Israele ordina ai palestinesi, che hanno già abbandonato il Nord, di evacuare il Sud della Striscia, ma non c’è più terra dove andare,mentre le truppe e i carri armati israeliani estendono il raggio d’azione a Gaza, portando morte e devastazione. Due milioni di persone, che prima si accalcavano su 360 kmq della Striscia, con una densità di quasi 6000 abitanti per kmq, sono ora stipati su metà del territorio.

Fonti dell’Onu segnalano che la situazione è “apocalittica”, con la gente che “non ha posti sicuri dove andare”, mentre viveri, medicinali, energia scarseggiano fra crescenti, ma vane, preoccupazioni internazionali. Nell’area di guerra, il blackout di internet è quasi totale: vuol dire che i palestinesi non sono in grado di comunicare fra di loro o di chiamare i soccorsi o di sapere dove dirigersi una volta evacuate le loro abitazioni; e gli operatori umanitari non possono coordinare gli interventi e fornire adeguata assistenza.

Al 60° giorno, la guerra tra Israele e Hamas tocca il suo apice. E l’Unione europea denuncia “l’enorme rischio” di attacchi terroristici sul proprio territorio durante le feste di fine anno.

In Ucraina, sul fronte dell’‘altra guerra’, la pace resta una chimera e sfuma la prospettiva che Kiev riesca a riconquistare i territori occupati. Il presidente russo Vladimir Putin, dopo avere partecipato al G20 informale di fine novembre, pare avere ritrovato sicumera e baldanza: va in Arabia Saudita e negli Emirati a fare valere le sue credenziali di leader di un Paese produttore di petrolio.

Guerra Israele – Hamas: dopo la fine della tregua
Da lunedì, l’esercito israeliano, che già controlla il Nord della Striscia, avanza nell’ultima porzione di territorio rimasta nelle mani di Hamas. L’operazione potrebbe concludere il conflitto, se dovesse raggiungere gli obiettivi: decapitare l’organizzazione palestinese, eliminandone i capi, ed eradicarla dal territorio.

Nella notte tra domenica e lunedì, il colume di fuoco è stato il più intenso, dalla fine della tregua. Con volantini, la popolazione civile è stata di nuovo invitata a sfollare, verso Rafah questa volta: soldati distribuiscono ai civili piantine della Striscia suddivisa in centinaia di zone, alcune che saranno toccate da bombardamenti e combattimenti, altre invece sicure. I residenti devono lasciare le “aree di guerra”. L’Onu calcola che 1,8 milioni di persone a Gaza, circa l’80% della popolazione, hanno già dovuto abbandonare le proprie case e sono profughi dentro la Striscia.

I combattimenti erano ripresi all’alba di venerdì primo dicembre, dopo una tregua di sette giorni che ha permesso la liberazione di un centinaio di ostaggi e il rilascio di oltre 200 detenuti palestinesi, donne e minori. Almeno 137 ostaggi restano nelle mani di Hamas e di altre sigle combattenti palestinesi – 115 uomini, 20 donne e due bambini, secondo i conti di Israele contestati da Hamas, che dice di non avere più né donne né bambini -: Israele si ripromette di liberarli e di eliminare Hamas, “anche se per farlo ci vorranno anni”. Per il Financial Times, la campagna di Israele contro i fondamentalisti andrà avanti un anno o più.

La nuova fase delle ostilità ha già fatto centinaia di morti fra i civili palestinesi – dati del Ministero della Sanità di Gaza -. Le vittime palestinesi di due mesi di conflitto superano le 16 mila, i feriti sono oltre 40 mila. La guerra è stata innescata dai raid terroristici di Hamas in territorio israeliano che fecero, il 7 ottobre, 1200 vittime.

