di MARCO PIGLIACAMPO –
Il successo elettorale del Movimento 5 Stelle e l’ampio utilizzo che fa della Rete hanno portato i commentatori a raccontarlo come il partito del Web. Ciò, peraltro, ha rinforzato il cliché molto diffuso ma ben poco fondato secondo cui Tv e Rete debbano necessariamente rappresentare schemi culturali tanto differenti. Eppure gli argomenti per contestare una simile idea sono molti a ben guardare il movimento di Grillo, i cui sostenitori si muovono in internet ma hanno recepito i modelli della televisione, da cui peraltro proviene il loro leader.
Se l’ascesa politica di Berlusconi trovò terreno fertile in una cultura nazionale che la televisione italiana degli anni ’80 aveva plasmato, oggi quella di Grillo trova perfetta accoglienza in modelli culturali più recenti e sofisticati, ma ugualmente forgiati alla fonderia della Tv commerciale. In particolare, trasmissioni televisive come “Striscia la notizia” e “Le iene” sono esempi eclatanti di un modo di fare Tv che negli ultimi vent’anni ha fatto scuola, influendo sui format, i linguaggi e i contenuti di gran parte della televisione italiana. Non a caso, proprio Striscia e Le Iene hanno messo alla berlina spesso gli stessi politici attaccati da Grillo. Non che esista un accordo, ma di certo c’è un “idem sentire”, manifestato in scelte linguistiche, estetiche, persino etiche, decisamente paragonabili.
Si tratta di programmi che hanno fatto dell’ibrido il loro marchio di fabbrica: dare notizie senza fare i notiziari, smascherare furfanti indossando maschere, denunciare problemi senza spiegarli, lanciare tiritere moraleggianti senza mai salire sul pulpito. L’abile mix di serio e faceto che giunge ai telespettatori segnala continuamente la propria diversità rispetto alla Tv “seria”, quella dei notiziari ufficiali, anche quando l’inviato – con lo sturalavandini in testa – denuncia le peggiori porcherie. In questo modo ci si ritaglia una zona franca in cui non vigono le regole del buon giornalismo, la verifica delle fonti, il diritto di replica. Si tratta di mimetismo, capacità di camuffarsi per trarne vantaggio. E’ lo stesso metodo adottato da Grillo, che fa competizione politica senza mai vestire i panni del politico. Non che sia un atteggiamento del tutto nuovo, ma oggi Grillo riesce a sfruttarlo in modo estremo, ottenendone il massimo rendimento, sia per la personale capacità di giocare su piani differenti (non abbandona mai completamente la veste del ‘comico’, del giullare, libero per definizione di parlare senza freni) sia per la condizione attuale di un ‘pubblico’ fuorviato da vent’anni di messaggi televisivi ibridi ed efficaci.
Tutti i programmi tv che adottano “il modello di Striscia” provocano nei telespettatori sempre il medesimo dilemma: fidarsi o non fidarsi? Da un lato, lo spettatore sa bene che le informazioni che riceve non sono “ufficiali”, né confezionate in modo “normale”, e sa pure che concorrono – insieme alle buffonate più evidenti – alla vera finalità della trasmissione: intrattenere il pubblico per somministrargli i soliti “messaggi promozionali”. Tuttavia, dall’altro lato, ogni nuova rivelazione (anche poco importante) è benaccetta da uno spettatore che vede gli organi “ufficiali” non darne conto e sempre più si convince che questo modo irregolare sia l’unico possibile per raccontare la verità, visto che il Tg1 e il Tg5 (quindi “l’intero sistema dell’informazione”) non hanno il coraggio di additare tutti i malfattori. Il messaggio che arriva allo spettatore è forte e chiaro, come la Tv parlasse: “la nostra reale vocazione è decisamente un’altra, ma in un contesto così brutale non possiamo fare a meno di denunciare tutte le porcherie, in un sistema dell’informazione così connivente con i potenti non possiamo che stare dalla parte della gente”. Ecco quindi che i clown si ergono a paladini dell’anti-sistema, solleticano il rancore popolare verso “i potenti” e scommettono sull’assoluzione da parte del pubblico per la forma adoperata: tutto è permesso a chi consente di accedere senza fatica ad un sapere superiore.
