“Poco tempo fa ho partecipato ad un evento su “servizi ai cittadini” e in molti tra gli intervenuti a parlare hanno citato l’Intelligenza Artificiale. Lo stesso è accaduto in svariati altri eventi cui ho partecipato, che l’argomento fosse Sanità e salute, Trasporti, 5G o quant’altro. In genere le persone che citano l’Intelligenza Artificiale non sono esperti del settore, molti sono persone di marketing o politici (e forse la differenza non è molta…). Tutti sembrano avere in comune la convinzione che oggi non si possa fare un discorso accattivante senza citare almeno una volta l’importanza della intelligenza artificiale in quel settore. Sarei pronto a scommettere che la maggior parte di questi non abbia la minima idea di cosa l’Intelligenza Artificiale sia realmente ed ancor meno delle tecnologie e contesto necessario per renderla operativa. Però questo è un segnale di come il marketing abbia convinto vasti strati della popolazione dell’importanza universale della Intelligenza Artificiale”. Roberto Saracco Media Duemila n° 327 Anno 2019.
Ripropongo questo articolo perché sottolinea il ruolo di avanguardia culturale della nostra rivista e soprattutto ricorda un’amico con la straordinaria capacità di analisi semplice di un presente complesso.
Roberto Saracco precisa che questo straparlare dell’AI non era un fenomeno solo italiano e che in tutti gli eventi cui partecipava, a livello mondiale, “era presente quello che viene definito Hype da Gartner nella sua osservazione della evoluzione tecnologica, hype che precede, spesso di molto, l’effettiva applicabilità di quella tecnologia”.
Precisa che a quel momento con Google Trends si vedeva come l’Intelligenza Artificiale stimolasse interessi ovunque, con un picco in Cina e nell’Estremo Oriente (come curiosità, su Google Trends l’interesse verso il tema “sex” è uniforme ovunque). E in più scrive che si capisce quanto l’interesse per l’IA fosse in crescita dal fatto che nelle ricerche Google avesse superato il sesso: “Le pagine sull’IA nelle ricerche Google sono 5,6 miliardi verso le 4,5 miliardi di pagine attinenti alla ricerca “sex” e questo mi pare degno di nota…”.
Saracco spiega che “Sono passati circa 60 anni dalla conferenza a Dartmouth (1956) che ha segnato l’inizio dell’idea moderna di Intelligenza Artificiale e i progressi sono stati sia entusiasmanti sia deludenti. Deludenti perché non siamo riusciti a definire cosa sia l’intelligenza e a duplicarla con un algoritmo (cioè a capire come il nostro cervello dia origine alla intelligenza attraverso neuroni e sinapsi, e a duplicare questi in elementi computativi), entusiasmanti perché siamo riusciti a creare una vera Intelligenza artificiale, cioè un qualcosa che è intelligente ma diverso dalla intelligenza naturale”.
E questo concetto interessa certamente ancora oggi ecco perché riporto integralmente una parte dell’articolo:
“Il sogno di creare un cervello artificiale, artificiale nel senso che viene costruito da noi piuttosto che da madre Natura, è ancora vivo, intatto. In questi 60 anni migliaia e migliaia di scienziati e ricercatori hanno esplorato varie strade per realizzare questo sogno. Si sono messi a lavorare con neurologi, biologi, matematici per convertire il cervello in una macchina, in algoritmi. Il fallimento, finora, è stato attribuito alla insufficiente comprensione di come il cervello funziona in termini “processivi” anche se non sappiamo se il cervello lavori in questi termini (per fare un parallelo, ma senza voler pretendere che questo sia il caso del cervello, non possiamo traslare la meccanica classica nella meccanica quantistica, due palline di marmo che si scontrano lo fanno in modo completamente diverso rispetto a due protoni… Per capire questi ultimi occorre abbandonare la meccanica classica e passare a quella quantistica che peraltro non riusciamo a capire se non in termini matematici).