Israele dice di aver ucciso, sabato, un comandante di Hamas protagonista dei raids del 7 ottobre: Wisam Farhat della brigata Shajaiyeh. L’escalation di morte e violenza provoca sussulti terroristici in varie parti del mondo: domenica, l’Isis ha attaccato una comunità cattolica nelle Filippine – quattro deceduti, oltre 40 feriti -; sabato, c’era stato un attacco letale a un turista tedesco di 24 anni a Parigi, nei pressi della Torre Eiffel.

Guerra Israele – Hamas: diplomazia e rivelazioni
La diplomazia continua a tessere le fila per una ripresa dei negoziati – formalmente sospesi la notte tra il 30 novembre e il primo dicembre -. La Cop 28 in corso a Dubai offre un’ulteriore opportunità negoziale, con un intreccio d’incontri cui ha anche partecipato la premier italiana Giorgia Meloni.

Secondo la Cnn, il segretario di Stato Usa Antony Blinken e quello alla Difesa Lloyd Austin hanno entrambi sollecitato il premier israeliano Benjamin Netanyahu a risparmiare quante più possibili vite civili. Di fronte alle rassicurazioni di Netanyahu, smentite dai fatti, Blinken ha gelidamente osservato: “Le intenzioni contano, ma contano pure i risultati”. E Austin ha prammaticamente osservato: “Se spingete i civili nelle braccia del nemico, trasformate una vittoria tattica in una sconfitta strategica”.

Anche Papa Francesco ha ammonito Netanyahu a non commettere “atti di terrore” nella Striscia. Della telefonata, avvenuta giorni fa, non era stata data notizia: Israele non l’aveva apprezzata, vedendovi una conferma di una posizione filo-palestinese della Santa Sede.

Il New York Times ha intanto ottenuto documenti che provano che l’intelligence israeliana conosceva da oltre un anno i piani di Hamas messi in atto il 7 ottobre, ma li aveva considerati “irrealistici” e troppo difficili da realizzare. Una rivelazione che alimenta le polemiche sull’operato del premier Netanyahu, che l’alleato rivale Benny Gantz – secondo Politico – si appresta a scalzare.

Guerra Israele – Hamas: i movimenti sul terreno
Venerdì mattina, la ripresa delle ostilità era stata segnata da scambi d’accuse su chi avesse per primo violato la tregua, mentre i mediatori internazionali ostentavano la speranza di una ripresa delle trattative, che però non s’è finora vista – contatti sotto traccia a parte -. La ripresa delle ostilità “complica gli sforzi di mediazione ed esaspera la catastrofe umanitaria”, constata una fonte del Qatar citata dalla Cnn.

I bombardamenti su Gaza, da terra, dal cielo e dal mare, sono ripresi 30 minuti dopo la fine della tregua. Fra i primi obiettivi colpiti, un grande edificio a Khan Younis, con decine di vittime. In Israele, le sirene hanno suonato per segnalare lanci di razzi – una cinquantina quelli effettivamente sparati -. I media Usa parlano di un piano per inondare i tunnel di Gaza, rendendoli inutilizzabili.

La tregua, inizialmente prevista di quattro giorni, ma durata una settimana, ha consentito, oltre a scambi di ostaggi e prigionieri, la consegna accelerata di aiuti umanitari a Gaza, viveri, medicinali, combustibili. Ma, ora, l’emergenza umanitaria è tornata a essere acuta. I rapporti tra Israele e l’Onu, che la denuncia,  sono a un minimo storico.

Oltre che provare a ricucire una tregua, la diplomazia s’interroga su quello che sarà l’assetto della Striscia di Gaza dopo la fine della guerra. Gli Stati Uniti valutano quale sia l’opzione migliore “fra scelte tutte cattive”, scrive l’Ap: le preferenze dell’Amministrazione Biden vanno alla gestione della Striscia da parte di una “rivitalizzata” Autorità nazionale palestinese: la soluzione non piace per nulla a Israele e piace poco ai palestinesi, ma potrebbe anche rivelarsi l’unica opzione vitale.

