Lettera aperta di Paolo Lutteri –22 febbraio 2023
Caro Hosni,
spero tu ti stia sollazzando con le settantadue spiritelle che la tua religione ti ha promesso. Non so se te lo sei meritato, ma non metto becco nella giustizia del tuo cielo. Qui da noi qualche giorno fa è stato festeggiato il carnevale, con un’anteprima a Sanremo. Quel nostro specialista di barzellette ha festeggiato anche lui con uno stuolo di ragazze voluttuose, tra cui quella tua presunta nipotina. Sì, quella che ha detto di essere uscita da un incubo. Altri pensavano da cene eleganti, altri hanno avuto congetture diverse. Lei è uscita dal tribunale abbastanza ricca e famosa.
Nel nostro palazzo di giustizia gli operatori sono alacri, ma i percorsi burocratici sono purtroppo lunghi e complicati. Anche i cavilli legali complicano l’iter giudiziale e spesso diventano più incisivi di un pieno giudizio morale. I semafori rossi sono aboliti, ci sono le rotonde al posto degli incroci, con una segnaletica così ricca di vie d’uscita per ipotizzare i prosiegui che fan comodo. Se la legge, in teoria, è uguale per tutti, le interpretazioni sono personalizzate. E’ come se la giustizia sociale fosse diversa da quella ideale. Magari la politica la chiama pragmatismo, ma certo il comune cittadino ne rimane un po’ deluso, tende a chiamarla ingiustizia sociale e a dubitare degli operatori coinvolti.
L’alta giustizia divina lasciamola perdere, o è troppo lontana o non c’è. E nel nome di dio si avviano ‘giuste’ guerre, conquiste, rapine, stupri. Anche qualche religioso incita al combattimento, ruba e perfino seduce i bambini, come si legge nelle cronache di politica internazionale e di nera locale. Il concetto di giustizia è lontano da quello di guerra. Una volta c’erano le scorrerie dei Saraceni, le crociate dei Cristiani, le contese cruente tra Cattolici e Ugonotti. Oggi si sfidano con violenza Sunniti e Sciiti, Palestinesi e Israeliani, Curdi e Turchi, Indiani e Pachistani, Russi e Ucraini (e supporters), continuano senza posa confronti tribali, non si capisce chi siano gli infedeli e chi siano i giusti. Diatribe tra uomini. Forse non tra popoli ma tra ideologie di governi. Dio non c’entra.
La conclusione, provvisoria, è che la giustizia non è una sola, diverge secondo i punti di vista, ha tante facce, è altalenante, alza e abbassa i piatti della sua bilancia secondo il vento profumato della convenienza o la volontà ideologica di parte. Come credere a Dike? Come scegliere un sillogismo o un algoritmo affidabile nella babele della magistratura e della politica? E’ un problema locale e internazionale di disuguaglianze volute. E’ un problema che coinvolge non solo giudici e avvocati, vittime e criminali, ma anche tutti coloro che lavorano nella comunicazione, nell’editoria, nella formazione dell’opinione pubblica e nell’interpretazione dei fatti. E non c’è una sola strada per risolverlo (men che meno nell’intelligenza artificiale, analfabeta dell’etica). Sei d’accordo Hosni?
Se il popolo perde la fiducia nella giustizia, la responsabilità sociale di quel che si scrive o si dice sui comportamenti passa agli opinionisti, media e social, che non possono essere subordinati alle connivenze dei loro editori o impresari politici. Basterebbe mettere in pratica la formula completa che i testimoni devono recitare: “Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza”. “Non nascondere nulla” non è in voga.
Hosni, scusami se ti ho chiamato in causa in questo sfogo, torna ai tuoi giochi. Ma, a proposito di giustizia, vedi se puoi far fare luce a casa tua sull’omicidio di Giulio Regeni.
Paolo