Intervenire sui prezzi dell’energia, promuovere l’efficienza energetica, creare normative adatte e fornire incentivi, puntare all’inserimento dell’accesso universale all’energia tra gli Obiettivi di sviluppo del Millennio per gli anni successivi al 2015. Queste sono alcune delle proposte avanzate dagli esperti di settore nel workshop “Energy Poverty and Access to Energy in Developing Countries”, organizzato proprio in vista di Rio+20 dalla Fondazione Enrico Mattei. Oil ha voluto ascoltare le diverse voci di un mondo – quello dello Sviluppo sostenibile – che guarda a Rio come a un momento di svolta. A patto che ci siano i finanziamenti, che si coinvolgano le imprese e, soprattutto, che la politica intervenga: quella mondiale per avviare una roadmap strategica, e quella locale per definire un proprio programma di pianificazione energetica. Perché il problema dell’accesso all’energia è lo stesso per tutti, ma la ricetta cambia da un Paese all’altro.

“Decisiva l’efficienza energetica”
Josuè Tanaka, managing director della BERS (Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo)

L’economicità dell’accesso all’energia, e il modo per misurarla e raggiungerla, è il cuore del problema per Josuè Tanaka, direttore amministrativo della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, che opera soprattutto in Paesi a medio reddito. “Ciò che abbiamo analizzato è l’impatto di nuove fonti di energia, più pulite e rinnovabili, sulle tariffe e, di conseguenza la loro influenza sull’economicità”, misurata attraverso un indicatore elaborato dalla BERS che mette in relazione “l’evoluzione futura delle tariffe” e una stima dei “redditi futuri dei nuclei famigliari”. I lavori della Banca mostrano che “in molti casi, a causa di fattori controproducenti nel settore energetico, come ad esempio le sovvenzioni sui combustibili per il riscaldamento, le fonti di energia rinnovabile non avranno alcun impatto positivo sulle tariffe nel breve e nel medio periodo. È necessario rendersi conto di questo se vogliamo evitare che il passaggio a un’economia energetica diversificata possa ridurre l’impatto a livello di costi sugli strati sociali con redditi più bassi”. La Banca Europea ha studiato quanto avvenuto in tre Paesi. “Innanzitutto, abbiamo notato che a causa dell’attuale struttura dei costi, sia legata alle fonti di energia rinnovabile, sia ai carburanti fossili, spesso sovvenzionati, si registra un aumento dei costi dell’approvvigionamento e, di conseguenza, un aumento delle tariffe. Inoltre abbiamo riscontrato che l’efficienza energetica gioca un ruolo decisivo”. Quando “i Paesi associano le energie rinnovabili a politiche di efficienza energetica aggressive, è possibile compensare l’aumento delle tariffe legato all’introduzione di fonti di energia rinnovabile”. Si tratta di una conclusione “interessante”, perché significa che le politiche “combinate” sono in grado di assorbire gli aumenti a breve termine delle tariffe. Infine, “la situazione varia a seconda della peculiare disponibilità energetica di ogni singolo Paese”. Ad esempio, “i Paesi che hanno un elevato potenziale a livello idrico appaiono più flessibili quando si tratta di raggiungere obiettivi importanti in materia di energie rinnovabili, se confrontati con Paesi che non hanno a disposizione tale potenziale”. Quanto ai risultati relativi alla misurazione dell’economicità delle diverse fonti di energia è emerso che, per avvantaggiare i settori sociali con redditi ridotti, il rapporto tra tariffe future e redditi futuri non deve superare la soglia del 10 percento. L’Organizzazione ha studiato in particolare il caso dell’Europa Orientale, dove “in alcuni casi i nuclei famigliari spendono circa il 25 per cento del proprio reddito solo in energia elettrica, riscaldamento e acqua, un valore piuttosto alto”. Questa parte del mondo ha una notevole capacità energetica installata, per quanto riguarda le reti dell’energia elettrica, il teleriscaldamento e la capacità industriale. Ma “gran parte di tale capacità è obsoleta. La maggior parte delle tecnologie richiede una revisione e in molti casi una completa riprogettazione”. In termini di efficienza, l’Europa Orientale offre una grande opportunità per risparmiare energia e ridurre le emissioni di CO2.“Abbiamo iniziato affrontando il problema in modo mirato circa sei anni fa; oggi vantiamo un “portafoglio” di circa 500 progetti legati all’efficienza energetica e alle energie rinnovabili, con 9 miliardi di investimenti da parte nostra (su 25 miliardi totali)”. Tra le riforme finanziarie e strutturali necessarie per migliorare l’efficienza energetica e l’impatto delle emissioni di carbonio “esiste una gerarchia per i provvedimenti da adottare”. In primo luogo è “necessario intervenire sui prezzi dell’energia, attraverso “una qualche forma di carbon pricing, mediante tasse o meccanismi di mercato”. Se si eliminano le sovvenzioni per l’energia proveniente dai combustibili fossili e se si comincia a prendere in considerazione l’impatto delle emissioni di carbonio, “tutte le questioni relative agli incentivi saranno in larga parte sistemate” ma, “data l’attuale situazione economica, finanziaria e lo stallo dei negoziati, è probabile che queste questioni richiederanno un certo numero di anni per essere risolte”. Anche nell’attuale contesto, difficile, ci sono diversi provvedimenti che è possibile adottare: normativi, come la definizione di standard che favoriscano l’efficienza energetica e informativi, perché “la gente non comprende che il risparmio energetico significa risparmio finanziario. Stiamo lavorando molto in questa direzione ed è straordinario assistere alle reazioni degli amministratori delegati quando comprendono che il risparmio energetico è collegato ai loro profitti finanziari e quando si rendono conto di quali sono i tassi di rendimento legati a questo tipo d’investimento”.


