Con una recente sentenza, la Corte di Giustizia dell’Ue ha piantato un paletto (in più) nel recinto delle norme a tutela del diritto d’autore online. Con qualche distinguo.
Attenzione!, ché il discorso è un po’ contorto. Il verdetto dei giudici di Lussemburgo stabilisce che a un fornitore di accesso a Internet può essere richiesto di impedire agli abbonati di collegarsi a un sito che viola il diritto d’autore. Ciò, tuttavia, deve avvenire nel rispetto del giusto equilibrio tra i diritti fondamentali coinvolti: una valutazione di per sé scivolosa.
La sentenza parte da un contenzioso austriaco, ma ovviamente vale in tutta l’Unione e ha ricadute italiane. Innocenzo Genna, esperto di regolamentazione europea in tema di telecomunicazioni e Internet, membro del board di Euroispa (l’associazione europea degli Isp, Internet service providers), sostiene su EurActiv.it che la Corte doveva entrare di più nello specifico della materia, senza lasciare spazio alle interpretazioni delle singole giurisprudenze nazionali.
Di fatto, la sentenza potrebbe frenare, in Italia, la prassi con cui la magistratura stabilisce il blocco di siti per ragioni di pirateria (soprattutto nella diffusione di film online), mentre in altri Paesi – specie Germania ed Austria, dove il blocco di siti è finora stato meno frequente – la sentenza potrebbe incrementare il ricorso a misure del genere.
In Italia, l’anno scorso l’AgCom aveva emanato un regolamento che aveva già acceso il dibattito. Le norme prevedono che, qualora il sito su cui sono disponibili opere digitali che violano il copyright sia ospitato da un server ubicato nel territorio nazionale, l’AgCom ordini ai prestatori di servizi che svolgono attività di hosting di provvedere alla rimozione selettiva delle opere contestate.
In caso di violazioni del diritto d’autore ‘massicce’, l’Authority può ordinare ai prestatori di servizi di provvedere, oltre che alla rimozione selettiva, alla disabilitazione dell’accesso alle opere.
L’istanza su cui i giudici europei si sono espressi partiva da società di produzione cinematografica che detengono i diritti di film come ‘Il nastro bianco’, Palma d’Oro a Cannes nel 2009. La Wega e la Constantin Film Verleih hanno citato in giudizio il sito web Kino.to, che distribuiva illegalmente ‘Il nastro bianco’ e altre pellicole.
Se EurActiv.it, Alessandra Flora ricostruisce così la vicenda. I giudici austriaci hanno vietato all’Upc Telekabel Wien, un Isp, di concedere agli abbonati l’accesso a Kino.to. L’Upc Telekabel s’è però opposta, perché, all’epoca dei fatti, non aveva rapporti commerciali con i gestori di Kino.to e perché non sarebbe mai stato provato che i suoi abbonati abbiano agito illecitamente. Il provider, inoltre, sosteneva che le misure di blocco avrebbero potuto essere aggirate e, infine, che sarebbero state “eccessivamente onerose”.
La Corte suprema austriaca ha chiesto alla Corte di Giustizia dell’Ue di interpretare la direttiva dell’Unione sul diritto d’autore, che consente ai titolari di diritti di chiedere un provvedimento inibitorio nei confronti degli intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi. L’Upc Telekabel riteneva di non potere essere considerata un intermediario.
Per i giudici europei, un soggetto come Kino.to che mette a disposizione del pubblico su un sito contenuti senza l’accordo del titolare di diritti utilizza i servizi di un’Isp. E quest’ultimo – nel caso Upc Telekabel – è l’intermediario i cui servizi sono usati per infrangere il diritto d’autore.
La direttiva vigente non richiede un rapporto particolare tra il soggetto che commette la violazione del diritto d’autore e l’intermediario nei confronti del quale viene emessa un’ingiunzione. E non è necessario neppure provare che gli abbonati del fornitore d’accesso consultino davvero i materiali protetti accessibili sul sito del terzo, poiché la direttiva dispone che le misure che gli Stati membri sono tenuti ad adottare per conformarsi ad essa hanno l’obiettivo non solo di fare cessare, ma anche di prevenire le violazioni di copyright.
La Corte ha pertanto ritenuto che l’ingiunzione sia lecita, a condizione però che le misure adottate dal fornitore di accesso non privino gli utenti di Internet della libertà di informazione. E la Corte ha rimandato alle autorità e ai giudici nazionali di verificare se tali condizioni siano soddisfatte.
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