Gianni Di Giovanni

E’ partito mercoledì 3 giugno il World Communication Forum: tre giorni ricchi di incontri e di lavori in cui imprenditori, top manager, comunicatori, planner e opinion leader affrontano i grandi temi legati alla Comunicazione, agli Eventi e alla Sostenibilità. Per capire il mondo che cambia, comprendere le direzioni future e puntare sulla creatività per crescere. Un’importante occasione aperta a pubblico e privato. “Torniamo a immaginare. Il pensiero creativo come leva per lo sviluppo del Paese” è il tema della giornata dedicata alla comunicazione d’impresa e istituzionale. Condotta da Mario Sechi, la plenaria di apertura ha visto protagonisti Gianni Di Giovanni, CEO Agi – Agenzia Giornalistica Italia; Giuseppe Basso, Ceo Cinecittà Studios; Patrizia Carrarini, Direttore Comunicazione Regione Lombardia; Giuseppe Coccon, Direttore Comunicazione Poste Italiane; Cristina Favini, Strategist Manager of Design Logotel; Gian Luca Spitella, Direttore comunicazione Federutility – Federazione delle Imprese Energetiche e Idriche.

Di seguito proponiamo l’intero intervento di Gianni Di Giovanni, Ceo Agi.

Buongiorno a tutti e grazie al World Communication Forum per questo ormai consolidato appuntamento di dibattito tra quei professionisti che, nel mondo dell’industria globalizzata, hanno come impegno contrattuale il preciso dovere di intercettare in futuro, e dimostrare che è possibile progettarlo. I comunicatori.

Mi avevano preparato un lungo e articolato intervento sulla comunicazione di Agi, i prossimi trend di mercato, i benchmark con i competitor, la visione illuminata di Enrico Mattei… E, invece, non vi parlerò di questo. Vorrei partire dal tema che sento più forte, l’urgenza di un progetto. Un tema quanto mai attuale e pressante.

Illustri istituti di ricerca ci segnalano già da alcuni anni una sorta di “impoverimento della società”, e una dimensione individuale sempre più egemone, anche a causa della costante erosione della capacità di dare risposte da parte delle reti tradizionali, quali le istituzioni, il mondo economico, politico, sindacati, per non parlare dei media classici. Come abbiamo sentito dai risultati della nuova ricerca dell’Istituto Piepoli, ancora per il prossimo biennio, le parole chiave di chi si occupa del settore saranno: lavoro, crisi, investimenti.

In questo scenario, in un periodo di crisi come l’attuale, in genere i manager affilano i bisturi e danno inizio ad un brusco lavoro di ristrutturazione. Per carità, ci vuole! Il loro – cioè anche il nostro – obiettivo è incrementare la marginalità e – per dirla in termini di comunicazione corporate – ottimizzare i processi ( cioè tagliare i costi, siano essi costo del lavoro o investimenti per lo sviluppo). Ma questo chiaramente non basta. Competere per il futuro significa competere per creare e dominare, e non inseguire affannosamente, le opportunità emergenti. In questo senso, per quanto sacrosanto sia tagliare i costi per tutelare la marginalità, non può bastare. E d’altronde, l’obiettivo non può essere quello di prendere a riferimento prodotti e progetti di un concorrente più grande e più globale ed imitarne i sistemi, ma deve essere quello di crearsi una propria visione autonoma delle opportunità future e del modo di sfruttarle. Deve essere tornare a immaginare. Usare il pensiero creativo per costruire il proprio sviluppo, che è anche un pezzo dello sviluppo comune.

Del resto, battere sentieri inviolati è molto più gratificante che accontentarsi del benchmarking: non si arriva al futuro per primi lasciando che sia qualcun altro a tracciarne il percorso. Competere per il futuro significa conquistarsi una “quota di opportunità” prima che una quota di mercato. Le opportunità sono il bicchiere mezzo pieno rispetto ai “problemi” (di costi, di lavoro, di mancati investimenti). Certo, la ricerca di alternative, e di opportunità, richiede impegno e una gran quantità di tempo. Ma il progresso, l’energia, il cambiamento, il miglioramento e la semplificazione si basano tutti sulla ricerca di alternative.

