Secondo il report annuale Women in Business di Grant Thornton, l’Italia è risalita di 13 posizioni rispetto all’anno scorso attestandosi sessantatreesima e sebbene qualche miglioramento ci sia stato, il gender gap nelle aziende italiane resta una realtà difficile da scalfire, non solo per le professioni manageriali. Applavoro.it ha confermato infatti che ancora per il 2021 il differenziale di retribuzione tra uomini e donne in Italia si è attestato sul 30%. Tra gli agenti di commercio, in particolare, gli uomini hanno redditi del 19% superiori rispetto alle colleghe e per il personale di store la differenza in busta paga è di 200 euro a svantaggio delle donne. Tutto questo a parità di mansione.

Gran parte della responsabilità di queste differenze, gli studi lo confermano, è del pregiudizio che orienta le scelte durante i processi di selezione. Per questo sono sempre di più le aziende che si affidano alle neuroscienze per limitarlo il più possibile, tra le quali Nestlé, Italgas, Lidl e persino l’accademia online Chef in camicia. Grazie all’individuazione dei cosiddetti predittori di successo, infatti, è possibile capire con quale probabilità ciascuna persona otterrà risultati e crescita in una certa professione o mansione. Si tratta di tratti personologici indipendenti dal genere, che si stabilizzano attorno ai 25 anni d’età. Modalità stabili di sentire, pensare e comportarsi che sono indicatori attendibili dell’attitudine che ciascuno di noi ha rispetto ad alcune attività o ruoli. Se guardiamo per esempio alle professioni in area commerciale, sulle quali Neurovendita ha una vasta esperienza di selezione, è evidente la correlazione tra prestazioni e tre caratteristiche personologiche in particolare: ricerca della novità, dipendenza dalla ricompensa sociale e persistenza. Queste caratteristiche, come emerge anche da numerosi studi scientifici, sono in media più presenti nelle donne che negli uomini. In altre parole, le donne secondo le neuroscienze sono più portate a ricoprire ruoli in cui capacità relazione, perseveranza e curiosità sono skills fondamentali. In questi settori, il gap di retribuzione è quindi particolarmente infondato, eppure esiste.

Partendo dall’osservazione di questo fenomeno, le aziende hanno cominciato a interrogarsi su come uscire da questo disallineamento, che ha come conseguenza il rischio di non riuscire a intercettare figure e competenze vitali per il successo delle imprese. Sono proprio le neuroscienze, insieme alla tecnologia, a offrire la soluzione al problema attraverso uno strumento concreto: il blind testing, che permette ai recruiter di partire da una prima rosa di candidati dove il genere non viene reso noto e dove il ranking attitudinale è basato esclusivamente sui tratti di personalità. Il sesso resta dunque una variabile sconosciuta e il ranking delle risorse viene stilato da un’intelligenza artificiale in funzione del massimo potenziale attitudinale, annullando quindi il pregiudizio sul genere fin dalle primissime fasi della selezione.

Immaginiamo ad esempio che 10 persone si candidino per una posizione nell’area sales. A tutte, in maniera automatica, viene inviato un link per la compilazione di un test personologico. Il questionario ignora il sesso di chi sta compilando e un sistema di intelligenza artificiale rielabora i risultati e calcola il livello attitudinale in funzione di un metodo basato su ricerche e studi neuroscientifici. Sulla base di questa prima analisi, vengono quindi contattate le persone per fare un primo colloquio e proseguire con l’iter di selezione.

L’uso di test standardizzati, oggi facili da inviare ed elaborare in digitale, introduce dunque un maggior grado di obiettività. Le attitudini personologiche registrano cosa fai, cosa pensi e come ti comporti, permettendo una previsione futura basata su solidi asset neuroscientifici indipendenti dal genere. Questa modalità di selezione, che limita al minimo la discrezionalità, mette i presupposti per una scelta più obiettiva con vantaggi per l’intera organizzazione che vede così garantita una maggiore inclusività e diversità nell’ambiente di lavoro. Non è un caso se, secondo stime recenti, già l’80% delle aziende Fortune 500 hanno implementato questo modello di selezione del personale.

Per superare il problema del gender gap occorre senza dubbio un profondo cambiamento culturale e rilevanti investimenti in formazione, nel frattempo però la sinergia tra neuroscienze e tecnologia può aiutare le aziende a fare significativi passi avanti nella giusta direzione prendendo consapevolezza dei limiti dei metodi di selezione tradizionali.

Di Lorenzo Dornetti

Laureato in Neuroscienze all’Università Vita Salute San Raffaele di Milano, pubblica la propria tesi sulla rivista internazionale “Journal of Personality and Mental Health”. Iscritto all’albo degli psicologi della Lombardia è direttore del più grande laboratorio di neuroscienze privato in Italia, il NEUROVENDITA Lab. Neurovendita è un campo di ricerca applicata che lega le più recenti scoperte sul funzionamento cerebrale al campo del marketing e delle vendite. Dornetti grazie al suo team collabora con il 23% dei top brand mondiali, secondo la classifica Forbes 2020. La chiave di lettura delle neuroscienze consente una lettura differente ed una previsione accurata di fenomeni economici, finanziari e di business, analizzando le dinamiche cerebrali alla base delle decisioni d’acquisto.

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