Sarà un anno volatile. La situazione in Iran, Corea del Nord e Venezuela va monitorata da vicino. Difficilmente assisteremo a una dissoluzione dell’Eurozona, a transizioni politiche catastrofiche o a strascichi della Primavera Araba

Nel corso degli ultimi anni, i grandi sconvolgimenti internazionali hanno scatenato timori e indecisioni tra gli investitori, con importanti implicazioni per i prezzi dell’energia. La crisi finanziaria del 2008, le successive turbolenze di mercato e il rallentamento economico mondiale, i continui disordini della Primavera Araba, gli allarmi creditizi, i declassamenti delle economie sviluppate e il sussistere della crisi del debito dell’Eurozona, alimentano il timore di ulteriori calamità all’orizzonte. Tutti questi eventi macroeconomici hanno continuato a evolversi e continueranno a farlo in futuro. Eppure, il grande tema del 2012 non saranno solo le minacce che si concretizzeranno ma anche quelle che non si svilupperanno. Approfondiamo qui i rischi che potrebbero influenzare i mercati – e la possibilità, o meno, che si concretizzino – prima di analizzare più da vicino alcuni dei paesi produttori di petrolio particolarmente importanti e le specifiche sfide sottovalutate che dovranno affrontare.

Molti dei rischi che fanno più notizia relativamente al 2012 sono in realtà minacce sopravvalutate o fraintese. Detto questo, la mera percezione di mercato di questi rischi avrà un effetto domino sull’andamento dell’economia mondiale e sulle prospettive energetiche nel corso di quest’anno, in quanto la propensione al rischio degli investitori è influenzata dalla percezione delle probabilità di crisi e i prezzi del petrolio oscillano sulla scia dei rischi sia geopolitici che di offerta-domanda. Vi sono quattro importanti “falsi rischi” che meritano un approfondimento: la possibilità di una dissoluzione dell’Eurozona, l’impatto di imponenti transizioni politiche, la probabilità di un atterraggio duro dell’economia cinese e l’enfasi sulla democrazia nel movimento della Primavera Araba.

Primavera araba: un test per la democrazia o la stabilità?
La cronaca degli eventi della Primavera Araba del 2011 non ha colto il fulcro della questione. L’ascesa dell’Islam e della democrazia nei governi arabi è un aspetto sicuramente importante, ma il tema che continuerà a svilupparsi e a propagarsi su scala più ampia nel 2012 è un altro. Più che un’ondata di democrazia, la Primavera Araba è servita da cartina tornasole per la stabilità (o fragilità) dei singoli paesi, a prescindere dalla loro forma di governo. Un regime consolidato e stabile come quello dell’Arabia Saudita ha saputo liberarsi del movimento senza particolari conseguenze, mentre i paesi più fragili, come Siria ed Egitto, ne sono stati sopraffatti.

Gli stati con istituzioni fragili e carenza di capitale politico sono poco attrezzati per gestire le tensioni sociali interne. Una regola, questa, cui sono soggetti indistintamente tanto gli stati autoritari quanto le democrazie. Un chiaro esempio di democrazia che è andata via via deteriorandosi, cadendo preda di una crescente instabilità nell’ultimo anno è l’Ungheria, dove le riforme implementate dal Primo Ministro Viktor Orban e dal suo partito, la Fidesz, minano alla base le istituzioni democratiche, danneggiando la posizione del Paese sulla scena internazionale. Qui, il deterioramento dello stato non va di pari passo con le riforme democratiche, anzi, avviene l’esatto contrario. Pur rappresentando importanti tendenze emerse con la Primavera Araba, l’ascesa dell’Islam e la nascita di un processo di democratizzazione sono semplici prodotti collaterali del movimento. Ciò che più conta, sullo sfondo della continua propagazione del dissenso, è la fragilità degli stati. Lo stesso vale anche al di fuori del Medio Oriente: il rischio per i paesi meno solidi interessa tutte le aree geografiche e le ideologie. Fra gli stati autoritari, paesi come la Corea del Nord e il Venezuela devono essere monitorati da vicino (due argomenti che approfondiremo in seguito); fra quelli democratici, è opportuno osservare attentamente Grecia, Romania e Thailandia.