Per questo le nostre aziende devono dotarsi di una architettura strategica, un indispensabile anello di congiunzione tra l’oggi e il domani, tra il breve e il lungo termine. Per capire quali competenze iniziare a sviluppare oggi, quali nuovi canali esplorare adesso, quali nuove opportunità di sviluppo sviluppare adesso, per intercettare il futuro.

Nella mia esperienza ho avuto la conferma di come la chiave del successo di un’azienda, di una istituzione o di qualsiasi organizzazione della società civile, sia la capacità di valorizzare i propri talenti. Ma riuscire ad intercettare il talento resta sempre la sfida più difficile; perché al talento si richiede non solo competenza nel saper fare bene le cose, ma soprattutto capacità di sapersi assumere gli impegni, di mantenerli e di portarli a compimento. Non basta essere solo persone capaci, ma conta essere appassionati, appassionati di responsabilità, delle responsabilità che si assumono verso gli altri nel fare bene il proprio mestiere.

La capacità di ognuna delle nostre aziende di fare PROGETTO e dei nostri brand di creare adesione e partecipazione non è più degorabile ed è ciò che ci permetterà, come sistema, di riprenderci in mano il FUTURO del nostro paese e delle nostre aziende. E’ un progetto ambizioso e avvincente la chiave per fornire l’energia di tipo emotivo e intellettuale necessaria per intraprendere il viaggio verso il futuro. E infonde il senso della scoperta e del destino, implica, soprattutto, un risvolto emotivo, in quanto si identifica con l’obiettivo che tutti i collaboratori di un’impresa percepiscono come degno di essere perseguito. Direzione, scoperta, destino: queste sono le chiavi di un progetto vincente di sviluppo.

E così ho pensato che, nel darvi il benvenuto, avrei potuto spendere qualche parola sul concetto di sviluppo e di come perseguire un’organizzazione che anticipi il futuro. Mi trovo ogni tanto a dibattere di questi temi in incontri internazionali e, quando sono l’unico italiano al tavolo, provo una certa soddisfazione nel ricordare che i pilastri della visione del futuro e di un management illuminato non li hanno inventati gli americani e nemmeno gli inglesi, che pure con la Compagnia delle indie si sentono i precursori delle multinazionali di oggi. Le regole per la gestione delle grandi organizzazioni le abbiamo inventate noi, proprio noi, con l’impresa internazionale di maggior successo nella storia del mondo: l’Impero romano. Un Impero durato mille anni, che si estendeva dalla penisola iberica alla Persia, dalla Gran Bretagna al Nilo. Anzi, sono state rinvenute brocche, medaglie e monete romane perfino in Cina e in Vietnam.

Questa millenaria impresa di espansione si basò, tra gli altri, su due principi chiave: Innovazione e Comunicazione.

L’innovazione. Così come le istituzioni se non innovano si inaridiscono, l’apertura di Roma al cambiamento forniva costantemente nuova linfa al suo successo. Le innovazioni introdotte dai romani in tutti i campi, dalle infrastrutture alle tecniche militari, dall’arte alla medicina, sono troppo numerose anche solo per elencarle. Ma persino la finanza innovativa è fiorita nell’impero: a Roma dobbiamo la cambiale (permutatio), la stipula di contratti a termine per le commodities (vendito spei) le prime società per azioni, chiamate partes, vocabolo del quale l’inglese shares è un calco. Da Roma abbiamo anche ereditato un’innovazione meno piacevole: la tassazione organizzata e il diritto tributario. Tant’è vero che la parola inglese levy, tassare, viene dal romano levare, nel senso di alleggerire. Le tasche beninteso. Anche il concetto di moneta unica ci giunge da Roma: in tutto l’Impero circolava il denario, avo del nostro recente euro, perno della stabilità economica dell’Impero.

