Roma. Recentemente Isimm e Roma Tre hanno realizzato insieme una iniziativa su Facebook all’Università. Quattro ore fitte di discussione in un’aula pienissima, tanti punti di vista, ventiquattro esperti, docenti, giornalisti che hanno confrontato le loro idee. Al termine ci siamo salutati con la sensazione che forse non sarebbe bastato un giorno intero, che in qualche modo questo lavoro di riflessione andava continuato.

Il fatto è che Facebook è duttile, proteiforme, collaborativo, si presta a mille interpolazioni: tende ad assorbire l’email, a sostituire la messaggeria istantanea, una parte dei videogiochi, una parte dei siti di dating, si integra con YouTube, rende obsoleto Flickr, comprime lo spazio di MySpace. Funziona perfettamente da ufficio stampa ma è anche assai più pratico dei blog. Puoi raccontare i tuoi stati d’animo, pillole di teatro dell’assurdo, frasi pensose, purché accetti di limitarti ad un numero equo di righe, come peraltro detta l’esprit du temps. Ognuno, sostanzialmente, può farne quello che vuole, purché sottoscriva un contratto comunicativo di lealtà, di fairness, cioè opti per un profilo (abbastanza) trasparente rispetto a ciò che veramente è. Se vogliamo, una grande duttilità all’interno di norme non esplicitate come obbligatorie ma obbligatorie per un uso proficuo del medium: e che vanno tutte in direzione di una rappresentazione della realtà che sia aderente ad essa, fattuale, circostanziata. Siamo agli antipodi dei mondi virtuali, come Second Life, o dei giochi di ruolo: luoghi in cui è necessario assumere una identità proiettata, fittizia, abbandonando temporaneamente la propria, come in un carnevale mascherato.

Il convegno ha messo in luce le grandi capacità che ha FB di plasmare e ridisegnare le identità personali, mentre contemporaneamente modifica i rapporti sociali e lavora a ridosso della sfera pubblica, orientando la comunicazione politica, organizzando lobbies e campagne d’opinione, permettendo forme di e-learning, fornendo notizie e commenti in forma meno ingessata e autoreferenziale dei blog. Permettendo il lavoro cooperativo su varie tipologie di progetti, e anche un certo tasso di competizione fra i partecipanti.

Facebook è una vera tastiera relazionale, una specie di console che ci fornisce su un’unica piattaforma tutta una serie di prodotti e servizi relazionali che prima trovavamo sparsi in vari “social network” di generazione precedente. Nessuno dei media precedenti può pensare di proseguire la sua traiettoria senza tener conto di questa nuova e ingombrante presenza e cercare di trasformarla in opportunità. L’informazione, sia a stampa che broadcast, viene radicalmente spostata nella sua funzione. L’11 settembre 2001 è stato l’ultimo evento novecentesco, non documentato dalle onnipresenti videocamere dei nostri cellulari (solo alla fine di quell’anno venne diffuso il primo cellulare in grado di scattare foto). FB è letteralmente invaso dalle foto realizzate dagli utenti e diffuse sul proprio profilo, copiate e incollate da quelli altrui; quasi sempre schegge di vita vissuta realizzate con le fotocamere dei cellulari. Il delitto di Perugia dell’anno scorso, da questo punto di vista è esemplare. All’indomani dell’omicidio di Meredith i giornali e le tv erano piene delle foto e dei video che su MySpace e Facebook avevano postato la vittima e i sospettati. Per la prima volta nella storia criminale la vittima e i suoi potenziali assassini si erano preoccupati di postare sui social network, prima del delitto, a propria cura e spese, tutto il materiale necessario per il coverage mediatico della vicenda. Nei giorni successivi a questi documenti si sono aggiunti i video di tutte le televisioni del mondo, ricevute via satellite o su protocollo IP, che diligenti volontari avevano postato sui social network con un poderoso effetto di agenda setting sugli organi di informazione tradizionali. Le vicende private dei sospettati, adolescenti cresciuti troppo in fretta e provvisti di facoltà che non sapevano ben amministrare, sono state trattate con i toni melò di un reality.