Utilizzando software per simulare lo scambio di segnali tra neuroni i ricercatori sono riusciti a replicare il “cervello” di un verme, Caenorhabditis elegans – c. elegans per gli amici, un nematode per essere precisi che si compone di 302 neuroni. Ora 302 neuroni non sono nulla se li paragoniamo al centinaio di miliardi di neuroni (e alle migliaia di miliardi di sinapsi) che compongono il nostro cervello. La simulazione ha evidenziato che il sistema artificiale reagisce come quello naturale e, come quello naturale, è in grado di apprendere (il che significa anche che è capace di ricordare).
Tuttavia, come alcuni ricercatori puntualizzano, la domanda se il software di simulazione del sistema nervoso del verme “senta” di essere un verme rimane senza risposta. Eppure, rispondere a questa domanda sarebbe l’unico modo per sapere se effettivamente si sia riusciti a creare un cervello artificiale, seppure uno estremamente semplice o solo un automa.
Altri studiosi, peraltro, si chiedono se (pura speculazione ovviamente) C.Elegans sia consapevole di essere un verme, quella sensazione che noi abbiamo del “self” e che potrebbe essere la conseguenza di possedere un cervello enormemente più complesso per cui potrebbe essere sconosciuta a C. Elegans. Anche questa osservazione è tutt’altro che scontata. E’ vero che l’intelligenza è la conseguenza della complessità strutturale? Se così fosse (ma non lo sappiamo) allora potremmo dire che avendo simulato il sistema nervoso di C.Elegans nel momento in cui la tecnologia ci consentisse di scalare questa simulazione di 9 ordini di grandezza (quanto separa C.Elegans dal nostro cervello) allora tale software sarebbe conscio di “essere”. Sappiamo che per essere intelligenti è necessario avere strutture complesse ma non sappiamo se questo sia sufficiente.
Supponendo per un momento che dalla complessità derivi l’intelligenza (e il senso di sé) si potrebbe pensare che non esista una soluzione visto i 9 ordini di grandezza che separano il nostro cervello da quello che siamo riusciti a simulare (C.Elegans). In realtà, 9 ordini di grandezza sono all’incirca quello che separa il miglior supercomputer di oggi (2013) dal primo microprocessore che è stato realizzato 50 anni fa. Sono stati necessari 50 anni ma oggi abbiamo questo supercomputer. Possiamo allora immaginare che nei prossimi 50 anni la tecnologia sarà progredita al punto che un cervello artificiale, equivalente al nostro sarà possibile?”
Sono passati 10 anni da questo articolo e il 1 dicembre dello scorso, poco prima di lasciarci Roberto Saracco scrive nel suo blog: “L’intelligenza artificiale conversazionale sta cambiando il panorama. La possibilità di interagire con le macchine (applicazioni) utilizzando il linguaggio naturale è un vero e proprio punto di svolta. Finora siamo stati tormentati dai cosiddetti IVR, Intelligent Voice Responder, che sono tutt’altro che intelligenti (non so voi ma io mi sento sempre davvero frustrato da questo tipo di interazione). L’accoppiamento dell’intelligenza artificiale conversazionale con l’intelligenza artificiale (quindi l’intelligenza artificiale sia nell’interazione che nell’esecuzione autonoma di qualunque cosa l’interazione porti) sta portando alla possibilità di parlare con i dati e, più specificamente, di coglierne il significato. E’ bene sottolineare che in generale i dati non hanno significato, siamo noi che associamo un significato ad un dato:
la temperatura dell’acqua è di 38 gradi: “wow che caldo per fare il bagno”, oppure “perché fa ancora così freddo, aspetto che bolle per cuocere la pasta!”
Utilizzando l’intelligenza artificiale conversazionale possiamo trasferire il contesto all’intelligenza artificiale nel backstage in modo che possa estrarre il significato che è… significativo per te.
Le opinioni sull’intelligenza Artificiale generativa oggi sono molto variegate, certo la conversazionalità è l’elemento di rottura.
La domanda è riusciremo a duplicare il cervello? O ci limiteremo alla realizzazione di un cervello artificiale?