Ma se l’innovazione era uno dei pilastri del sistema romano, la comunicazione ne costituiva il tirante di sostegno. La comunicazione dei valori di Roma, dei suoi eroi e dei suoi successi era la leva cruciale per la creazione di una cultura condivisa. I romani capivano l’esigenza universale dell’uomo di sentirsi parte di un disegno più ampio. E, insieme, coglievano l’esigenza di rispettare l’identità culturale e territoriale dei popoli sottomessi. Annessioni, dunque, non devastazioni. Addirittura assimilazione biunivoca dei talenti altrui: “Grecia capta ferox victorem cepit”, diceva Orazio per spiegare in 5 parole quel fenomeno straordinario che fu l’aggregazione della Grecia alla potenza di Roma… Altri tempi, sia per la Grecia sia per Roma…

Sta di fatto che gli antichi romani capivano che un’organizzazione non deve solo fare, ma deve raccontare quello che fa in modo che tutti si sentano coinvolti e partecipi. La comunicazione avveniva attraverso i media dell’epoca: l’arte e la letteratura. L’Eneide ha una forte componente di propaganda pro romana e pro Augusto. Le statue dei generali mostrano teste magnifiche, ricciute, sagge e serene. Altro organo di comunicazione erano gli acta diurna, i giornali di 2500 anni fa. Venivano redatti ogni giorno ed esposti in luogo pubblico su tavole imbiancate. Venivano anche copiati, diffusi nelle province e portati alle varie guarnigioni dell’esercito.

Non ultimo, l’Impero comunicava attraverso i momenti di svago. I giochi romani erano un modo di celebrare le vittorie dell’Impero e la sua potenza. La comunicazione – intesa come informazione e propaganda, ma anche come trasparenza – era una leva che i romani usavano con grande efficacia per motivare i cittadini dell’Impero, assieme alla standardizzazione, alla meritocrazia, all’integrazione e all’innovazione.

Bene, gli stessi principi valgono ancora oggi per chiunque si trovi a gestire oggi un’organizzazione complessa. Metterli in pratica non è facile. Richiede applicazione, disciplina, coraggio. Noi italiani, che di quei formidabili romani siamo i discendenti, queste qualità le abbiamo nei nostri cromosomi. In questo senso il Forum della Comunicazione è un’organizzazione che svolge egregiamente il suo lavoro. Il fatto che in così tanti siamo qui oggi è la manifestazione tangibile della volontà di perseguire l’eccellenza.

Einstein diceva che il genio era fatto dall’1% di talento e dal 99% di lavoro. Dobbiamo usare la nostra energia per realizzare il 99% di questo programma: e quel 99% il forum di oggi vi darà tutti gli strumenti per capire come navigare nel mondo professionale della comunicazione. Quell’1% che manca, il talento, lo dobbiamo trovare dentro di noi.

Gianni Di Giovanni

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Gianni Di Giovanni
Giornalista, è amministratore delegato dell'Agi. Laureato in Scienze Politiche all'Università La Sapienza di Roma, dopo una prima esperienza di lavoro nel gruppo Iri, consegue la specializzazione presso la Scuola Superiore di Giornalismo dell’Università Cattolica di Milano, dal 1994 è direttore delle Relazioni Esterne di Stet International e direttore Istitutional Affairs di SMH e Stet International Netherland fino alla nomina, nel 1998, a responsabile della comunicazione di TIM. Da novembre 2000 a dicembre 2006 è stato direttore Relazioni Esterne di Wind. Da gennaio 2006 è in Eni per coordinare il lavoro del dipartimento della comunicazione dell’azienda sparsi in quasi tutto il mondo. È direttore della rivista Oil il magazine, cartaceo e digitale, voluto da Eni che si pone come interlocutore privilegiato rispetto alle tematiche in campo energetico, e del periodico Professione Gestore. Da luglio 2012 è prima presidente poi amministratore delegato dell'agenzia di stampa Agi. È docente presso il Master in Media Relation e Comunicazione d'Impresa dell'Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano e presso il Master in Digital Journalism del Centro Lateranense Alti Studi - CLAS della Pontificia Università Lateranense in Roma. Da settembre 2013 è vicepresidente della categoria agenzie nazionali di stampa della Fieg.