Malgrado ciò che sembrano suggerire i media, è esagerato ritenere che decine di paesi siano sull’orlo dell’abisso. Non prevediamo, ad esempio, una “Primavera” in Cina, dove il governo è abituato a gestire attentamente migliaia e migliaia di proteste ogni anno. Anche in Iran, che pure è un’altra zona calda in termini di potenziali crisi sia interne che internazionali, non si prevedono nell’immediato futuro proteste popolari paragonabili a quelle del 2009 (l’Iran sarà discusso in modo più approfondito nel seguito).

Da questo punto di vista, la Primavera Araba è un falso problema in quanto non rappresenterà una minaccia esistenziale per molte nazioni nel 2012. Gli aspetti del movimento che riguardano democrazia e Islam sono di grande, ma non fondamentale, importanza; fondamentale è invece capire quale sia il grado di stabilità di uno stato, il fattore più importante per determinare la sua possibile capacità di tenuta a fronte di una crisi imprevista, sia essa rappresentata da disordini sociali, come nel mondo arabo, da un collasso economico o persino dalla spaventosa combinazione di tre calamità: terremoto, tsunami e disastro nucleare.

Transizioni politiche sopravvalutate.
Nel 2012 sono previste elezioni politiche e avvicendamenti della leadership in molti paesi, che insieme rappresentano oltre la metà del PIL mondiale, inclusi 4 dei 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ma per quanto possa sembrare strano, l’importanza delle transizioni politiche di quest’anno è decisamente sopravvalutata. Malgrado il grande clamore che le ha precedute, le elezioni in Russia si sono concluse con l’esito più prevedibile: il 4 marzo, Putin ha conquistato la Presidenza con uno scarto di voti sufficiente a evitare il ballottaggio. I lunghi mesi di rumorose proteste e dimostrazioni sono svaniti nel nulla, rivelandosi per ciò che effettivamente erano: semplice rumore. Le altre tre importanti tornate elettorali, negli Stati Uniti, in Cina e in Francia, meritano certamente la nostra attenzione ma, in ultima analisi, non dovrebbero determinare cambiamenti particolarmente significativi dal punto di vista dei rischi globali. Da qui al prossimo mese di novembre, la corsa alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti riceverà enorme attenzione da parte dei media, ma eventuali conseguenze significative, ammesso che ce ne siano, non saranno evidenti almeno fino al gennaio 2013. L’attività politica non farà che rallentare in vista delle elezioni, con le autorità di Washington completamente concentrate sulla corsa alla Casa Bianca. L’attività legislativa diventerà frenetica in novembre e dicembre, quando il Congresso sarà chiamato a prendere decisioni per un valore di 5.000 miliardi di dollari (dalle agevolazioni fiscali ereditate dall’era Bush a un’eventuale riduzione del tetto del debito), ma non vi saranno ripercussioni fino a che queste misure non entreranno in vigore l’anno prossimo. Inoltre, l’importanza dei diversi orientamenti dei due candidati alla presidenza potrebbe essere sopravvalutata. Il vincitore delle elezioni presidenziali – Obama o il suo sfidante repubblicano – sarà limitato dagli stessi vincoli politici ed economici che restringeranno i poteri effettivi di tutti i presidenti statunitensi negli anni a venire. In Cina, una nuova generazione di leader arriverà presto al potere, ma la successione politica verrà attentamente pianificata in modo da evitare particolari sorprese. Le autorità di Pechino, nel rispetto del tradizionale stile di governo basato sul consenso, affideranno a Xi Jinping la presidenza e a Li Keqiang l’incarico di primo ministro. I nuovi leader del Partito Comunista cominceranno ad assumersi rischi politici significativi – in modo particolare il trasferimento di ingenti ricchezze dai settori dell’export ai consumatori cinesi – ma, anche in questo caso, l’impatto non sarà evidente fino almeno al 2013, quando i nuovi leader saranno saldamente insediati nei rispettivi ruoli. In Francia, lo scarso tasso di approvazione popolare vede il Presidente Nicolas Sarkozy sfavorito nella sfida con il candidato del Partito Socialista Francois Hollande. Ma la possibilità di una vittoria di Sarkozy non può essere esclusa e, se rieletto, il presidente francese proseguirà la sua missione d’alto profilo di rafforzare la fiducia nell’Eurozona. Hollande ha invece dichiarato di voler rinegoziare l’accordo UE, che richiede un’austerità eccessiva e non fa abbastanza per promuovere la crescita. Ma lo stesso Hollande difficilmente potrà dare seguito a questa minaccia, in quanto un intervento di questo tipo creerebbe disordini di mercato che si ripercuoterebbero allo stesso modo sull’Europa e sulla fragile economia francese. Di conseguenza, per quanto riguarda la questione che più interessa agli osservatori esterni – quale leader francese affiancherà Angela Merkel nel fornire leadership e direzione all’Eurozona – non vi saranno particolari cambiamenti nel breve termine, sia che si instauri una nuova partnership “Merkollande” o che prosegua l’asse “Merkozy”.

