“Democracy dies in darkness”, ovvero “La democrazia muore nell’oscurità”. È questa la scritta che nelle ultime ore il Washington Postha inserito sulla propria home page del sito del quotidiano statunitense, proprio sotto la testata. Una scelta da molti definita “storica” in un contesto fatto di polemiche contro i giornali, di fake news, di fact checker, di post-verità e di necessità di riscoprire i veri valori del giornalismo.
“È qualcosa che ci diciamo da tempo tra di noi parlando della nostra missione, ed abbiamo pensato che fosse una dichiarazione efficace e concisa che spiega chi siamo”, ha spiegato Kris Coratti, portavoce del Washington Post. Negli Stati Uniti il clima tra il presidente Donald Trump e i media è tesissimo: recentemente il tycoon ha definito i giornali, accusandoli di aver ostacolato la sua campagna elettorale, “un fottuto plotone di esecuzione”.
E se negli Usa i media si difendono e contrattaccano, godendo comunque di un buon favore del pubblico e affidandosi anche a squadre di fact checker che controllano e analizzano tutto ciò che accade su un determinato argomento, in Italia a regnare è la confusione.
L’Osservatorio TuttiMedia, associazione da sempre attenta alle analisi del presente ha scelto come primo incontro del 2017 il tema: “C’è un passato nel nostro futuro? Informazione fra Libertà – Regole – Post Verità e Menzogne”. All’appuntamento in agenda il 9 marzo presso la sede FNSI di Roma (15.00/17.00) hanno aderito esperti del mondo della comunicazione, del giornalismo, delle aziende e della pubblicità. Si discuterà delle tante possibili sfumature dell’informazione. “La tendenza è negare il reale – dice Derrick de Kerckhove che aprirà l’incontro -. Il potere si dimostra, come già in Turchia e negli Stati Uniti, perfettamente capace di negare l’evidenza”.
Pochi giorni fa tra le tendenze del social network Twitter, con migliaia di tweet, c’era l’hashtag #giornalismokiller, lanciato dal leader del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo. Il M5s ha accusato Repubblica, Corriere della Sera e Il Messaggero di aver pubblicato una “fake news”, ovvero la notizia riguardante un messaggio inviato ad agosto 2016 dal vicepresidente della Camera Luigi Di Maio al sindaco di Roma Virginia Raggi.
Secondo quanto riportato dai tre giornali Di Maio avrebbe definito “un servitore dello Stato” Raffaele Marra, l’ex vicecapo di gabinetto di Raggi, poi arrestato per corruzione nel dicembre del 2016. Lo screenshot della conversazione, intercorsa su Whatsapp, sarebbe stato inviato dalla sindaca di Roma a Marra, finendo agli atti dell’indagine della magistratura sull’ex vicecapo di gabinetto e quindi sui giornali. Il problema, di non poco conto, è che Repubblica, Corriere della Sera e Il Messaggero avrebbero riportato il messaggio di Di Maio in maniera incompleta, alterandone il senso.
Senza entrare ulteriormente nel merito dei fatti di cronaca, ecco ciò che si è letto sul blog di Beppe Grillo: “Quattro giornalisti differenti su tre giornali diversi riportano la stessa fake news su Luigi Di Maio. La faccenda è di una gravità inaudita perché quello che hanno scritto è falso, fuorviante e non verificato: perchè le parziali informazioni in loro possesso sono state pubblicate senza compiere tutte le dovute verifiche al fine di uccidere la reputazione di Di Maio (…). Luigi Di Maio sta preparando richieste di risarcimento danni per centinaia di migliaia di euro. Stampa onesta, se ci sei batti un colpo”.
Dopo il lancio di #giornalismokiller, Repubblica ha risposto alle polemiche: “Si è scatenata una campagna d’odio e di insulti contro Repubblica, anche in seguito all’hashtag lanciato da Beppe Grillo. E’ una modalità purtroppo abituale, che spesso rasenta la minaccia, soprattutto quando vengono toccati argomenti politici e giudiziari che coinvolgono il Movimento 5 Stelle”.
Nessuno, ovviamente, può liquidare la questione semplicemente citando la post-verità, il concetto per cui una notizia viene percepita e accettata come vera dal pubblico sulla base di emozioni e sensazioni senza alcuna analisi effettiva sulla veridicità o meno dei fatti.
Anzi, le polemiche tra politica, stampa, elettori e lettori dovrebbero essere approfondite sui piani della sociologia e della metacomunicazione. Su Roma, Raggi e M5s i giornali stanno pagando lo scotto di anni e anni di perdita di credibilità, di contatto con la realtà, di autorevolezza. Hanno capito tardi i cambiamenti. Lo stesso Grillo non molto tempo fa diceva alle folle che non è la libertà d’informazione che stava scomparendo, bensì stavano scomparendo i giornalisti. Così oggi i giornali si ritrovano a fare i conti con la durissima diffidenza di movimenti politici e di cittadini, e con chi spaccia notizie false, bufale o fake news per informazione.
È l’oscurità in cui la democrazia, e con essa il giornalismo, muore. Il pericolo è dietro l’angolo: per scacciarlo bisogna “parlare” con i lettori e gli elettori, informare costantemente e correttamente, spiegare cosa sono i criteri di notiziabilità. Per la buona pace di chi si domanda: perché sempre Roma, Raggi e M5s?