Il mistero di una vicenda mediatica che ha prodotto una vasta eco è durato mezza giornata.
I lettori mattinieri del Corriere della Sera dello scorso venerdì 13 marzo avevano dato ‘l’allarme’ su FB: a pagina 24 dell’edizione nazionale campeggiava una misteriosa lettera, apparentemente opera di un ‘ingenuo’ marito tradito, tal Enzo, che si era preso lo ‘sfizio’ di svergognare pubblicamente una moglie fedifraga, la ninfomane Lucia, comperando un’intera pagina sul quotidiano leader, nell’immaginario collettivo, e sancire coram populo la fine di un matrimonio.
Una modalità originale di lavare i panni sporchi nell’immenso fiume dell’opinione pubblica, nella quale sono stati molti a cascarci, ad appassionarsi, perché qui in Italia il dibattito e la contrapposizione paiono uno sport nazionale – il che spiega il successo dei social media.
Il fatto, in qualche modo, potrebbe avere un progenitore in una serie di azioni architettate da Veronica Lario (e dai suoi ‘consigliori’ mediatici) per colpire il marito allora premier: una lettera a Repubblica, prima; un’intervista particolarmente ‘ficcante’ all’ANSA, poi.
Una strategia assolutamente privata di rivendicazioni patrimoniali, glassate da apparenti lamentazioni di moglie tradita.
Riguardo al ‘caso’ Enzo & Lucia, poiché la curiosità è la mia molla vitale, ho controllato direttamente sul giornale la pagina ‘incriminata’, ricavandone la conferma della mia prima impressione: sono una diffidente sospettosa professionista e quell’ambaradan mi pareva sprizzasse falsità da ogni atomo d’inchiostro.
Ho persino un post su FB, in risposta ad un collega che si limitava ad ironizzare sui fatti, dando ad intendere di esserci ‘cascato’, a testimoniare la mia immediata intuizione, determinata più che altro dall’incredulità verso un marito che si dichiara travet e poi investe un po’ di migliaia di euro in questa teatrale vendetta.
I fatti mi hanno dato ragione, ma non è per compiacermi della mia giusta intuizione che desidero affrontare l’argomento, bensì per rimarcare come marketing, pubblicità, polifonia informativa utilizzino tutti i toni dell’organo mediatico, compresa la propensione alla pruderie ed al ‘buco della serratura’ per far giungere il proprio messaggio. E come l’esercito dei lettori-bersaglio ci caschi con tutte le scarpe, imbastendo persino dibattiti a cerchi concentrici per confrontarsi sui fatti.
L’iniziativa di Real Time per promuovere il programma ‘Alta Infedeltà’ (sottotitolo che dono generosamente alla produzione: ‘I panni sporchi è meglio lavarli in video’) ha colto certamente nel segno, appassionando la molecola provinciale a cui gli italiani si tengono pervicacemente abbarbicati e coltivando la passione per lo ‘spetteguless’ che ha fatto la fortuna di Dagospia ed emuli.
I creatori del testo pubblicato sul Corriere (che avrebbe dovuto regalargliela la pagina, tale è stato l’effetto scia indotto prodotto da quest’inserzione pubblicitaria off records) si sono anche presi il lusso di disseminare indizi che portavano ai titoli di alcuni programmi di punta di Real Time: un gusto ironico per speziare un’iniziativa già, sotto certi aspetti, pepatissima e massmediaticamente innovativamente paradigmatica.
Sotto il profilo, poi, dello studioso di comunicazione – ma anche dello psicologo sociale – si tratta di un tassello evolutivo di una transmedialità latente: coinvolge vari livelli di media, partendo dalla carta stampata, incrocia la parte web dello stesso quotidiano e poi si allarga a macchia d’olio sui social, in particolare Facebook – utile particolarmente come agorà di dibattito – e Twitter.
Ringraziando Iddio, l’intera operazione è stata sgamata e vi è stato anche un outing confessorio, altrimenti qualche incauto parlamentare avrebbe potuto pure plasmarci su un’interrogazione sull’opportunità di pubblicare una corrispondenza privata.
Resta il fatto che Real Time ha creato un caso-pilota per dimostrare le prospettive di cambiamento delle modalità di fare pubblicità grazie al web, ai social media e all’impatto che questi hanno sui pubblici di riferimento.
Da tutto questo, possiamo trarne, infine, un interrogativo: visto il successo ottenuto e la consapevolezza, nel pubblico, di aver fatto la figura dei sempliciotti, si è resa conto Real Time di aver bruciato i ponti a tutti, essendo ormai questa un’iniziativa che, almeno nella forma utilizzata, non è più replicabile (anche se gli italiani hanno la memoria di un colibrì anoressico e assai spesso dimenticano, avendo una coazione a ripetere)?
Annamaria Barbato Ricci