#disinformazione #democrazia #elezioni, il seminario organizzato da TuttiMedia, in collaborazione con la Rappresentanza della Commissione Europea in Italia ha raccolto  molte opinioni che vale la pena ascoltare. In questa pagina Mihaela Gavrila – professoressa di Entertainment and Television Studies e Direttrice del Master di Secondo Livello in Sicurezza, Coordinamento Interforze e Cooperazione Internazionale Università Sapienza di Roma

Partecipare agli incontri promossi da Media Duemila e dall’Osservatorio TuttiMedia è diventata una sfida culturale. Sono passati 40 anni dalla nascita di Media Duemila e almeno 24 li abbiamo attraversati insieme: ricordo ancora il 2000, quando nelle aule della neonata Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza presentavamo questa rivista votata all’innovazione; successivamente abbiamo condiviso gli ideali che hanno mosso nel tempo questo osservatorio privilegiato dei cambiamenti all’interno della società italiana e non solo.  Un percorso che ha coinvolto molte persone qui presenti, all’insegna della continuità tra un approccio etico alle tecnologie e alla comunicazione e il funzionamento delle società democratiche.

Anche il titolo che regge questa giornata di riflessione: “disinformazione – democrazia – elezioni”, apparentemente meno forte rispetto alla tradizione TuttiMedia, permette di affidare a queste tre parole chiave la storia della grande mutazione, anticipata da Giovanni Giovannini, storico presidente della Fieg e fondatore di Media Duemila e dell’Osservatorio TuttiMedia, che aveva coniato questa definizione per descrivere le trasformazioni che sarebbero state generate soprattutto sotto la spinta del digitale.

Le elezioni, a loro volta, sono diventate un ottimo pretesto per discutere di innovazione, tecnologia e futuro: scossi dal torpore della quotidianità, siamo stati chiamati ancor una volta a progettare, a porci il problema sulla nostra idea di società. In tale contesto la corretta informazione diviene protagonista, fonte di empowerment e piattaforma di orientamento.

L’Europa si accredita nelle nostre aspettative come una garanzia di stabilità, il che non vuol dire immobilità, ma sollecita una gestione responsabile dei cambiamenti, nel pieno rispetto dei diritti individuali e collettivi e con la giusta attenzione al lavoro, studio, ricerca, conoscenza, avanzamento tecnologico. Ecco perché il momento spartiacque del voto per le europee ci proietta di nuovo in una dimensione mobile, futura, quello stesso futuro del quale Giovannini aveva nostalgia. Una nostalgia che ha trasmesso anche a noi e che ci responsabilizza più che mai.

L’Europa è anche cultura, che vuol dire norme, valori, comportamenti, tutela della persona, dell’universalismo, dell’ambiente e delle tecnologie che proprio nella fase di abbondanza di alternative hanno bisogno di bussole e mediatori dello spazio pubblico, oppure, rispolverando una parola che è andata fuori moda, di intellettuali, intesi come professionisti dello spazio pubblico. La vocazione internazionale o cosmopolita dell’intellettuale è tornata a recuperare la sua rilevanza a seguito di quell’insieme di fenomeni che chiamiamo riassuntivamente globalizzazione, come ci ricorda Sabino Cassese in un bel libro del 2021. Gli professionisti dello spazio pubblico, infatti, consapevoli della situazione civile e autori di una riflessione critica teorica capace di far pensare il pubblico, potrebbero assumere una rilevanza ancor maggiore nell’era della network society, dell’Intelligenza Artificiale e dell’ipertelevisione, sostenendo l’Europa nell’impegno di garantire l’equilibrio tra l’evoluzione tecnologica e la tutela dei diritti fondamentali della persona.

Infatti, l’Europa continente, così come l’Europa politica, piattaforma di progettualità e di strategia condivisa tra gli Stati, si sono trovate negli ultimi anni ad affrontare molte sfide, alcune destabilizzanti: dall’emergere dei nuovi diritti delle persone, fino alle difficoltà nell’affrontare i cambiamenti climatici, le migrazioni, i conflitti; dalla tutela della creatività, all’accelerazione tecnologica e la vocazione umanistica e solidale del Vecchio continente.

Tale complessità ha sollecitato, dunque, da un certo punto della storia in poi, l’esigenza di adeguamento delle pratiche pubbliche, affinché si rivelassero in linea con i tempi, anche in vista di una tutela delle fasce più vulnerabili della società, come i minori, gli anziani, le persone lasciate ai margini da un punto di vista culturale.

Su questi aspetti, ai quali possiamo aggiungere la tutela della ricchezza spirituale, linguistica, creativa, l’Europa fonda il proprio soft power, facendo leva sulle sue specificità: l’utilizzo consapevole delle opportunità garantite dalle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale, mettendo al centro la società, i diritti umani, la solidarietà e la cultura (Viola, De Biase 2023), valori fondanti della Comunità Europea.

In questi contesti, il ruolo degli intellettuali e dei professionisti dell’informazione diventa ancor più rilevante, evidenziando questioni dimenticate o invisibili agli altri, spiegando i fatti sociali per aiutare i processi decisionali, allenando la mente e tenendo in tensione, connettendo, l’intelligenza di una collettività (de Kerckhove 1999), senza rinunciare alla singolarità delle intelligenze individuali, offrendo una spiegazione a quanto altrimenti rischierebbe di essere restituito dallo spazio pubblico mediale in maniera compulsiva e irrazionale, generando confusione e persino traumi.

Accettare le differenze, incoraggiare il dialogo, detecnicizzando la comunicazione rappresentano una vera cura per l’indifferenza e la conflittualità (Wolton, 2021), elevando il processo comunicativo allo status di attività politica di diplomazia.

I giornalisti assumono una funzione ancor più importante, dunque, in un mondo caratterizzato da sovrabbondanza, dove il problema è la scarsità della corretta informazione. Un ruolo spetta anche alle media company di servizio pubblico, che dovrebbero guardare con responsabilità al futuro, entro l’equilibrio necessario tra il being first e il being right. Promuovendo un giornalismo più inclusivo e coesivo, il servizio pubblico potrebbe essere ancora un punto di riferimento importante per navigare più consapevolmente il cambiamento, fornendo una prospettiva, stimolando la critica, garantendo empowerment di tutti gli interlocutori, fungendo da garanzia della nostra democrazia.

In questo percorso verso il futuro diventerà imprescindibile ripristinare un patto forte con le nuove generazioni, rendendoli partecipi di un progetto di innovazione editoriale e culturale basato sulla qualità dell’informazione, piattaforma di esercizio della democrazia e di ricucitura simbolica tra l’Europa istituzione e l’Europa delle persone.

 

Articolo precedenteIl problema della lingua africana per uno sviluppo inclusivo dell’IA
Articolo successivoBasta paura! E agli editori dico: AI non serva solo a ridurre i costi