro è partito avanti e c’è rimasto a lungo; solo quando i due terzi delle schede erano state scrutinate, Lula lo ha superato e s’è installato al comando.
Del resto, che la partita fosse serrata lo si sapeva: nell’ultimo sondaggio pre-ballottaggio, Lula era davanti a Bolsonaro nelle intenzioni di voto 49 a 45%, ma l’inerzia della vigilia vedeva il presidente in carica in rimonta e lo sfidante in calo; e i rilevamenti avevano già evidenziato la tendenza a sottostimare il sostegno a Bolsonaro.
Fra i primi leader internazionali a congratularsi con Lula, il presidente Usa Joe Biden, che intende “lavorare insieme” al presidente neo-eletto “per portare avanti la cooperazione” tra Stati Uniti e Brasile. La vittoria di Lula allarga il ‘club’ di esponenti della sinistra che, in America latina, hanno democraticamente estromesso dal potere figure di destra, controtendenza rispetto a quanto avviene altrove nel Mondo.
L’ambiguità di Bolsonaro e le proteste dei suoi sostenitori
Nella sua prima sortita pubblica dopo la proclamazione dei risultati, martedì, Bolsonaro, che è stato il primo presidente brasiliano a non riuscire a essere rieletto, non ha concesso la vittoria al suo rivale, mentre i suoi seguaci, in tutto il Paese, inscenano manifestazioni di protesta e bloccano il traffico.
C’è un clima di tensione, in un Brasile polarizzato tra le pulsioni autoritarie di Bolsonaro e le percezioni libertarie di Lula. E non è assolutamente chiaro come la situazione possa evolvere di qui all’insediamento di Lula, previsto a gennaio. Bolsonaro pare chiaramente ispirarsi all’ex presidente Usa Donald Trump, che non ha mai riconosciuto di essere stato battuto da Joe Biden nelle presidenziali 2020, nonostante nessuna Corte di Giustizia abbia mai avallato le sue accuse di frodi e brogli.
Subito dopo avere parlato ai giornalisti, il presidente in esercizio s’è recato al Tribunale supremo elettorale. Nella sua conferenza stampa, Bolsonaro s’è mostrato nella pianezza dei suoi poteri, nonostante gli stia per cedere al suo rivale: “Il nostro sogno continua, più vivo che mai – ha detto -… Siamo per ordine e progresso… Sono stato sempre etichettato come antidemocratico, pur muovendomi dentro la Costituzione…”, cui intende “continuare ad obbedire”.
Per Bruno Boghossian, editorialista della Folha, uno dei media brasiliani più influenti, “Bolsonaro non ha mostrato alcuna intenzione di condannare il golpismo e non ha chiesto ai suoi sostenitori di riconoscere la sconfitta elettorale. Il presidente … voleva mantenere impegnata la sua base e ridurre i danni dell’uscita dal potere. E non ha sconfessato quanti chiedono un intervento militare per impedire l’insediamento” di Lula. “Anzi, al contrario, ha misurato le parole per delegittimare la vittoria del suo avversario quando ha affermato che i blocchi stradali sono il risultato di ‘indignazione e sentimento di ingiustizia’ rispetto al processo elettorale”.
E, infatti, i gruppi bolsonaristi ne hanno ricavato l’indicazione di proseguire le proteste, perché il presidente “non ha mai detto che non dobbiamo manifestare”: “Il messaggio è che le proteste devono essere pacifiche senza bloccare la circolazione”.
Conosciuto l’esito del ballottaggio, le autorità di Brasilia hanno chiuso il viale principale della capitale nel timore che i camionisti pro Bolsonaro potessero invaderlo e hanno pure presidiato l’ingresso dell’Explanada de los Ministerios, il viale che passa davanti ai palazzi del potere, compreso il Tribunale federale e la Corte superiore elettorale.
Camionisti e attivisti ‘bolsonaristi’ hanno bloccato autostrade in almeno 16 Stati, tra cui l’arteria più importante del Paese, che collega Rio de Janeiro a San Paolo, in un Paese dove il trasporto merci avviene tutto su gomma. Ci sono pure stati episodi di violenza: a Belo Horizonte, nello Stato del Minas Gerais, un sostenitore di Bolsonaro, frustrato dall’esito del ballottaggio, ha sparato uccidendo un uomo di 28 anni e ferendo altre quattro persone, tra cui un bambino di 12.
Pur se le dimostrazioni di forza non sono state appoggiate da Bolsonaro in modo esplicito, i blocchi hanno avuto il sostegno della deputata Carla Zambelli, una dei parlamentari più vicini al presidente e al suo entourage, dove pure si ammette che “non ci sono elementi per contestare il successo di Lula”.
Il quotidiano Folha de Sao Paulo osserva che Bolsonaro è il primo presidente brasiliano che non è riuscito a farsi rieleggere, come era invece accaduto nel 1997 per Fernando Henrique Cardoso e successivamente per lo stesso Lula, nel 2006, e per Dilma Rousseff, nel 2014. Ma il giornale aggiunge che, pur sconfitto, “il presidente può essere già ritenuto automaticamente un pre-candidato a succedere a Lula nel 2026, visto che il bolsonarismo s’è consolidato in tutto il Paese”.
