di PAOLO LUTTERI
Giornalismo e pubblicità attengono a due professioni separate ma contigue. Sono in realtà due versanti dell’informazione: i giornalisti sono narratori critici, i pubblicitari informatori obbligati. Sul versante pubblicitario le previsioni meteo danno sempre il sole, mentre su quello del giornalismo le previsioni sono più articolate, può piovere e anche grandinare.
Ho tre argomenti da evidenziare: il primo è quello che gli investimenti pubblicitari contribuiscono a finanziare in gran parte il mondo dell’editoria. Quindi sono importanti. Sarebbe bello avere ancora più editori, che vorrebbe dire ancora più pluralismo, più giornalisti e più posti di lavoro, ma la congiuntura economica ci segnala che non c’è possibilità di crescita forte sul mercato, anche se negli ultimi anni l’offerta editoriale televisiva, per esempio, si è arricchita di un numero straordinario di canali semigeneralisti, specializzati o territoriali che hanno frammentato ascolti e comportamenti.
Il secondo argomento è quello della tendenza della pubblicità per il prossimo futuro: il concetto che sta prendendo terreno è quello dell’affinità. Affinità vuol dire vicinanza di comunicazione tra mondo editoriale e investimenti pubblicitari. In un sistema di comunicazione sempre più targhettizzato, profilato, l’investimento pubblicitario seguirà il medium specializzato nel suo settore. Cioè: in qualche modo sta scomparendo la comunicazione commerciale urbi et orbi e cresce quella unicuique suum. Nello scenario della digitalizzazione crescente la via dell’affinità è un percorso obbligato.
Qui si aprirebbe un tema oggi molto caldo: quello del product placement, ovvero la pubblicità dentro la produzione editoriale. Per fortuna la normativa prevede che non ci possa essere product placement nei notiziari giornalistici e sulla carta stampata c’è quasi sempre una righetta di separazione tra articoli e cosiddetti “redazionali”.
Il terzo argomento da evidenziare è quello dello sviluppo non dei media ma dei devices, cioè degli apparecchi dell’informazione: il giornale lo possiamo leggere sul computer, la televisione la possiamo vedere anche sul cellulare. Ma c’è di più: una volta si andava in biblioteca, adesso si usa un motore di ricerca o una Wikipedia qualsiasi; una volta si andava a discutere all’Università o al bar, adesso si entra in un social network e si chatta lungamente su Internet.
Ecco: su Internet non sempre ci sono narratori critici, ovvero professionisti dell’informazione come i giornalisti, anzi quasi sempre le informazioni sono opera di bricoleurs. I blog contano talvolta più di una verità ufficiale per fare opinione.
Ma c’è una verità ufficiale?
Credo che il mestiere del giornalista sia quello di cercarla e verificarla, e qualche volta anche quello di proteggerla, mentre quello dei pubblicitari sia quello di decorare le qualità di un prodotto o di un servizio. Mi viene da dire che i giornalisti sono intelligenti e non devono essere tanto creativi, mentre i pubblicitari devono essere soprattutto creativi. Però anche questo mestiere contribuisce a diffondere consumi e comportamenti, a far girare gli scambi, a incrementare il commercio e la produzione di beni. E se lo facciamo con i criteri di trasparenza e sostenibilità, lo facciamo anche per migliorare la qualità di vita nella nostra società.
E con questo obiettivo c’è ancora molto da fare, quindi speriamo ci siano nuove posizioni di lavoro.
Paolo Lutteri
Responsabile centro studi media di Sipra