“I mercati, oggi, non possono risolvere tutto da soli”
Shonali Pachauri, Deputy Program Leader of the Population and Climate Change (PCC) allo IIASA

“Fornire accesso a combustibili puliti per la cottura dei cibi rappresenta una sfida molto più difficile rispetto alla fornitura di accessi all’energia elettrica”. Shonali Pachauri, Deputy Program Leader of the Population and Climate Change (PCC) allo IIASA evidenzia che gli accessi all’energia elettrica e ai combustibili puliti per la cottura dei cibi hanno avuto andamenti abbastanza diversi tra loro dagli anni Settanta in avanti. Per quanto riguarda l’accesso all’energia elettrica“possiamo constatare un discreto successo dagli anni Settanta in poi”. E se, fra gli anni Settanta e Novanta, “la crescita demografica superava ancora la crescita di nuove connessioni per quasi tutti i Paesi tranne la Cina, a partire dagli anni Novanta in molti Paesi si sia assistito a un andamento opposto. Fanno eccezione le regioni dell’Africa sub sahariana, nelle quali la crescita demografica risulta ancora superiore al numero di nuove connessioni alla rete elettrica”. Tuttavia, nel caso dei combustibili puliti per la cottura dei cibi e il riscaldamento, il quadro non appare così ottimistico. “Sostanzialmente il progresso è stato molto ridotto, in particolare nelle aree rurali dei Paesi in via di sviluppo, dove non riscontriamo quasi nessun cambiamento in termini di dipendenza da combustibili solidi per la cucina, e infatti il numero di persone che dipende da questo tipo di combustibili è cresciuto nel tempo. Tra i fattori più importanti che impediscono il passaggio a combustibili più moderni c’è il fatto che per portare a termine tale transizione i Paesi in via di sviluppo “devono poter essere in grado di sostenere i costi ricorrenti di tali combustibili e anche quelli dei nuovi fornelli necessari per poterli utilizzare”. In sostanza, “è necessaria una combinazione di decisioni politiche che rispondano al problema dei costi ricorrenti e dei costi d’investimento iniziali”. Nel caso dell’energia elettrica “ci sono meno ostacoli”. Quello principale è rappresentato “dai finanziamenti e dall’impegno dei governi”. Un altro problema è che c’è “una grave scarsità di dati” nell’analisi gestionale . E questa è una delle ragioni per cui non viene più effettuata alcuna analisi”. Si tratterebbe “di raccogliere informazioni molto dettagliate a livello di singoli nuclei famigliari in Paesi tra i più poveri al mondo che spesso non hanno i sistemi statistici necessari per ottenere questo tipo di dati in maniera regolare”. Una delle aree principali che necessitano di ulteriore lavoro è quella relativa ai vantaggi derivanti da un accesso migliore all’energia. “Perché se è vero che in un’ottica relativa ci sono state molte valutazioni in merito ai costi e alle forniture, le valutazioni sulle conseguenze delle politiche di accesso all’energia e del miglioramento degli accessi all’energia nel corso degli anni, in termini di vantaggi produttivi, sanitari e di qualità della vita, sono state relativamente poche e devono senz’altro essere prese in maggiore considerazione nel corso delle future ricerche”. 
Per la creazione di un mondo più sostenibile, sono società e governi a svolgere  il ruolo più importante. “Negli ultimi decenni si è diffusa l’idea che i mercati possano trovare una soluzione a qualsiasi problema, ma oggi, con la crisi finanziaria ed economica, ci si rende conto che i mercati non possono risolvere necessariamente tutto da soli”. In particolare, i governi hanno un ruolo “decisivo in relazione alle normative e alle autorizzazioni. Sono i governi a dover creare le normative adatte, fissare gli obiettivi, fornire incentivi per il settore privato e per le società, così da stimolarle a entrare nel mercato”. Anche le società private svolgono un ruolo decisivo, perché sino ad ora “hanno guardato alle loro attività soltanto attraverso le lenti del profitto economico”. Invece per le società, ora, “è tempo di prendere in considerazione anche le proprie responsabilità sociali  e non tenere conto soltanto della convenienza economica dei progetti, ma anche dei vantaggi sociali e ambientali che possono derivare dalle loro attività”.

