Zuckerberg sorprende tutti e continua a far crescere la sua creatura, grazie alla pubblicità su tablet e cellulari. Così, il titolo è risalito del 200% dai minimi. Contemporaneamente, il Ceo di Facebook si prende una rivincita mobile non da poco.
Il “mi piace” di Facebook è diventato “una forma di espressione protetta dal Primo Emendamento”. A firmare la sentenza della corte d’appello federale di Richmond (Virginia, Stati Uniti) è stato il giudice William B. Traxler jr, che ha paragonato il “like” ad un qualsiasi modo di esprimersi. Una vera e propria rivincita per la “grande F” che si appresta a compiere i suoi dieci anni (a febbraio).
Questa vicenda si riferisce ad una campagna elettorale (quella del 2009) e ad un “mi piace” offerto ad un candidato “non gradito” dal capo. Un uomo, ex guardia carceraria del penitenziario della città di Hampton (Virginia), era stato licenziato (insieme ad altri cinque colleghi) perché aveva sostenuto la candidatura del rivale dello sceriffo in carica, e l’aveva fatto anche attraverso Facebook. Questo affronto sul web era stato punito con il licenziamento in tronco “per giusta causa”, confermato nel 2012 anche dalla sentenza di primo grado.
Ma in appello è arrivata la svolta che può essere considerata epocale per il mondo del web: il “like” è stato comparato ad una normale forma di espressione, libera, quindi non punibile e da non considerare un motivo valido per giustificare un licenziamento.
I sei dipendenti dell’ufficio dello sceriffo dello Stato, che erano stati licenziati per aver offerto il proprio sostegno sul social network alla campagna elettorale del rivale del loro principale, hanno quindi potuto riottenere il proprio impiego.
“Cliccando “like” alla pagina politica di un candidato – ha scritto il giudice – l’utente lo approva e sostiene la campagna elettorale associandosi a lui. Il “mi piace” è l’equivalente digitale della firma fisica per sostenere una campagna, è come attaccare un adesivo politico sulla propria auto, mettere un cartello nel giardino di casa o indossare una spilletta col nome del proprio candidato preferito”. Cliccare sul bottone “mi piace” implica “l’affermazione pubblica che a quell’utente “piace” qualcosa, il che è di per sé una dichiarazione di merito”. Quindi, su Facebook “si esercita semplicemente la libertà di parola e di espressione” protetta dal primo emendamento della Costituzione americana.
Da tempo era aperto un dibattito sul valore del sostegno di una persona, di un’idea o di un prodotto in Internet, attraverso i social network e in particolare su Facebook. Questa sentenza, ovviamente, è piaciuta anche al colosso fondato da Mark Zuckerberg, il quale lo scorso maggio aveva dichiarato che “la possibilità di esprimere il proprio “mi piace” è vitale per 500 milioni di persone che si scambiano idee su Facebook, i quali per questo motivo avrebbero dovuto essere protetti dal primo emendamento”. “Siamo soddisfatti – ha detto in una nota ufficiale Pankaj Venugopal dell’ufficio legale del social network – che anche un tribunale lo abbia finalmente riconosciuto”.
Dario Sautto
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