Si può fare a meno in una società avanzata, come consideriamo quella europea, del servizio pubblico di radiotelevisione? Il modello misto pubblico-privato, eretto dal Rapporto Belet approvato dal Parlamento Europeo appena nel 2010 a base del sistema mediatico dell’Unione, è già obsoleto? Queste le domande alle quali si è cercato di dare una risposta nei giorni organizzati da Eurovisioni: “La riforma del canone radiotelevisivo in Europa nell’era digitale”.
“Mettere a confronto i vari modelli – afferma Giacomo Mazzone, Segretario Generale Eurovisioni – è stata una scelta quasi obbligata. Non era questo, infatti, il tema che il Comitato Direttivo avrebbe voluto discutere ma, il calendario degli eventi, ci ha costretti a rivedere all’ultimo momento i piani elaborati con grande anticipo. Due gli avvenimenti che hanno determinato la scelta: l’annuncio del governo portoghese di voler privatizzare il servizio pubblico della RTP e, soprattutto, la decisione del governo greco di chiudere con un colpo di mano di tipo militare, il servizio pubblico della ERT”.
In vista del dibattito italiano sul canone, Eurovisioni ha invitato i rappresentanti di cinque paesi dell’Europa occidentale dove la riforma del canone è stata effettuata, per conoscerne motivazioni, problemi incontrati e modalità di applicazione.
Di questi cinque paesi: uno ha abolito il canone (Olanda), due hanno trasformato lo scopo del canone (Germania e Svizzera), uno ha legato il canone alla tassazione progressiva (Finlandia) ed uno ha ampliato il campo di applicazione (Svezia).
Ecco qui di seguito un breve riassunto fornito da Eurovisioni.
OLANDA
In Olanda il governo ha abolito il canone nel 2002 per sostituirlo con un prelievo diretto a carico del budget dello Stato. Da allora ad oggi il trasferimento dello Stato è stato sempre inferiore a quello promesso e con diversi tagli imposti dai vari governi succedutisi. In Olanda nel 2013 l’importo dei trasferimenti pubblici alle varie reti TV e radio è stato significativamente inferiore alla somma percepita dal canone 10 anni prima.
La cosa più grave è che la natura di questi tagli richiesti è stata puramente ideologica ed i tagli più aggressivi sono coincisi con la presenza di partiti populisti al governo.
Il rischio ipotetico è che il finanziamento possa essere usato quale strumento di condizionamento.
GERMANIA E SVIZZERA
In Germania la riforma del canone è stata decisa dai rappresentanti dei Lander, d’intesa con la KEF, la Commissione indipendente che fissa ogni anno l’ammontare del canone radiotelevisivo.
La riforma in Germana ha lasciato il canone ma ne ha cambiato la natura. Oggi è una tassa di scopo finalizzata al finanziamento del servizio pubblico e non è più legata al possesso di un device. Inoltre l’obbligo di pagare il canone radio TV è stato esteso a tutte le corporations che hanno un ufficio o una base operativa in Germania.
Il risultato è stato un gettito superiore alle previsioni, allo studio correttivi per abbassarne il costo specie per le imprese. Quanto incassato in eccesso rispetto al fabbisogno previsto è congelato e riservato ad emergenze.
SVIZZERA
La riforma è stata già approvata dal governo e dal Parlamento sulla falsariga di quanto deciso in Germania. La sua entrata in vigore è slittata al 2019, in quanto la riscossione del canone (attualmente affidato ad un organismo indipendente chiamato Billag) dovrà essere assegnata con una gara internazionale che non potrà tenersi prima del febbraio 2015. Nel frattempo la scorsa settimana (dopo un grande battage pubblicitario) un referendum abrogativo contro la legge di riforma del canone è stato promosso dalla Confederazione elvetica delle PMI, i cui aderenti sono spaventati del ripetersi del caso tedesco.
