Un militare dell’aeronautica degli Stati Uniti s’è dato fuoco domenica scorsa davanti ai cancelli all’ambasciata di Israele a Washington. Aaron Bushnell, 25 anni, di San Antonio, Texas, s’è ucciso perché “non voleva più essere complice di un genocidio”. Il giovane, che ha diffuso il suo gesto via diretta streaming, contestava l’atteggiamento filo-israeliano dell’Amministrazione Biden.

Per lo stesso motivo, gli arabo-americani del Michigan, lo Stato dell’Unione dove la comunità è percentualmente più numerosa, hanno boicottato, martedì, nelle primarie democratiche, Biden: hanno fatto una croce su ‘uncommitted’, invece che sul nome del presidente candidato.

E’ il segno di una insofferenza diffusa e crescente, negli Stati Uniti, per le atrocità della guerra tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza. La crepa tra Amministrazione Biden e governo israeliano s’allarga.

Mentre Bushnell compiva il suo gesto, il premier israeliano Benjamin Netanyahu metteva a punto, con il suo governo, i dettagli dell’operazione di terra a Rafah, la cui attuazione sarebbe solo “rinviata” da un’intesa con Hamas per una tregua. E delineava un piano per il futuro della Striscia, dopo il conflitto, subito bocciato da tutte le altre parti in causa.

La guerra è ormai vicina al 150° giorno: la prossima settimana saranno cinque mesi dal 7 ottobre, quando incursioni terroristiche in territorio israeliano di miliziani di Hamas e di altre sigle fecero 1200 vittime e condussero alla cattura di circa 300 ostaggi. Da allora, i morti palestinesi sono stati circa 30 mila, nella stragrande maggioranza civili, donne e bambini a migliaia. Centinaia i militari israeliani caduti.

Il presidente americano Joe Biden crede, o almeno spera, che i negoziati, mediati da Qatar ed Egitto con il concorso degli Usa, si stiano avviando a un’intesa: un cessate-il-fuoco in cambio del rilascio di alcuni, se non tutti, gli ostaggi nelle mani di Hamas. Biden dice che l’accordo potrebbe esserci entro lunedì oppure entro l’inizio del Ramadan, il 10 marzo.

Dopo il sussulto d’attenzione nel secondo anniversario dell’invasione russa, la guerra in Ucraina è tornata a essere “l’altra guerra” nelle priorità mediatiche, nonostante la retorica pro – Kiev del G7 virtuale presieduto sabato 24 dalla premier italiana Giorgia Meloni e della riunione ‘alternativa’ indetta a Parigi lunedì 26 dal presidente francese Emmanuel Macron.

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.