Questo il parere del secondo studente della Lumsa che continua dicendo che Giovannini non usa termini quali rivoluzione o evoluzione, bensì, parla di una vera e propria mutazione nel modo di comunicare, informare e vivere tra uomini, una svolta epocale al pari della scrittura e dell’invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg.
Queste parole si adeguano perfettamente al panorama odierno. La lungimiranza di Giovannini è sorprendente, a riprova non solo delle qualità del giornalista ma soprattutto del fatto che un’analisi attenta ed acuta in piena coscienza del cambiamento è possibile e necessaria.
La digitalizzazione ha innescato una mutazione a trecentosessanta gradi e il giornalista aretino auspicava ad una cooperazione continua tra forze diverse affinché si costruisse una piena consapevolezza del presente, e la capacità di fornire strumenti adatti alla vita nell’era digitale. Affrontare una nuova logica multimediale e culturale che non escluda nessuno e renda ciascuno autonomo e cosciente. Oggi alla digitalizzazione si sposa con l’idea di disintermediazione, altro tema capitale.
Per Maurizio Costa l’integrazione del digitale è elemento di avanzamento da non demonizzare. Chi si occupa di comunicazione e informazione deve mantenere alta la guardia nel vigilare e guidare la trasformazione in atto, garantendo trasparenza e qualità.
Secondo Valeria Fedeli, allora vicepresidente del Senato della Repubblica oggi Ministro dell’Istruzione, il viaggio verso il futuro passa attraverso le tappe della qualità e della collaborazione. È lecito parlare di intelligenza connettiva: la capacità di interconnetersi, costruendo un’armonia tra cittadino, istituzioni e mondo dei media.
“Diverse sono le implicazioni: la qualità dei contenuti, il ruolo di chi li produce, il bisogno di trasparenza nel rapporto tra attori della comunicazione e istituzioni e tra le istituzioni in ambito internazionale. L’innovazione è inarrestabile, pertanto è imprescindibile una collaborazione tra le parti in gioco, che siano essi gli addetti ai lavori, gli over the top del mondo dei media (v. Google e Facebook) e le istituzioni governative”.
Per Franco Siddi, presidente dell’Osservatorio TuttiMedia, ci troviamo di fronte a quella che Alvin Toffler profetizzò come una “distopia di sapore orwelliano”: una reale incapacità del sistema comunicazione ad adeguarsi, aprirsi e interagire con la rete e i fruitori, o quantomeno di farlo con forte ritardo. Ripartendo dall’idea di Giovannini che i media tradizionali avrebbero dovuto fare i conti con la rete, avrebbero dovuto aprirsi e contaminarsi, Siddi ribadisce la sbalorditiva puntualità del giornalista aretino, il quale ci proiettava in un cammino che si è palesato innanzi a noi, un orizzonte in cui eravamo già immersi.
La Mutazione globale di cui Giovannini è maestro ormai è nella nostra quotidianità. Di Derrick de Kerkhove, Direttore scientifico di Media Duemila e dell’Osservatorio TuttiMedia, mi ha colpito il ruolo della memoria nelle nostre vite digitalizzate. Una funzione che sembra sempre venir meno, sostituita dalla tecnologia di internet e dei diversi devices di cui facciamo uso costante. “Internet è ormai un nostro hard disk esterno. Siamo continuamente distratti e questa distrazione ostacola la costruzione di ricordi”.
Partendo da un semplice esempio quale: l’ormai congenita incapacità di memorizzare informazioni banali, de Kerkhove ne esplora gli esiti. Le conclusioni a cui giunge sono tutt’altro che scevre di implicazioni. Se non sappiamo più costruire ricordi, come costruiremo un futuro diverso dal nostro passato, evitando la ripetizione di errori già commessi e sperare in un progresso positivo? La risposta non sta nel denigrare la tecnologia e la digitalizzazione in toto. La soluzione è correggere la nostra visione, dotarsi di strumenti cognitivi e di giudizio adatti ad un uso non deleterio per noi e per la collettività.
Attraverso le sue ricerche de Kerkhove ha rilevato che la tendenza odierna è cercare ossessivamente contenuti piuttosto che memorizzarli. Siamo passati da una memoria produttiva ad una operativa “le applicazioni social sono diventate la memoria collettiva di un mondo senza collettività” . Ne consegue un problema di tipo bio-tecnologico: la separazione fra memoria e corpo, la compresenza di una memoria interna ed una esterna, la scissione di questa in una di tipo personale, fatta di esperienza, e una di tipo collettivo costituita da eventi. Il pericolo della digitalizzazione risiede proprio nella distanza che si frappone fra esperienza ed eventi.
La generazione dei Millenials è cresciuta in una sorta di presente permanente, al quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono. Questa iper-esposizione comporta una perdita di riferimenti sociali comuni nel momento in cui viene a mancare la rete.
Così la Brexit e l’elezione di Trump divengono emblematiche e rafforzano l’idea di “enfatizzare la responsabilità dei media e del giornalismo nel creare un senso comune. Nell’epoca dell’esternalizzazione dei contenuti e dello svuotamento interiore, è l’editoria che ha il dovere ricostruire letteralmente un sentimento di qualità per sensibilizzare il pubblico ed i fruitori”.
Tirando le somme di questo convegno emerge chiaramente che la digitalizzazione e il mondo della rete non sono certo elementi da demonizzare. Ostracizzare elementi ormai entrati a pieno titolo nella nostra vita sarebbe un comportamento anacronistico e deleterio. La posta in gioco è altissima, il nostro Paese deve riflettere sulla necessità di guidare con efficienza la mutazione di cui parlava Giovannini per affrontare le sfide poste dalla digitalizzazione.
Se si desidera guardare al futuro con ottimismo, lo si deve fare volgendo lo sguardo anche al passato.
Natalia Sacchi