Nessun collasso dell’Eurozona. Innanzitutto, nonostante il miglioramento delle prospettive e malgrado si tratti di una possibilità fortemente sopravvalutata, sono ancora in molti a parlare di una dissoluzione della zona euro come di un rischio imminente. Le cupe previsioni economiche e il sussistere delle divergenze politiche nella regione saranno temi dolorosi per gli investitori nel 2012 e contribuiranno ad alimentare le incertezze economiche mondiali. Tuttavia, malgrado questi problemi siano un motivo sufficiente per temere la dissoluzione della più importante unione monetaria al mondo, le dinamiche politiche nei paesi sia principali che periferici garantiranno la sopravvivenza della stessa, almeno per quest’anno. In Germania, l’impegno politico nei confronti dell’euro rimane solido, malgrado le spaccature all’interno della coalizione di governo relativamente al ruolo del Paese nel processo di risoluzione della crisi. Tutti i principali partiti politici tedeschi intendono salvaguardare l’Eurozona, anche se questo dovesse comportare costi politici ed economici importanti. L’elite politica del Paese ben sa che le sorti dell’Eurozona influenzano l’esistenza dell’Unione Europea stessa (che ha consentito 54 anni di stabilità politica ed economica nel vecchio continente). È vero che i contribuenti tedeschi non intendono assumersi l’ulteriore impegno finanziario di salvare dal fallimento i paesi europei meno parsimoniosi nella gestione del denaro pubblico, ma la maggior parte di loro accetterà, seppur a malincuore, le misure necessarie a salvaguardare la moneta unica, dal momento che l’unica alternativa sarebbe una frammentazione dell’Eurozona con tutte le conseguenze che la stessa comporterebbe. Anche i paesi periferici hanno a cuore le sorti dell’Eurozona, malgrado il crescente malcontento generato dall’attuazione di misure di rigore altamente impopolari. Ma, finora, i partiti di estrema sinistra ed estrema destra non sono riusciti a sfruttare a loro vantaggio tale malcontento. I rappresentanti eletti di questi paesi sono ben consapevoli che i costi potenziali di un ritorno alle valute nazionali superano gli eventuali vantaggi; un’opinione generalmente ancora condivisa dagli elettori. Pertanto, a questo punto, non sembrano esistere fattori politici credibili in grado di causare una dissoluzione dell’Eurozona.