Risolto l’annoso dilemma “televisivo” con la scelta di fidarsi, milioni di elettori si son trovati pronti, ancor prima della discesa in campo del Movimento 5 Stelle, a seguire la stessa dinamica in campo politico, sciogliendo il dilemma iniziale in favore di un sostegno fideistico ad un paladino anti-sistema. Pienamente conscio di questa predisposizione, Grillo si è immediatamente posto come “anti-politico” e, in quanto “anti-sistema”, come l’unico in grado di diffondere tutte le verità nascoste dalla politica alla gente comune. In questo senso, è da notare il superamento di Berlusconi, che si presentava come “non politico” e quindi, provenendo da “fuori dal sistema”, era percepito da milioni di cittadini come l’unico in grado di capirli e di mettersi “dalla parte della gente”. Oggi, al contrario, Grillo reclama la gente a sé, a seguirlo nella battaglia verso un chimerico nemico comune. I sostenitori non temono di essere ingannati perché conoscono il gioco: chi ha votato Grillo sa benissimo che è un miliardario, che fa un merchandising sfrenato dei suoi prodotti, che usa la censura sul suo blog, eppure per loro Beppe rappresenta l’unica sponda che può opporsi al potere per dire la verità. Ed ecco che milioni di italiani risolvono il dilemma col medesimo “realismo” già applicato ai programmi ibridi della Tv commerciale: ne conoscono tutti i difetti, ma non possono che sostenerlo. Applicano anche qui “il paradigma dell’assoluzione”, particolarmente pericoloso quando penetra nella sfera politica.
In tutto questo il Web ha un ruolo marginale, anche se è lì che il Movimento si organizza e prende forma: non è in rete che si costruisce il consenso popolare per il paladino, a confermarlo è sufficiente lo stesso risultato elettorale (8 milioni e mezzo di voti provengono evidentemente da tutte le età e strati sociali). Il Web è semmai il luogo dove si riverbera l’aggressività di una scelta fideistica, specialmente nelle polemiche con coloro che esprimono critiche (basta frequentare i principali social network per rendersene conto). La stessa figura di Grillo è coerente a un consenso raccolto “verticalmente”, non certo costruito “orizzontalmente”: è un leader populista e tradizionale, che attraversa lo stretto di Messina a nuoto e incentra tutta la campagna elettorale sui suoi comizi, rivelando l’ipocrisia delle chiacchiere sull’orizzontalità e sulla democrazia diretta. L’utilizzo programmatico e declamato del Web da parte di Grillo ha invece un ruolo fondamentale per sostenere l’immagine “anti-sistema” del movimento e del suo leader presso gli altri media, a cominciare da quello televisivo, l’unico in grado di raggiungere tutti gli elettori. Con una sensibilità mediatica nettamente superiore a quella dei politici regolari, Grillo ha capito che l’unico modo per stare tutti i giorni in televisione senza subirne la capacità corruttiva (della propria immagine) è muoversi “contro la televisione”: nascondersi per apparire, insultare per farsi rispondere, scrivere il blog per ascoltarsi al tg. Ma il modo più elevato per apparire “anti-televisivo” è l’apologia della Rete come mezzo di comunicazione opposto alla Tv, come zona libera dai condizionamenti del potere e presunto veicolo di partecipazione diretta. Il Web per parlare alla tv.
Diceva McLuhan che “per farsi capire al giorno d’oggi bisogna parlare con due voci”. Grillo lo ha pienamente compreso e la sua comunicazione è estremamente efficace. L’indagine dei canali e dei modi che utilizza è particolarmente affascinante per chi si occupa di analisi dei media, ma anche inquietante, visto che delinea sempre più chiaramente una nuova forma di populismo, in cui la Rete è utilizzata come lusinga per attirare in un tranello assai meno nuovo, quello della “videocrazia”, che in forme più sofisticate continua ad affliggere la democrazia italiana.
Marco Pigliacampo
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