Intervista a Carlo Perrone (Enpa/Fieg) su voto normativa europea Copyright

Martedì 26 marzo il Parlamento Europeo ha approvato la normativa sul diritto d’autore on-line compiendo un importante primo passo verso il pieno riconoscimento della proprietà intellettuale in rete. Molte le associazioni e gli enti che hanno promosso la riforma e ne hanno sostenuta l’approvazione nel corso degli ultimi mesi di acceso dibattito. Tra questi spicca l’Enpa (Associazione europea degli editori) che da sempre si batte affinché, soprattutto in campo giornalistico, il lavoro dei creatori di contenuti sia riconosciuto adeguatamente, anche a livello economico. Abbiamo intervistato Carlo Perrone, presidente dell’Enpa nonché membro della dirigenza Fieg.
Siete soddisfatti dell’approvazione della normativa?
Certo, riteniamo che sia una conquista fondamentale per la tutela del lavoro intellettuale e creativo in tutto il continente, come Associazione di Editori, ma anche da cittadini europei, riteniamo che sia una vittoria importante per la tutela della cultura e di alcuni comparti che, con lo sviluppo del digitale, stavano scontando molto la mancanza di regolamentazione.
Non crede che, rispetto alla proposta iniziale, la normativa sia stata ammorbidita un po’ troppo?
Il testo che si è votato ieri è il frutto di un compromesso e di un lavoro durato molti mesi, è normale che alla fine si giunga a una mediazione ma ci tengo a ribadire il forte valore (sia simbolico sia effettivo) della giornata di ieri. Nel mondo digitale che spesso appare come una “terra di nessuno”, mancava uno strumento che consentisse a chi produce e investe di tutelarsi di fronte alla predominanza delle grandi piattaforme. Non nascondo che avremmo voluto un testo più preciso su alcuni punti, ad esempio sul computo delle parole che si possono citare nel rilanciare le notizie, ma sono sicuro che in fase attuativa queste lacune verranno colmate.
D’altronde, è strano che su internet non valgano ancora le regole normali che si applicano al resto del mercato. Se compro un libro o un quotidiano lo pago, se voglio ascoltare un album o un brano anche… a cosa imputa questa differenza d’impostazione?
Di sicuro c’è una difficoltà pratica, per copiare un giornale avrei bisogno di macchinari, tempo, personale e mezzi di diffusione che nella realtà è molto difficile mettere in campo. Quasi impossibile su larga scala. Nel web, invece, con un minimo di competenze e pochi click posso copiare illegalmente non solo uno, ma tutti i quotidiani di un Paese e diffonderli nel giro di pochi minuti. Va da sé che questo scarto è sostanziale e ha potuto determinare una diffusione così elevata di contenuti pirata o di copie non autorizzate.
A tale proposito non crede che questo provvedimento arrivi un po’ in ritardo?
Il digitale è appena agli inizi, anche se a noi sembra già un mondo sviluppatissimo dobbiamo entrare nell’ottica che i cambiamenti della rete viaggiano a una velocità difficilmente prevedibile. I legislatori, giocoforza, hanno dei tempi più lenti e non possono correre in parallelo, anche perché molte trasformazioni hanno effetto su un raggio più ampio dell’immediato. A questo si aggiunga che determinati settori, come l’informazione, hanno subito cambiamenti strutturali dettati anche da fattori esterni (le fotocamere sugli smartphone, l’internet portatile) e quindi hanno perso la loro natura univoca. Insomma, non è scontato arrivare a un risultato come quello del 26 marzo e, difatti, noi stiamo lottando da anni affinché venisse riconosciuto. Inoltre, ci sono stati come la Francia che stanno già discutendo una legge nazionale per attuare la direttiva europea e sono sicuro che, in seguito a una presa di posizione forte come quella del governo di Parigi, anche gli altri si accoderanno a stretto giro.
Ma concentrandoci ancora su questo tema, non crede che gli editori stiano facendo ancora poco per proteggersi dalla pirateria? Mi riferisco, ad esempio, a dei sistemi per evitare che le proprie pagine siano copiate o rilanciate senza permesso così come fa Netflix (che impedisce persino di scattare screenshot dalle proprie pagine, ma per farlo investe quasi dieci miliardi all’anno in sistemi di protezione dei propri contenuti, ndr). Perché i giornali o i produttori di contenuti non si dotano di sistemi simili? È soltanto una questione economica o c’è ancora scarsa attenzione?
Il fatto è, come dicevamo prima, che tali procedimenti necessitano tempo e aggiustamenti continui. Credo che tutti ormai abbiano capito l’importanza di difendersi dalla pirateria e ognuno stia cercando di attuare le strategie più efficaci possibili: i giornali, ad esempio, stanno virando sempre più verso il modello anglosassone, spostando la maggior parte dei contenuti nella versione a pagamento del portale. Altri stanno attuando forme di “open-wall” o di club di lettura oltre ad abbonamenti settorializzati. Nessuno sottovaluta il problema, è solo che si tratta spesso di una lotta impari. Per ogni pagina che diffonde contenuti illegalmente chiusa ne aprono altre, per fortuna questa nuova normativa ci dà degli strumenti in più per contrastarle.
Come risponde a Wikipedia che ha fatto una campagna molto attiva contro l’approvazione della normativa?
Non capisco davvero l’atteggiamento che hanno tenuto in questi mesi. Fin dal principio la riforma non si intendeva indirizzata né a Wikipedia né ai portali enciclopedici. Anzi, noi intendiamo tutelare piattaforme del genere e, nella pratica, la normativa non intacca in nessun modo la loro azione o la loro diffusione.
I vertici della piattaforma adducono come motivazione principale per la loro opposizione il fatto che nella normativa si parla di siti con “fini commerciali”, invece si sarebbe dovuto parlare di “scopi di lucro”, visto che tutti i portali on-line hanno attività commerciali. D’altronde sembra che non solo Wikipedia ma anche le altre grandi piattaforme in questo momento sentano la pressione dei governi e degli organi politici sovranazionali.
Si è passati da un periodo nel quale sembrava che fossero le OTT a dettare le regole della rete a un’attenzione maggiore dei legislatori. Ciò può essere considerato solo un fattore positivo, in quanto la presa di coscienza dell’importanza della cultura, e della tutela della stessa, non è affatto un discorso subalterno. Pensi al nostro Paese, dove la creatività ha così tanta importanza sia a livello culturale sia economico.
Infatti, come giudica la presa di posizione del governo sul voto dell’Europarlamento?
Siamo dispiaciuti del fatto che il governo non abbia sposato la nostra lotta ma confidiamo che con il tempo queste visioni differenti potranno appianarsi, nell’interesse della cultura e del lavoro dei tanti professionisti che, anche in Italia, oggi possono rallegrarsi di una norma giusta e necessaria.

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Sabato Angieri
Laureato in “letteratura europea” presso l’università “La Sapienza”di Roma è giornalista freelance e traduttore editoriale, ha collaborato a diversi progetti culturali e artistici come autore e scrittore. Attualmente collabora con Lonely Planet come autore e con Elliot edizioni.