Nessun atterraggio duro dell’economia cinese. I timori di una bolla economica cinese agitano i mercati. Molti osservatori prevedono che un cocktail letale fatto di crescita eccessiva, scoppio di una bolla immobiliare, proliferazione di prestiti in sofferenza e rallentamento dell’export determinerà una grave contrazione dell’economia cinese nel 2012. Ora, mentre questi fattori non promettono nulla di buono dal punto di vista della parabola economica cinese di lungo termine, gli stessi non determineranno un atterraggio duro nel 2012. La crescita cinese registrerà probabilmente una flessione, mentre il paese si avvierà con successo a un atterraggio morbido dell’economia, in un contesto di transizione politica che genererà un’avversione al rischio superiore alla norma in termini di decisioni legislative. Questa situazione si tradurrà in un’intensificazione delle misure pro-crescita in grado di generare una continua espansione dell’economia a un ritmo salutare, anche se meno rapido, nel 2012. In un sistema finanziario chiuso come quello cinese, una crisi bancaria può essere scongiurata mediante una combinazione di capacità fiscale e volontà politica, due qualità che non scarseggeranno a Pechino nel corso del 2012. Prevediamo un incremento delle spese fiscali e una politica monetaria distensiva. Le autorità cinesi dispongono degli strumenti necessari per promuovere i consumi interni e le spese aziendali; questa spinta a incrementare entrambi manterrà gli investimenti a livelli elevati, mentre i consumi delle unità familiari dovrebbero continuare ad aumentare rapidamente.

