Sono state le lobbies, con pratiche scorrette e pressioni mostruose, a spingere il Parlamento europeo a rinviare il dibattito sulle proposte d’aggiornamento delle leggi sul diritto d’autore nell’era digitale. L’affermazione del presidente dell’Assemblea di Strasburgo Antonio Tajani è validata, sui media, da molteplici testimonianze. Nella votazione svoltasi giovedì 5 luglio, il testo che doveva essere messo in discussione ha avuto 318 voti contrari contro 278 a favore e 31 astensioni.
La chiarezza dell’accusa di Tajani contrasta con la laconicità della comunicazione del Parlamento, secondo cui la sessione plenaria “ha respinto il mandato negoziale proposto dalla commissione giuridica il 20 giugno”. Di conseguenza, la posizione del Parlamento sarà discussa, emendata e votata nella prossima plenaria, settembre, sempre a Strasburgo (10-14).
Dopo la votazione, il relatore Axel Voss (Ppe, tedesco) ha detto: “Mi dispiace che la maggioranza non abbia sostenuto la posizione che io e la commissione giuridica abbiamo preparato. Ma ciò fa parte del processo democratico. Torneremo sul tema a settembre con un ulteriore valutazione e cercheremo di rispondere alle preoccupazioni dei cittadini, adeguando le norme sul diritto d’autore all’ambiente digitale”.
Il regolamento del Parlamento europeo prevede che, se almeno il 10% dei deputati si oppone all’avvio di negoziati con il Consiglio sulla base del testo votato in commissione, si deve procedere a una votazione in seduta plenaria. Martedì, entro la mezzanotte, il numero di deputati necessario aveva presentato le proprie obiezioni al ‘testo Voss’.
La questione centrale è il compenso che spetta al titolare dei diritti di opere intellettuali. Dal 2016, la Commissione europea e il Parlamento europeo discutono d’una proposta di riforma del copyright. Il legislatore europeo ritiene di dovere correggere un vuoto legislativo che consente alle piattaforme che ospitano contenuti caricati dagli utenti (come YouTube) di evitare di pagare una licenza equa per i contenuti creativi (musica, film, libri, spettacoli televisivi), danneggiando l’industria culturale.
Con la stessa riforma, l’Unione vorrebbe tutelare un altro settore messo in difficoltà da Internet, quello dei media, visto che su Internet l’informazione è largamente gratuita e non offre finora, nonostante un pubblico enorme, un modello sostenibile.
Nella ricostruzione di molti media, i grandi del Web sono riusciti a convincere l’opinione pubblica, e soprattutto alcuni suoi rappresentanti a Strasburgo, che la direttiva comporta una tassa a carico degli utenti e avrebbe bloccato la possibilità di linkare i contenuti. Le pressioni sono state esercitate con centinaia di mail e telefonate di elettori contattati grazie ai big data dai lobbisti americani e convinti a contattare i parlamentari per indurli a non approvare il mandato negoziale. Wikipedia s’era auto-oscurata per protesta contro la riforma.
“Negli ultimi giorni gli eurodeputati hanno ricevuto gravi minacce, anche di morte” ha raccontato Udo Bullmann, capogruppo dei Socialisti e Democratici a Strasburgo. “Il mio ufficio è stato messo fuori uso dall’assalto dei lobbisti”, ha detto Tajani in interviste a la Repubblica e Il Messaggero, “che hanno intasato e paralizzato le comunicazioni di posta elettronica. I telefoni erano perennemente occupati”.
Secondo Tajani, gli “eccessi avranno conseguenze”: ci saranno indagini sulle minacce di morte e sulla “diffusione enorme di fake news”, oltre che su “una attività di disinformazione capillare”. Il presidente dell’Assemblea di Strasburgo ha “constatato che partiti populisti come la Lega e il M5S, l’estrema sinistra e i verdi, si sono schierati con le multinazionali del web per far prevalere i ‘no’ ed evitare loro il pagamento dei diritti d’autore”. In gioco, aggiunge Tajani, “non è una generica difesa della libertà”, ma “il predominio di alcune grandi multinazionali” in un settore – l’informazione- della massima importanza nella formazione dell’opinione pubblica.