Gli organizzatori della convention democratica a Filadelfia hanno elaborato un’immagine icastica della storica nomination di Hillary Clinton, che è ufficialmente divenuta la prima donna candidata alla Casa Bianca da uno dei due maggiori partiti statunitensi: in un video di neppure due minuti, Hillary rompe davvero il ‘tetto di cristallo’, come viene metaforicamente chiamata la barriera invisibile che ostacola da sempre l’ascesa delle donne al vertice.
Nel montaggio sfilano i 44 uomini che l’hanno preceduta alla Casa Bianca: una carrellata di volti che alla fine compongono un tetto di vetro vero e proprio. E, in un crescendo, il volto di Hillary viene in primo piano tra i vetri infranti: vestita con un fiammante abito rosso, circondata da donne. Folgorante anche la chiusa del video, indirizzata alle bambine “forse all’ascolto”: “Può essere che io diventi la prossima presidente degli Stati Uniti. Ma una di voi sarà la successiva”.
Per due settimane, gli Stati Uniti hanno vissuto al ritmo delle convention, prima la repubblicana, poi la democratica: l’informazione politica è stata monopolizzata dai due eventi, che hanno sancito, dopo le primarie, le candidature alla Casa Bianca di Hillary e di Donald Trump. Per cento giorni, ora, i due rivali si daranno battaglia in vista dell’Election Day, l’8 Novembre.
Uno scrittore americano, Percival Everett, è stato molto critico su come i media hanno raccontato l’appuntamento repubblicano, accusandoli di “mancanza di profondità e rigore intellettuale” e denunciando la passività dei giornalisti di fronte alla messa in pratica sistematica “della collaudata tecnica fascista che consiste nel reiterare menzogne fino a quando non vengono considerate verità” e d a dibattiti ridottisi “a un rabbioso scandire di slogan da parte di pochi presentati come se fossero molti”.
La critica di Everett, condivisa da intellettuali e liberal, innesca una discussione sul basso livello della campagna 2016. Su cui, però, più delle preoccupazioni sul rispetto – o meno – dei valori, rischiano di incidere le paure del terrorismo e dell’immigrazione. Proprio quelle su cui gioca Trump (e cui la stampa indulge).