Rischi sottovalutati: Medio Oriente e paesi influenti

Mentre il rischio posto dalla Primavera Araba potrebbe essere stato frainteso, la minaccia più ampia costituita dal Medio Oriente resta largamente sottovalutata. La zona presenta rischi regionali enormi, in grado di ripercuotersi sui mercati petroliferi, sull’assetto geopolitico e sull’economia di tutto il mondo.  Mentre le preoccupate potenze esterne paiono sempre meno disposte ad accettare i rischi e le responsabilità insiti nel ruolo di fautori della stabilità mediorientale, si allarga il vuoto di potere. Questa mancanza di leadership regionale ostacolerà le transizioni politiche in corso in paesi quali Egitto, Libia e Tunisia, consentirà il sussistere dei disordini in Siria e alimenterà il conflitto fra le tre grandi potenze della zona: Arabia Saudita, Iran e Turchia. Prevediamo che queste tensioni si tradurranno in ulteriori faziosità e prospettive sempre più cupe e imprevedibili per la regione nel suo insieme. Israele si ritroverà sempre più isolato in quanto le istituzioni regionali, come la Lega Araba, non hanno la credibilità necessaria a svolgere con successo il ruolo di mediatori. Vi sono altre zone calde che meritano un’attenta osservazione e paesi che vanno monitorati nel corso del 2012. Il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, ad esempio, potrebbe intensificare i rischi in termini di sicurezza per il Pakistan e, di conseguenza, l’India. La grandissima velocità di propagazione delle proteste popolari contro molti governi arabi nel corso di quest’anno deve servire da monito: nel momento in cui l’impenetrabile regime nordcoreano comincerà a sfilacciarsi, il paese potrebbe crollare da un giorno all’altro. Il passaggio dei poteri da Kim Jong-il al suo poco attrezzato e impreparato terzogenito e l’assoluta mancanza di trasparenza del regime rendono indispensabile un attento monitoraggio della Corea del Nord nel 2012. L’Iran costituisce il rischio principale nel Medio Oriente e la minaccia rappresentata dal paese ha già generato un premio geopolitico sul prezzo del petrolio. La chiusura dello Stretto di Hormuz sarebbe certamente disastrosa, ma penalizzerebbe più di tutti proprio l’Iran; pertanto, rappresenta un’eventualità remota e costituisce un falso problema. Ma le minacce vuote si fermano qui. Le dichiarazioni ostili e aggressive dell’Iran sono il sintomo di un regime politico marcescente il cui atteggiamento si farà sempre più provocatorio man mano che esaurirà le opzioni a sua disposizione. La situazione politica iraniana si sta deteriorando. Il mandato di Ahmadinejad terminerà nel giugno 2013 e una sua rielezione è altamente improbabile, ammesso e non concesso che il presidente rimanga al potere fino ad allora. Le elezioni iraniane del 2 marzo si sono concluse con il risultato più prevedibile: la Majlis (l’Assemblea consultiva islamica) resta dominata dai conservatori tradizionalisti fedeli al Leader Supremo, Ali Khamenei, con un gran numero di integralisti ostili al Presidente Ahmadinejad. I contrasti tra la sua fazione e quella legata al Leader Supremo continuano a intensificarsi e genereranno ulteriori dissapori, nonché nuovi messaggi contraddittori e pericolosi da parte del paese. Questa stessa spaccatura ha anche determinato una crescente corruzione e una gestione degli affari ordinari ormai profondamente inquinata da interessi personali e incoerenze, nonché diversi, sconsiderati, tentativi di omicidio contro il Presidente. Come minimo, prevediamo che l’Iran causerà ulteriori problemi nel momento in cui le sanzioni internazionali danneggeranno la sua già fragile economia. Non va nemmeno esclusa la possibilità di azioni ancora più disastrose, sullo sfondo dei rischi rappresentati dal programma nucleare iraniano e dalle potenziali rappresaglie israeliane.
In virtù delle grandi riserve petrolifere, anche il Venezuela merita il ruolo di osservato speciale in vista delle elezioni previste per il 7 ottobre prossimo. Il Presidente Hugo Chavez dovrebbe aggiudicarsi le elezioni (se i continui problemi di salute non gli impediranno di candidarsi) ma le prospettive politiche ed economiche del paese continueranno a deteriorarsi a prescindere dall’esito elettorale. Se Chavez vincerà con pochi voti di scarto, come previsto, la lenta erosione economica del paese sarà destinata a continuare. L’incremento delle spese statali e di emissione del debito nel corso della campagna elettorale non farà che esacerbare il problema. Se a vincere sarà invece il candidato dell’opposizione, Capriles, la politica macroeconomica ed energetica potrebbe farsi più favorevole agli investitori, ma le aspettative di rapide riforme sono decisamente esagerate, in quanto il cambiamento sfocerà quasi sicuramente in delusione. Ancora più preoccupante è il fatto che le tensioni in questo paese profondamente diviso potrebbero intensificarsi nel momento in cui i sostenitori di Chavez dovessero scendere in piazza per protestare contro l’esito elettorale.
Anche se dovesse perdere le elezioni, Chavez rimarrebbe, comunque, una figura politica molto influente e i suoi alleati continuerebbero a controllare gran parte della burocrazia di stato. Ma le allarmanti, e poco chiare, condizioni di salute del Presidente in carica (che il 21 febbraio scorso ha annunciato di avere un nuovo tumore, probabilmente maligno) non fanno che offuscare ulteriormente le prospettive del Venezuela. Qualora un peggioramento della malattia impedisse a Chavez di candidarsi (o lo costringesse ad abbandonare la presidenza dopo aver vinto le elezioni), l’eterogeneo movimento Chavista avrebbe difficoltà a raccogliersi attorno a un nuovo leader nell’ardua lotta per restare al potere, generando rischi considerevoli per il futuro del Paese.

Un anno condizionato da rischi e questioni politiche

Complessivamente, il 2012 sarà un anno volatile e caratterizzato da rischi – reali o percepiti – in grado di influenzare i mercati, un anno in cui i prezzi del petrolio saranno regolarmente influenzati dalle questioni geopolitiche e in cui nuovi scossoni deriveranno da fonti impreviste. La situazione in Iran, Corea del Nord e Venezuela va monitorata da vicino, così come quella di tutto il Medio Oriente. Fra tutte queste fonti di preoccupazione, vi sono tuttavia alcuni scenari negativi che difficilmente si concretizzeranno; per tutti i motivi già illustrati, difficilmente assisteremo a una dissoluzione dell’Eurozona, a transizioni politiche catastrofiche, a un atterraggio duro dell’economia cinese o a strascichi particolarmente estesi della Primavera Araba.

Ian Bremmer

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