“La politica più efficace è quella di avere una politica”
Andrew Scott, ricercatore all’Environment and Forests Overseas Development Institute

Costruire un dibattito che porti all’inserimento dell’accesso universale all’energia tra gli Obiettivi di sviluppo del Millennio per gli anni successivi al 2015. Questo è il percorso che va seguito, secondo Andrew Scott, dell’Environment and Forests Overseas Development Institute, per  conciliare la sostenibilità con l’energia per tutti. “Penso che quest’anno, l’anno internazionale per l’energia sostenibile per tutti voluto dalle Nazioni Unite, si sia assistito a un grande sviluppo del dibattito riguardante l’accesso universale all’energia per 1,3 miliardi di persone che non hanno elettricità e 2,7 miliardi di persone che non hanno accesso a combustibili moderni per la cottura dei cibi. Il dibattito proseguirà ancora, soprattutto perché credo che l’obiettivo principale sia quello di garantire che l’accesso all’energia e ai servizi energetici siano parte degli Obiettivi di sviluppo del Millennio successivi al 2015”. Il processo finalizzato al raggiungimento di tali obiettivi è appena iniziato e “continuerà fino al 2015, ma sta cercando di abbinare due obiettivi in potenziale conflitto”. Il primo è l’accesso universale all’energia, che garantirebbe a tutti coloro che vivono in povertà di avere i mezzi di sostentamento essenziali. Il secondo è la riduzione delle emissioni di gas serra. “L’aumento del consumo di energia, da parte delle popolazioni più povere, può potenzialmente contribuire, sebbene solo in maniera marginale, ad aumentare l’effetto serra. Le due politiche riguardanti l’accesso all’energia e la riduzione delle emissioni di gas serra sono quindi due processi paralleli più che convergenti e io credo che ciò di cui abbiamo bisogno sia un meccanismo che ci consenta di avvicinare questi problemi, entrambi legati a questioni energetiche globali, così da poterli risolvere entrambi”. La domanda allora sorge spontanea: quali sono le politiche più efficaci per garantire l’accesso all’energia per tutti? “Credo che la politica più efficace sia quella di avere una politica. Ci sono molti Paesi che non inseriscono l’accesso all’energia fra i loro obiettivi politici, in relazione sia alle strategie di riduzione della povertà che alle strategie energetiche. I Paesi che hanno ottenuto risultati significativi nel miglioramento dell’accesso ai servizi energetici sono quei Paesi che hanno mostrato, ad alti livelli, la volontà politica di realizzarli; finché i governi dei Paesi del Sud non adotteranno politiche che riguardano l’accesso all’energia, e non solo l’energia in relazione alla crescita economica, non credo che vedremo grandi progressi in questo senso”. Esistono però dei segnali che qualcosa si sta muovendo nella giusta direzione, “attualmente l’aspetto più importante è l’iniziativa riguardante la povertà energetica sostenibile, che sta garantendo la discussione ad alti livelli del problema della povertà energetica e dell’accesso all’energia. E questo rappresenta un cambiamento significativo rispetto al passato”. In questo momento l’attenzione è focalizzata soprattutto sulla promozione di una maggiore efficienza energetica che favorisca a sua volta una maggiore crescita economica,  sul  problema della sicurezza energetica e sui prezzi elevati dei combustibili fossili. “L’accesso all’energia è ancora un aspetto secondario e, invece, è necessario attribuirgli maggiore importanza in modo che diventi un obiettivo di primo piano rispetto agli altri aspetti delle politiche energetiche”. I governi possono fare tanto: prima di tutto “favorire politiche che promuovano le energie rinnovabili, ragionando sul lungo periodo e non solo sul breve periodo, in termini di sostenibilità sia a livello nazionale sia a livello globale. Devono pensare in termini di 30 o 40 anni per passare a un’economia a bassa emissione di carbonio. Le società devono fare lo stesso, in particolare le grandi società. Queste hanno l’obbligo di rispondere non solo delle loro prestazioni a livello finanziario ma anche delle loro prestazioni a livello ambientale”.

