Roma. Una straordinaria esecuzione di uno dei pezzi più visionari della musica di Stockhausen, ma anche una delle più impegnative sfide tecnologiche finora affrontate dall’arte digitale in ambito musicale. Questo è stato, la mattina del 18 gennaio 2009, l’evento – per molti versi storico – messo in scena nei cieli di Roma da una coproduzione fra Musica per Roma e l’Istituzione Universitaria dei Concerti nell’ambito del Festival delle Scienze che anno dopo anno rinnova sorprendentemente il suo successo all’Auditorium della capitale. Il “quartetto degli elicotteri”, composto tra il 1991 e il 1992, “è l’epitome – come ha scritto Guido Barbieri – della sterminata ambizione di Stockhausen di riprodurre all’interno delle proprie opere la struttura dell’elemento che secondo il suo autore le ha generate: l’Universo. Ogni parte di ciascuna opera corrisponde a uno degli stati evolutivi attraverso i quali l’universo fisico, per via di continue espansioni, si è costituito: dal nucleo di materia originario fino all’incalcolabile sistema delle galassie e dei mondi invisibili”.

Tutti i media hanno diffusamente parlato dell’esecuzione del quartetto d’archi di Irvine Arditti che ha interpretato, per la prima volta in Italia il complicato sogno di Karlheinz Stockhausen trascritto nella partitura dell’, che fa parte della colossale opera Das Licht (La luce), 29 ore di durata, mai eseguita per intero e che costò al musicista tedesco ben 27 anni di lavoro. Ed era giusto così. Ma in pochissimi hanno parlato del ruolo – pure previsto da Stockhausen – svolto dal “cerimoniere” (interpretato magistralmente a Roma dal matematico Piergiorgio Odifreddi) e del regista del suono, al quale Stockhausen ha affidato il ruolo di restituire agli spettatori in sala la magia del “suono celeste”, questo curioso mix tra note di violino e rumore di pale d’elicottero in rotazione vorticosa.

A Roma il regista del suono è stato Alvise Vidolin, pioniere della musica informatica, interprete di Live Electronics, autore di importanti lavori di carattere scientifico e divulgativo, chiamato spesso a tenere conferenze sui rapporti tra musica e tecnologia. Vidolin, che ha compiuto a Padova i suoi primi studi scientifici e musicali, ha collaborato in varie occasioni con la Biennale di Venezia ed è uno dei punti di riferimento del Centro di Sonologia Computazionale (CSC) dell’Università di Padova, avendo anche partecipato alla sua fondazione. Sempre a Padova Guidolin svolge attività didattica al Corso di Sistemi di Elaborazione per la musica della Facoltà di Ingegneria. Ma soprattutto Vidolin è co-fondatore dell’Associazione di Informatica Musicale Italiana (AIMI).

Si deve moltissimo a lui se domenica 18 gennaio, all’atterraggio degli elicotteri – dopo 21 minuti, 37 secondi e 8 decimi di esecuzione (così prevede la minuziosa partitura del più estroso e visionario musicista del Novecento) – la Sala Sinopoli dell’Auditorium, con il tutto esaurito anche nei posti in piedi, è esplosa in un caloroso applauso per il violinista Irvine Arditti e il suo quartetto. Qualche musicologo forse avrà storto il naso perché il livello del suono della viola, sul primo elicottero, era leggermente più basso rispetto a quello dei violini, ma – come ha spiegato Odifreddi – era praticamente impossibile eseguire una taratura perfetta, nei pochi secondi iniziali, tra fonti così diverse e provenienti da luoghi così lontani.

Dettagli, in fondo. Quello che conta è che, anche grazie a Vidolin, la musica è arrivata in tutta la sua pienezza al pubblico che sedeva davanti al megaschermo sul quale scorrevano le riprese a colori dei quattro musicisti concertanti sullo sfondo delle immagini in bianco e nero degli elicotteri in volo tra la Cavea e i “gusci” delle sale del grandioso Auditorium di Renzo Piano.

Mai tanto pubblico a un concerto di Stockhausen, compositore geniale ma difficile, reso però immediatamente caro al pubblico proprio dalla spumeggiante presentazione del “Cerimoniere” Odifreddi che ne ha ricordato, con aneddoti, le frequentazioni non solo con l’informatica e la musica orientale, ma anche con le intuizioni matematiche di Fibonacci e Chomsky.

Purtroppo non c’era più l’autore, Stockhausen, morto a 79 anni, nel dicembre 2007, a stringere le mani ad Arditti, che lo aveva perseguitato per anni con la richiesta di una partitura per un quartetto d’archi che il musicista tedesco aveva sempre rifiutato. A dare una mano ad Arditti è però provvidenzialmente arrivato un sogno: quattro musicisti in aria, sugli elicotteri. Un sogno fatto da Stockhausen poco dopo aver ricevuto una cartolina da Amsterdam che gli riproponeva la sfida. La cartolina gliela aveva mandata il suo cocciuto persecutore che a 15 anni si era scoperto ottimo violinista, a 21 aveva messo su il suo quartetto e a 30 aveva cominciato a chiedere a Stockhausen quello che sarebbe diventata la partitura del concerto “impossibile ed utopico”.

E proprio ad Amsterdam, nel giugno del 1995, in una bella giornata di sole con 27 gradi di temperatura, si sarebbe svolta la prima esecuzione mondiale di questo pezzo, come ha ricordato a Roma lo stesso Arditti appena sceso dall’elicottero pilotato da Gianni Bugno, il ciclista che vinse il Giro d’Italia nel 1990 e che fu campione del mondo nel 1991 e le 1992. Ora Bugno fa il pilota per una società di elisoccorso ed ha avuto anche lui a Roma una piccola parte nel successo di quest’opera straordinaria, in cui anche il rumore delle pale dell’elicottero diventa elemento della composizione musicale. Non per nulla – come ha spiegato Odifreddi – in ogni elicottero c’erano tre microfoni: uno per gli archi (violini e viola), uno per i rotori e un terzo per la voce dei musicisti  vestiti di arancio, verde, celeste e cremisi, che intervenivano a tratti strillando – come da partitura di Stockhausen – una serie di numeri in tedesco.

Ma, al di là di questi dettagli tecnici, il “quartetto degli elicotteri”, ha eseguito molto bene i dettami della terza scena immaginata da Stockhausen nel suo Mittwoch aus Licht, il Mercoledì di Luce in cui centinaia di musicisti volanti dialogano con i tre protagonisti (Lucifero, l’arcangelo Michele ed Eva, la prima donna) che suonano i loro strumenti volando ad altezze diverse. “I musicisti all’interno dei quattro elicotteri – ha prescritto Stockhausen – devono seguire il ritmo dei motori e delle pale: sono dunque i piloti ad influenzare il tempo dell’esecuzione”. Una cosa – come si comprende – piuttosto complicata. Ma alla fine, anche grazie alla tecnologia, tutto è filato liscio nell’esecuzione romana dell’Helicopter String Quartet, travolgendo al ritmo del battere delle eliche degli apparecchi in volo, anche le perplessità sulla riuscita del progetto romano che lo stesso Stockhausen nel suo ultimo concerto romano, poco prima di morire nel 2007, aveva manifestato ai vertici di Musica per Roma. “Non ci riuscirete ad eseguirlo”, aveva sentenziato. Caro Stockhausen, ancora una volta noi italiani vi abbiamo smentito.

Cesare Protettì

cesare.protetti@mediaduemila.it

(Da: Media Duemila n° 263, febbraio 2009)

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