SVEZIA
In Svezia la riforma del canone è stata effettuata nel 2007, quando la tassa venne estesa dal possesso della TV al possesso di qualsiasi device capace di ricevere i segnali televisivi in diretta via Internet. Quindi un processo ancora tutto nella logica del vecchio canone. Il fatto nuovo è del 2011-2012, quando le prime trasmissioni in diretta di canali TV su internet sono cominciate. Da allora il servizio pubblico svedese (attraverso la sua consociata incaricata della riscossione del canone) ha cominciato a chiedere il pagamento del canone anche ai possessori di I-pad, I-phone ecc. La tassa è stata contestata, la Corte Suprema di Svezia ha accolto un ricorso e dunque ha cancellato la legge per “difetto di motivazione”. E così in Svezia si è tornati allo status di pre-2007 con 80.000 utenti che hanno subito la restituzione di quanto pagato indebitamente. Intanto al nuovo governo spetta il compito di trovare una soluzione.
FINLANDIA
Il caso più complesso è quello della Finlandia, dove si è voluto sostituire il canone dovuto per il possesso di apparecchi atti alla ricezione TV o cavo con una “media tax” calcolata e riscossa in base alla tassazione ordinaria delle persone. Il canone, infatti, è stato ritenuto ingiusto perché tassa non proporzionale al reddito. Sono stati creati tre livelli di contribuzione: una fascia esente sino a 7.500,00 EURO di reddito, una media ed una alta. Il ricavo è esclusivamente destinato al finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo. Nella legge istitutiva era stato anche identificato un livello minimo di finanziamento dello Stato ed un adeguamento periodico del finanziamento, per mettere alla YLE ed i suoi investimenti di natura pluriannuale, al riparo dalle eventuali fluttuazioni del reddito nazionale. Purtroppo questa clausola di salvaguardia è stata subito disattesa dal Parlamento che ha congelato l’indicizzazione sin dal primo anno di vita del nuovo regime. Cosi già nel 2015 uno squilibrio dei conti della YLE (circa 10 milioni di EURO), sarà affrontato con un piano di licenziamenti (200 unità) volto a riequilibrare il bilancio ed a liberare risorse per gli investimenti.
Per Mario Marazziti, membro Commissione Parlamentare di Vigilanza, che ha presentato una proposta di riforma del canone RAI il problema italiano è “l’evasione, che è pari al 27%. In Italia, occorre un contributo universale per rispettare il diritto dei cittadini di una TV pubblica e con il principio di pagare meno, ma pagare tutti. Dobbiamo provare cioè ad avere la certezza delle entrate e a delle forme di riscossione che ci permetta di ottenerle pensando, nello stesso tempo, a sgravi per le famiglie più disagiate”.
Luigi Gubitosi, direttore generale RAI, parla del canone necessario per un servizio pubblico: “Il fatto di percepire un canone deve far sì che il suo utilizzo sia molto accorto e attento ai programmi. Si può pensare a un canone sociale e trovare il modo per far pagare tutti in modo da ridurre l’importo per ogni famiglia. Inoltre la RAI non ha solo il compito di trasmettere – sottolinea il d.g. RAI – ma anche quella di sostenere tutta la filiera audiovisiva, RAI Cinema sostiene i film italiani”.
Anna Maria Tarantola, Presidente RAI, conclude i lavori portando la riflessione sul canone e gli aspetti comuni evidenti nei paesi europei: “La riforma del canone è un tema ampio e trasversale – precisa – la sua riscossione è importante per la programmazione ed è anche volano di crescita intellettuale perché un servizio pubblico efficace può contribuire alla democrazia. Finora sono cinque i Paesi europei che hanno modificato le prassi relative al canone, la digitalizzazione in ogni caso rende necessario il cambiamento. È sotto gli occhi di tutti il vivo dibattito che accompagna la riforma, ovunque. Un esempio virtuoso è la Germania, in ogni caso è evidente che il contributo pubblico alla televisione di Stato ne garantisce l’indipendenza. Il parere è che il sistema del canone deve avere queste caratteristiche: essere equo, adeguato, certo e stabile nel tempo”.
Maria Pia Rossignaud