“è fondamentale che i Paesi individuino una roadmap strategica”
Mark Howells, responsabile dell’Energy Systems Analysis presso il KTH, Swedish Royal Institute of Technology

Per favorire l’accesso all’energia nei Paesi in via di sviluppo occorre “consentire ai governi di creare i propri programmi di pianificazione energetica”. È quanto sostiene Mark Howells, responsabile dell’Energy Systems Analysis presso il KTH, Swedish Royal Institute of Technology. “Vorrei spronare le persone coinvolte nel progetto Rio+20 a promuovere lo sviluppo di un contesto in cui i Paesi possano lanciare piani energetici nazionali”.
Per lo studioso di origine sudafricana “è assolutamente fondamentale”, per questi Paesi, “individuare una roadmap strategica che indichi come dovrebbe svilupparsi il settore energetico a livello nazionale”. Così come è essenziale che “le persone lavorino a livello locale a progetti locali”. Ma non basta. Anche il controllo da parte del governo è fondamentale perché “non basta creare un bellissimo e grandissimo modello di sviluppo del Paese e presentarsi al governo spiegando come avverrà”.
Ma non esiste una ricetta valida per tutti: “la ‘taglia unica’ non si adatta ad ogni Paese”. Ad esempio in Africa per delineare programmi ad hoc servono strumenti e dati, che non è affatto facile reperire: “Ciò che a mio avviso manca, oltre al tempo per i professionisti di svolgere il proprio lavoro, sono gli strumenti per intraprendere le necessarie valutazioni. Sul fronte dei dati, la quantità di tempo necessario per raccoglierli in modo da svolgere analisi adeguate è enorme. Questo si riscontra ad esempio nei sondaggi svolti nei villaggi, che richiedono moltissimo tempo, e nella mappatura dell’energia rinnovabile”. Le energie rinnovabili sono il futuro per regioni come l’Africa, poiché il continente “sta crescendo più rapidamente rispetto agli altri Paesi del mondo, in termini di PIL, ed è il momento di agire”. Ma il lavoro da fare è ancora tanto: “Abbiamo tracciato una cartina dell’energia e delle risorse rinnovabili per l’Africa – spiega Howells – pensando che sarebbero stati disponibili dati al riguardo, ma non ce ne sono. Abbiamo dedicato molte ore a creare cartine di energia solare, eolica e biomassa, Paese per Paese”. Ma ne vale la pena: “Analizzando alcuni paesi dell’Africa si registrano capacità eoliche di 45 GW, il che significa che esiste vento in quantità maggiore e migliore rispetto a qualsiasi altra zona dell’Europa”. Ma il vento non è l’unica risorsa: “Dall’altra parte del continente la capacità idrica dei corsi fluviali supera i 445 GW, vale a dire che le centrali idriche non necessitano la costruzione di dighe”.
Tuttavia, anche per le energie rinnovabili non esiste una soluzione valida per tutti:“Stiamo svolgendo una ricerca su una piccola isola africana che desidera produrre una serie di biocarburanti per ridurre le importazioni di energia e migliorare la propria sicurezza energetica, ma se crediamo a quello che gli esperti prevedono sul clima, gli abitanti di quest’isoletta dovranno iniziare ad irrigare per mantenere le coltivazioni esistenti e la carenza di acqua è già una realtà. Per procedere occorre desalinizzare l’acqua, con un sostanziale aumento nel consumo elettrico e un incremento delle importazioni di carbone per alimentare le centrali elettriche. Quindi tutti i guadagni che pensano di ottenere mediante le rinnovabili, si prosciugherebbero in un futuro condizionato dal clima. E stiamo parlando di un’isola relativamente ricca: esistono Paesi di gran lunga più poveri che devono riuscire ad analizzare queste problematiche in modo sistematico”.
Se si intendono raggiungere obiettivi di sviluppo “che soddisfino le esigenze energetiche in modo sostenibile, è fondamentale ricordare che molti di questi Paesi presentano realtà diverse, che potrebbero rendere le nostre fantastiche idee assolutamente impraticabili”.