La ripresa delle ostilità coinvolge la Cisgiordania, dove gli Stati Uniti chiedono a Israele di frenare le violenze dei militari e dei coloni e intendono negare il visto ai coloni estremisti; e pure il confine con il Libano, dove va avanti lo scambio di colpi – occasionalmente letale – con Hezbollah. I fremiti di guerra arrivano al Mar Rosso, dove missili sparati dai ribelli Huthi dello Yemen hanno colpito tre navi commerciali, mentre una nave da guerra Usa ha abbattuto tre doni in un’operazione difensiva. Gli Huthi hanno rivendicato gli attacchi, spiegando di voler impedire la navigazione nel Mar Rosso a navi israeliane.

Ucraina: un altro inverno di guerra e stenti, gli aiuti in panne
L
a stampa americana crede di avere capito perché la controffensiva ucraina, tra la primavera e l’autunno, non ha funzionato: errori di calcolo e differenze d’opinione fra Stati Uniti e Ucraina hanno costituito la ricetta di un disastro tattico, tra reciproche diffidenze e crescenti dubbi sull’effettiva possibilità che Kiev riconquisti porzioni significative del proprio territorio.

Risultato: la vigilia di un secondo inverno bellico, con la popolazione ucraina esposta a sacrifici e sofferenze, senza neppure potere fare troppo conto sugli aiuti americani, perché il Congresso tiene in scacco la Casa Bianca sul bisogno urgente di fondi per sostenere l’Ucraina, con aiuti militari e umanitari. “Stiamo finendo i soldi e abbiamo quasi finito il tempo” constata l’ufficio del Congresso per il bilancio. Ma, per beghe di politica interna, la richiesta di 106 miliardi di dollari d’interventi per l’Ucraina resta in stallo al Congresso.

Al fronte, la guerra va avanti con ritmi ormai consueti: attacchi reciproci con aerei, droni e missili; sabotaggi ucraini dietro le linee russe – presi di mira snodi ferroviari sulle linee verso la Crimea -; accuse reciproche di crimini di guerra (Kiev sostiene che soldati russi hanno ucciso militari ucraini dopo che si erano arresi).

Lo scorso week-end c’è stato l’attacco più massiccio su Kiev dall’inizio del conflitto: dei 75 droni lanciati, la stragrande maggioranza sono stati intercettati dalle difese aeree ucraine. Ci sono stati feriti e temporanei blackout. La Russia, forse, s’appresta e ripetere la strategia dello scorso inverno: colpire le infrastrutture energetiche, privare la popolazione di riscaldamento e aumentarne i disagi. Ma le aziende energetiche ucraine fanno sapere di avere rafforzato le proprie difese.

Secondo l’Economist, per la prima volta dall’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio 2022, “Putin sembra stia vincendo la guerra”: il presidente russo “ha rafforzato la presa sul potere, s’è procurato forniture militari all’estero e sta contribuendo a rivoltare il Sud del Mondo contro gli Stati Uniti. Fondamentalmente, sta minando la convinzione dell’Occidente che l’Ucraina possa – e debba – emergere dalla guerra come una fiorente democrazia europea”.

A Skopje, dopo una riunione dell’Osce, il ministro degli Esteri russo Serguiei Lavrov afferma che, nel maggio del 2022, c’era un’intesa per porre fine alla guerra, “ma l’allora premier britannico Boris Johnson s’oppose”. Ora, prosegue, “Non vediamo nessun segnale da Kiev o dai suoi padrini di disponibilità a cercare alcun tipo d’accordo politico. E, dunque, noi non vediamo alcuna ragione di rivedere i nostri obiettivi”.

 

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Giampiero Gramaglia
Giornalista, collabora con vari media (periodici, quotidiani, siti, radio, tv), dopo avere lavorato per trent'anni all'ANSA, di cui è stato direttore dal 2006 al 2009. Dirige i corsi e le testate della scuola di giornalismo di Urbino e tiene corsi di giornalismo alla Sapienza.