AAA, alleati cercansi (e perdonsi)
L’incertezza e un’ondata di speculazioni politiche si sono subito intrecciate a Brasilia dopo il ballottaggio. Secondo l’ANSA, il presidente Bolsonaro avrebbe immediatamente perso il sostegno di buona parte dei suoi alleati, nella coalizione conosciuta come il Centrao.
Pragmatici, e opportunisti, elementi del Centrao sembrano più propensi a costruire ponti verso la futura Amministrazione piuttosto che rimanere ‘incastrati’ in un governo che ha due mesi di vita. In questa direzione pare andare il presidente della Camera Arthur Lira, alleato di Bolsonaro che ha riconosciuto il risultato elettorale, così come ha fatto il leader del Senato, Rodrigo Pacheco.
La presa di distanze del Centrao dal presidente era già iniziata prima del ballottaggio, quando Bolsonaro aveva evocato l’ipotesi di posticipare le elezioni. Di fronte a questa proposta, i ministri del Centrao hanno preferito adottare un profilo basso e lasciare filtrare attraverso i media il disaccordo su eventuali modifiche del calendario.
Il presidente ha poi seguito lo spoglio dei voti assieme al candidato alla vice-presidenza, generale Walter Souza Braga Netto, rifiutandosi di parlare con i ministri del Centrao. Netto è un esponente dell’ala dura del bolsonarismo.
Che cosa aspetta Lula, in un Paese spaccato
Il 1 gennaio 2023 il Brasile avrà dunque un nuovo – e vecchio – presidente, ma le sfide che attendono l’ex sindacalista sono diverse, sia interne che internazionali, con una società polarizzata e divisa. Patrizia Antonini, corrispondente dell’ANSA dal Brasile, ci descrive così la scena e le prospettive del presidente eletto Luiz Inacio Lula da Silva.
Il Paese esce dalle urne spaccato, esausto dopo una campagna elettorale durata due mesi, la più polarizzata dalla dittatura. “E’ una vittoria della democrazia”, ha detto Lula, salutando quanti hanno accolto il risultato con fuochi d’artificio, grida di gioia, lacrime e caroselli in auto.
Una rivincita per Lula, dopo dodici anni di assenza forzata dalla scena politica, quando l’inchiesta Lava Jato, la Mani Pulite brasiliana lo travolse facendolo pure finire in carcere per 18 mesi.
Nei due mesi spesi a convincere i brasiliani battendo le piazze del colosso sudamericano da nord a sud, l’ex operaio divenuto presidente ha costantemente chiesto di fare prevalere un modello progressista del Paese, di riportarlo nell’orbita delle relazioni internazionali (“Ora è più isolato di Cuba”), di riaccendere l’attenzione sugli indigenti (“33 milioni soffrono la fame”), di arrestarne lo sterminio e lo smantellamento delle foreste dell’Amazzonia.
Dal primo gennaio 2023, data d’avvio del nuovo mandato, starà a Lula pacificare il Paese, dove il bolsonarismo ha ormai raggiunto i gangli della società. I due mesi da qui ad allora non s’annunciano facili: l timore di molti è che il presidente uscente contesti il risultato o comunque getti benzina sul fuoco, incendiando le piazze, in una riedizione di quanto già visto con Trump e con la folla di facinorosi che invase il Campidoglio di Washington il 6 gennaio 2021.
D’altra parte non sarebbe la prima volta che nel gigante sudamericano i risultati elettorali sono messi in discussione. Accadde anche a Dilma Roussef, compagna di partito di Lula, nell’ottobre 2014: il suo avversario, il conservatore Aecio Neves, contestò la sua vittoria al secondo turno, avanzando il sospetto di frodi e manipolazioni.
L’ex capitano dell’Esercito nei due mesi di campagna elettorale si è scagliato senza tregua contro il Tribunale superiore elettorale e la sua guida, il giudice Alexandre de Moraes, mettendo in dubbio la trasparenza e la legittimità dell’organismo democratico. Nella fase di transizione, inoltre, il presidente uscente potrebbe varare misure con effetto immediato, come la liberalizzazione della vendita delle armi, aumentando i rischi di violenza politica.
Tutte preoccupazioni che non hanno però frenato i festeggiamenti dei sostenitori di Lula, per quella che il New York Times e numerosi osservatori politici definiscono una vittoria per l’Amazzonia depredata, per i popoli indigeni umiliati, per le fasce più povere, per tutti quelli che nei quattro anni dell’Amministrazione Bolsonaro non si sono mai identificati con il suo progetto basato su Dio, Patria e famiglia. E, come Biden, si sono congratulati con Lula i leader progressisti dell’America Latina, dal colombiano Gustavo Petro all’argentino Alberto Fernandez, così come hanno salutato con gioia e ottimismo il ritorno di Lula il francese Emmanuel Macron e lo spagnolo Pedro Sanchez.