“Il mondo delle imprese è una soluzione”
Filippo Veglio, Consiglio Mondiale delle Imprese per lo Sviluppo Sostenibile (WBCSD)

Il punto di vista delle imprese è molto importante nel percorso verso uno sviluppo sostenibile. A evidenziarlo è Filippo Veglio, del Consiglio Mondiale delle Imprese per lo Sviluppo Sostenibile (WBCSD). “Dal punto di vista del Consiglio Mondiale delle Imprese per lo Sviluppo Sostenibile, il mondo delle imprese rappresenta una soluzione al problema dell’accesso a una fonte di energia pulita, economica e affidabile. In particolare, riteniamo che esistano tre aree di opportunità principali: l’area dell’innovazione del modello di business, l’area riguardante le strutture politiche di sostegno e l’area dei finanziamenti che possono contribuire al ruolo e allo sviluppo di tali soluzioni. Più in generale, riteniamo che per ottenere dei successi in tali aree di opportunità sia necessario appoggiarsi a partnership pubbliche e private, al fine di raggiungere le dimensioni indispensabili per affrontare questa sfida che riguarda centinaia di milioni di persone in tutto il mondo”. Se vogliamo raggiungere l’obiettivo di un accesso universale all’energia, “dovremmo pensare, nel campo della finanza, di ottenere, da oggi al 2030, investimenti per un valore pari a circa 1.000 miliardi di dollari. Ciò significa diversi miliardi di dollari di finanziamenti ogni anno”. Dunque, c’è ancora una lunga strada da percorrere soprattutto “per quanto riguarda la creazione di finanziamenti pubblici e per lo sviluppo che possano sostenere investimenti imprenditoriali tradizionali; c’è inoltre molto da fare per massimizzare l’impatto in quest’area, lavorando su diverse iniziative a livello nazionale e internazionale, governativo e intergovernativo, così da guardare all’ottimizzazione dei finanziamenti pubblici e per lo sviluppo come a un modo per favorire gli investimenti tradizionali o imprenditoriali”. Importante lavorare su una partnership tra pubblico e privato nel settore finanziario, perché “in ultima analisi, si tratta di una riduzione dei rischi in campo politico, tecnico, del mercato valutario, e rischi riguardanti i costi del carbonio; le società attendono che si presenti un livello di rischio adeguato per impegnarsi in questo campo, e qualunque riduzione del rischio, che verrà realizzata in maniera sostenibile, avrà nel lungo periodo l’effetto di attrarre investimenti tradizionali e infine investimenti da parte delle società”. Per il Consiglio Mondiale delle Imprese per lo Sviluppo Sostenibile, “accesso all’energia significa soprattutto offrire un accesso a fonti di energia pulite, affidabili ed economiche. Questa è una sfida che riguarda circa 1,3 miliardi di persone in tutto il mondo. È una sfida in cui crediamo che le imprese giocheranno un ruolo importante”.

“Eliminare il circolo vizioso della povertà”
Arno Behrens, Research Fellow at the Unit for Energy and Climate Change of the Centre for European Policy Studies (CEPS)

