Difficile avere idee chiare sul futuro dei media, credo che questo sia inevitabile, per due ragioni. La prima è che la confusione impera. Da qualche tempo le cose avvengono in modi imprevisti. Solo cinque anni fa non sarebbe stato possibile prevedere per esempio il boom di Twitter, di Facebook, delle applicazioni per iPhone. Non c’era nemmeno YouTube, né l’iPhone stesso. Per non parlare di Obama. Ci sono poi fallimenti mascherati da “tendenze”: da Second Life a Knol di Google, a Cuil, alla realtà virtuale, alla fine della telefonia, ecc… cose anche interessanti ma che di certo non sono diventate “il futuro di” … niente. La seconda ragione di cautela nell’azzardare previsioni è che la rivoluzione che sta travolgendo da alcuni anni il mondo dei media giornalistici ha coinvolto variabili davvero impensabili e impensate. Ad esempio quella che le nuove tecnologie hanno sovvertito nel mondo della fruizione della musica e della sua industria, era in fondo abbastanza prevedibile fin dai primi passi di Napster. Per quello che riguarda i giornali, gli scenari mostrano invece una caotica nuvola di sentimenti: panico da catastrofe economica, terrore del domani e scoppiettio continuo di nuove forme di diffusione delle informazioni. Trovarne il bandolo è divenuta questione da miliardi di euro. Con questo non voglio togliere ogni senso a questa discussione – le discussioni sono proficue e fertili anche se non si concludono con sintesi e soluzioni. Sono percorsi, e non dovrebbero servire sempre a capire cosa sarà il futuro, ma dovrebbero servire sempre a costruirlo: il futuro, secondo me, è quello che costruiamo noi, e non quello che accade per caso. I media dunque saranno quel che sapremo farne, noi o qualcun altro. Lasciando il mondo dei media e guardando all’Italia penso che il nostro Paese meriti maggiori chances di partecipazione all’innovazione tecnologica e culturale di quelle in cui lo hanno rintanato le precarietà che hanno governato la nostra cultura negli ultimi decenni. E credo che ci siano gigantesche opportunità di miglioramento in questo senso. La qualità dell’informazione e del giornalismo in Italia è oggi più che mai sofferente, i media tradizionali accusano la Rete di devastare la qualità dell
’informazione diffondendo notizie infondate, inaffidabili, false, non verificate, o anche saccheggiando del lavoro prodotto da altri, per ottenerne guadagni senza merito. Ognuna di queste accuse ha una sua parte di fondamento. Ma la cosa che dobbiamo capire è se siano le nuove tecnologie a introdurre queste deviazioni nel sistema dell’informazione, o se esse non siano già solidamente insediate nei media tradizionali. Infine credo che l’informazione del futuro non andrà tanto dove la portano le nuove tecnologie, ma dove la portiamo noi. In più, malgrado una diffusione di iniziative in Rete abbastanza precoce, in Italia la qualità e la forza di queste iniziative sono rimaste piuttosto primitive. La colpa è un po’ di tutti, dei blogger e dei produttori di contenuti in Rete, che non hanno mai fatto un salto di qualità limitandosi a racconti personali, alle arguzie di vita quotidiana ed alle opinioni dilettantesche. È anche colpa di quel settore di professionisti – giornalisti, opinionisti, accademici, esperti in generale – che negli Stati Uniti hanno investito nei blog e nella Rete per tempo, mettendosi in concorrenza con le altre fonti di informazione. Lo scenario più plausibile rispetto all’informazione dei prossimi anni è quello di un affollamento di fonti e canali di informazione di generi molto diversi. Un simile disordine disorienta chi è abituato alle semplificazioni in categorie – giornali, radio, Tv; fatti separati dalle opinioni; eccetera – ma ci si sta già abituando: il disordine e l’accavallamento di contenuti non sono negativi di per sé. In questo disordine, la selezione naturale eliminerà molti produttori di informazione consolidati. Sono certo che i più forti si adatteranno e sopravvivranno, perché non c’è dubbio che il buon giornalismo è un’arte straordinaria e di cui c’è tuttora grande richiesta, se esso si dispone a collaborare per cambiare il mondo e non solo ad esserne cambiato. Le tecnologie – dai readers al mobile fino all’Apple Tablet, di cui ora si parla insistentemente anche per quel che significherà nella distribuzione realmente innovativa di news – modificheranno senz’altro (lo hanno già fatto) il nostro rapporto con le informazioni, offrendo anche grandi opportunità per reinvestire in grandi qualità giornalistiche. Ciò che può salvare il giornalismo, qualunque forma esso assuma, è il ricorso a un concetto semplice che si chiama etica. L’etica del fare le cose bene. L’etica della correttezza. L’etica della qualità. L’etica della verità. Insomma l’etica che tanto predicava il visionario Giovanni Giovannini.