Oggi, mentre questo articolo era già in parte scritto, mi sono recato al funerale di un’amica. Uno degli intervenuti, che ha tenuto una breve commemorazione della defunta, ci ha detto che era suo amico su FB. Ho controllato il sito e il profilo della persona è ancora accessibile, chiunque avesse la sua password potrebbe ancora farla vivere sul web, rispondere alle richieste di amicizia o iscriversi a gruppi. Confesso di ignorare quale sia la policy di FB nei confronti delle persone estinte, se ve n’è una. Forse qualcuno prima o poi penserà ad un grande cimitero virtuale, a un colossale database di pagine cache dei profili dei morti, un social network per i trapassati o meglio per i loro successori, parenti, amici.

E poi c’è il colossale outing di chi, non richiesto da nessuno, inaugura la giornata comunicandoci i suoi umori, con che cosa ha fatto colazione, o se il cane ha fatto pipì. Parlo del cane reale, in servizio permanente effettivo, perché vi sono anche applicazioni FB con obblighi di cura per cuccioli virtuali, versione occidentale e aggiornata del Tamagochi giapponese; vi sono tornei di solitari e di “Paroliamo”, e una serie infinita di test, pillole di una psicanalisi popolare, per sapere qual è il film (lo stato, il poeta, il divo) a cui si assomiglia.

Questo è lo stato attuale dei social network. Una delle caratteristiche più spiccate del Web 2.0. Nel primo web, quello distrutto dal crollo della dot.economy (marzo 2000) e dall’11 settembre, gli utenti timidi e poco pratici passavano sotto le forche caudine del portale che indirizzava le loro goffe esplorazioni di un’Internet piena di siti vetrina. Nel 2.0 è fondamentale l’attivismo dell’utente, diventato “prosumer” (producer + consumer), che compra e vende su eBay, cerca con Google e fa alzare le tariffe pubblicitarie, collabora gratis a Wikipedia in nome di un’“economia del dono”, fa circolare artefatti culturali di nicchia grazie alla “coda lunga”, costruisce case sulle isole di Second Life, scarica e scambia musica, foto e video su vere corazzate del mare internettiano come iTunes, Flickr, YouTube. Il prosumer che fa i blog e diventa giornalista di se stesso, che incolla contenuti sulla sua pagina MySpace e gioca con la videoludica, soprattutto con i giochi di ruolo in sontuose ambientazioni da Signore degli Anelli. Adesso è FB ad andare forte ma il nostro convegno, lungi dall’essere un’acritica esaltazione dell’esistente, ha segnalato alcune crepe che aprono nella sua crescita verticale, già forse rallentata, mentre all’orizzonte potrebbe apparire Twitter, più nuovo, con tanto di citazione di Gatto Silvestro e del canarino Twitty: ironico, giocoso, nostalgico di una infanzia perduta sin dal titolo, come una confezione di Kinder Ferrero.

Quindi viva FB ma attenti ad un anti FB che potrebbe domani prenderne il posto senza rimpianti di nessuno, che passano dall’uno all’altro abbandonando, come è già successo, il giocattolo che non si è rotto ma che non piace più. Ma il tema social network rimane: non sappiamo più niente del vicino di casa, andiamo a corsi di difesa personale o di kick boxing per difenderci da possibili aggressori immancabilmente identificati in qualche etnia malvista (ieri gli albanesi, oggi i rumeni, domani chissà), se carezziamo un bambino siamo presi per pedofili e quindi non lo facciamo; e tuttavia siamo amici di persone che non abbiamo mai visto, che abitano all’altro capo del mondo, magari, e ci appassioniamo di nobili cause che nemmeno ben conosciamo. Alle durezze della vita reale preferiamo un sistema di comunicazione blando, meno direttivo, più esistenziale, fortemente proiettivo, rassicurante, senza pericoli di contatti o contagi, interamente tracciato in un’orgia di indirizzi e di facce a cui girare tutti i contenuti che vogliamo, con una facilità e una piacevolezza sconosciute alla tradizionale email. Dove tutti sembriamo contare uguale, che ci segue ovunque, anche sul cellulare, che accompagna la nostra vita e, in fondo, ci tiene compagnia.

Enrico Menduni

menduni@uniroma3.it

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