DI           SARA               ALESI

Le Quote di Genere nei CdA sono Legge grazie alla battaglia portata avanti dall’On. Lella Golfo, Presidente della Fondazione Marisa Bellisario (Pdl) e l’On. Alessia Mosca (PD), Membro della Camera dei Deputati nella XVI Legislazione. È stato infatti approvato alla Camera con larghissima maggioranza il testo congiunto che prevede l’inserimento delle quote di genere nei CdA delle società. Media Duemila ha intervistato una delle due protagoniste della battaglia.

Onorevole Lella Golfo, grazie a lei e alla condivisione dell’onorevole Alessia Mosca, è stato approvato di recente il testo congiunto che prevede l’inserimento delle quote di genere nei CdA delle società. Che cosa significa?

Si tratta della prima legge sulle quote di genere in Italia! A partire dal 2012 le società quotate e controllate dovranno avere nel loro CdA e nel loro collegio sindacale almeno il 20% di donne, per arrivare al 30% nel 2015. La legge è transitoria e durerà per tre mandati consecutivi. Le aziende che non si adegueranno avranno prima un richiamo da parte della Consob, successivamente una multa da 100mila e 1 milione di euro fino alla decadenza dell’intero CdA.
Le società quotate in Borsa sono 272 e attualmente negli organi sociali ci sono 815 consiglieri, di cui 2646 uomini (il 94%!) e 170 donne, ovvero poco più del 6%. Nei collegi sindacali – ugualmente interessati dalla norma – su 817 Sindaci, 762 sono uomini e 55 donne, appena il 7%. Ebbene, con questa legge entro il 2015 entreranno 675 consiglieri e 190 sindaci donne ! Per non parlare delle 3380 società controllate dalle Pubbliche amministrazioni (48 in Calabria!) dove la presenza di donne abbiamo stimato non arrivi al 4% e dove dovranno o sedere 6300 donne nei CdA 3600 nei collegi sindacali. Sono numeri che parlano da soli. Non è un caso che in tutti i convegni, gli incontri che sto tenendo in giro per l’Italia io continui a parlare di “legge epocale”. Da una parte consentiamo l’ingresso nel circuito economico del Paese di un “esercito” di talenti, altrimenti tagliati fuori dal mercato solo perché donne. Dall’altra, con questa legge abbiamo aperto un dibattito importante nel Paese e abbiamo rotto un tabù come quello della partecipazione femminile alla gestione del potere economico.

Perché secondo lei c’è ancora tanta resistenza a far entrare le donne in posizioni di comando?

In primo luogo di tratta di un problema culturale. Poi va considerato che per ogni posto occupato da una donna, un uomo deve lasciare la propria poltrona. In fondo è una specie di legge della sopravvivenza: gli uomini sono portati ad arroccarsi nel fortino dei loro privilegi e delle loro rendite di posizione. Solo che tenere in panchina il 50% dei talenti del nostro Paese significa fare un gran danno alla nostra economia e minare la nostra competitività. Nelle aziende italiane solo il 6,7% di top executive è donna e nell’ultimo anno il 90% delle aziende con un fatturato oltre i 10 milioni che hanno rinnovato i loro vertici hanno scelto esclusivamente uomini. Eppure il 60% dei laureati italiani è donna e nel MbA hanno superato il 30%. Come si spiega che poi siano così poche a raggiungere i vertici? Ecco perché sono necessari strumenti legislativi per aprire i cancelli alle donne e non si tratta solo d’ingiustizia di genere, di mancata parità. Secondo uno studio della Banca d’Italia, un aumento del tasso di occupazione femminile al 60% comporterebbe un aumento del Pil del 9,2%. Un recente studio McKinsey dimostra che le aziende con maggiore presenza femminile al top hanno risultati (Ebit) superiori del 56% e tutti gli economisti sostengono che l’equilibrio di genere, specie ai vertici, amplifica la produttività. Ecco perché le quote servono non solo alle donne ma al Paese tutto che da questa legge trarrà innegabili vantaggi.

Luca Pagni nel suo blog su Repubblica.it ha pubblicato di recente un articolo dal titolo: “Sfortunato il Paese che ha bisogno delle quote rosa”, in cui avanza dubbi sulla legge che imporrebbe alle aziende di avere un numero obbligatorio di donne nei consigli di amministrazione, perché in tal modo aumenterebbero i casi di “raccomandazioni” e assunzioni per conoscenze. Cosa ribatte a chi la pensa in questo modo?

Che il nostro Paese ha un innegabile deficit di meritocrazia e le donne pagano lo scotto di scelte che avvengono per cooptazione e non per competenze. E non credo sia un caso che quando in un posto si accede per concorso le donne siano la maggioranza. Le quote, che sono temporanee, sono la medicina necessaria per curare la malattia di questo Paese: una cultura maschilista, miope di fronte al contributo che le donne possono e devono dare allo sviluppo. Quanti uomini occupano posti di potere senza avere le competenze adeguate? Quanti “figli di”, “amici di” e raccomandati uomini ci sono? Il punto è: se sono uomini va bene, se donne no? Credo invece che sia necessario tornare a guardare al merito delle persone, uomini o donne che siano.
Peccato che le stesse critiche non sono state mosse quando le quote sono state approvate in Spagna o Francia e i giornali italiani inneggiavano alla modernità di quelle democrazie. È una vita che la Norvegia, dove le quote sono legge dal 2004, viene indicata come esempio da seguire e oggi che l’Italia si può dire all’avanguardia in Europa i media criticano il meccanismo delle quote. Non sarà perché ad approvare questa legge epocale è stato un Governo di centrodestra e non uno di centrosinistra?

Quale il vostro prossimo passo?

In primo luogo monitorare che la legge venga ottemperata, soprattutto nel grande bacino delle società controllate. Poi c’è il nostro progetto Mille Curricula Eccellenti, lanciato pochi mesi fa per dimostrare che le donne con i requisiti per entrare in un CdA ci sono e sono tante. In pochi mesi in oltre duemila professioniste d’eccellenza hanno raccolto la nostra sfida e metteremo quest’immenso patrimonio di talenti a disposizione delle aziende pubbliche e private. Infine ci sono i nostri progetti internazionali da portare avanti, la XII Edizione di Donne, Economie e Potere – il nostro seminario internazionale dedicati ai temi d’attualità – a fine ottobre. Senza dimenticare che ho ancora tre proposte di legge già presentate da portare avanti e qualche idea in cantiere per la prossima “svolta”, per esempio la proposta di legge per mettere fine al cattivo “costume” di sedere in un numero imprecisato di CdA!

Sara Alesi

media2000@tin.it

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