Andare alle radici della povertà energetica per riuscire a eliminarla. Questo, per Arno Behrens, ricercatore presso il Centre for European Policy Studies Belgium (CEPS), è quello che si deve fare, prima di tutto. “Il circolo vizioso della povertà, come lo chiamiamo, tenta di spiegare il nesso che unisce povertà, accesso all’energia e mezzi di sostentamento (cioè fonti di reddito nei Paesi in via di sviluppo). È facile rendersi conto che per creare fonti di reddito nei Paesi in via di sviluppo, l’accesso all’energia è di cruciale importanza. Nello stesso tempo la povertà resta l’ostacolo principale all’accesso all’energia: a causa della povertà, la gente non ha accesso all’energia e senza accesso all’energia non è in grado di crearsi una fonte di reddito e di garantirsi dei mezzi di sussistenza”. Per superare questo circolo vizioso, è necessario andare alle radici della povertà energetica. “Le statistiche dimostrano che 1,3 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso all’energia elettrica (e di queste l’85 percento vive in zone rurali). Credo che sia fondamentale attirare l’attenzione della comunità internazionale e dell’Unione Europea su questo aspetto: è necessario concentrarsi sulle aree rurali e su tecnologie su piccola scala, che consentano alle persone che vivono nelle campagne di migliorare la propria vita con fonti di energia elettrica che siano pulite, affidabili e anche sostenibili”. I risultati potrebbero vedersi tra venti anni a fronte di investimenti adeguati: “A livello globale si stima che l’accesso universale all’energia verrà ottenuto nel 2030 con investimenti che vanno da 26 a 48 (circa 50) miliardi di dollari USA l’anno. Si tratta naturalmente di cifre importanti, se si pensa che da qui al 2030 gli investimenti complessivi dovranno aggirarsi intorno ai 1.000 miliardi di dollari USA. Tali investimenti sono del tutto possibili, sia in termini di PIL sia in termini di investimenti globali nell’energia e, tuttavia, al momento siamo molto lontani da queste cifre. A livello globale gli attuali investimenti in favore dell’accesso all’energia per tutti sono fermi a 7 miliardi di dollari l’anno, e parliamo di cifre “promesse”: di fatto, le cifre relative agli investimenti sono inferiori (si arriva a circa 2 o 3 di questi 7 miliardi). Per questo, se vogliamo combattere la povertà energetica nei Paesi in via di sviluppo, è necessario che aumentino in maniera sostanziale i finanziamenti al progetto, sia in termini di energia centralizzata che di energia decentralizzata”. Quanto ai meccanismi di finanziamento in grado di migliorare l’accesso all’energia nei Paesi in via di sviluppo, “ciò che abbiamo costatato è che nell’Unione Europea sono molto eterogenei. Ci sono 27 Stati membri, banche per lo sviluppo bilaterale (in alcuni Stati membri), la Commissione Europea che si occupa di sovvenzioni legate a questioni energetiche e ci sono programmi internazionali ai quali partecipano l’Unione Europea e gli Stati membri. Abbiamo quindi un ampio “paniere” di istituzioni, finanziatori e finanziamenti. Per affrontare la povertà energetica e per aumentare l’accesso all’energia è inoltre molto importante rendere più efficienti questi progetti, al fine di avere finanziamenti migliori e più mirati, grazie alla collaborazione di diverse istituzioni. Si tratta di un aspetto fondamentale anche per i paesi partner, poiché essi hanno bisogno di sapere che i programmi pianificati funzioneranno realmente”. Per ora, però, siamo molto lontani dagli obiettivi prefissati: “Ad essere sincero non sono sicuro che il mondo si stia muovendo nella giusta direzione. Se osserviamo gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, sembra che alcuni di questi potranno essere raggiunti. Solo la scorsa settimana l’OCSE ha diffuso un documento nel quale si lasciava intendere che gli obiettivi di riduzione della povertà (non della povertà energetica ma della povertà in genere, a livello mondiale) sono possibili e potranno essere raggiunti entro il 2015. E questo è senz’altro un successo. Ma questo “successo” appare estremamente diverso a seconda delle aree. Paesi molto popolosi come la Cina, ad esempio, hanno fatto dei grandi passi avanti nella riduzione della povertà, ma altri Paesi e aree (ad esempio l’Africa sub sahariana) hanno registrato ben pochi progressi: per questo credo che sia necessario distinguere tipologie di povertà e aree geografiche. Questo è un punto fondamentale. In termini di povertà energetica, prevediamo che nel lungo periodo assisteremo a sviluppi positivi, in conseguenza dell’aumento di 2-3 miliardi nella popolazione mondiale nel corso dei prossimi 20-30 anni. Si prevede che il numero di persone senza accesso all’energia elettrica e a combustibili puliti per la cottura dei cibi e il riscaldamento resterà invariato rispetto alle cifre attuali, e di conseguenza la percentuale di persone che soffre di povertà energetica sarà inferiore. Lo sviluppo può essere considerato positivo, a seconda del punto di vista da cui lo si osserva”.

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