Nell’ambito del progetto Green Deal europeo, uno degli obiettivi della UE è dato dall’eliminazione graduale del carbone entro il 2050, strada che tuttavia si presenta quanto mai complicata a causa dei persistenti finanziamenti delle banche europee, corrispondenti ancora al 26%, rivolti ai progetti delle cosiddette nuove centrali sporche. Eppure secondo i dati Eurostat, nel 2019 la produzione di carbone si è attestata a 65 milioni di tonnellate, il 9% in meno rispetto al 2018, e tra gli Stati membri della UE soltanto Polonia e Repubblica Ceca si sono rivelati gli unici attuali produttori. I paesi dell’ Europa centro-orientale infatti, sono i più fermi oppositori alla campagna contro il rilancio del carbone, in quanto la loro produzione di energia elettrica si fonda saldamente sul combustibile fossile, di conseguenza temono che una transizione poco strutturata possa avere effetti negativi sulla loro crescita economica. Come è noto, infatti, è proprio il carbone che costituisce una delle fonti maggiormente inquinanti, corrispondenti al 15% del totale di emissioni di gas serra nell’Unione Europea ed al 38% delle emissioni di CO2. Paesi come Italia e Spagna hanno già programmato l’abbandono del carbone per il 2030, ed anche la Germania entro il 2038, nonostante l’iniziale resistenza legata al fatto che la fonte non rinnovabile soddisfi a tutt’oggi il 40% del fabbisogno energetico nazionale, rendendo il Paese il maggiore consumatore di carbone. Nonostante ciò, la Polonia ha in programma la costruzione di nuove centrali, così come la Turchia (che punta alla costruzione di 48 impianti) e l’Ungheria, la Romania e la Bulgaria, le quali nazioni, se non mirano alla costruzione di nuove centrali energetiche a carbone, puntano comunque ad incrementare il consumo anziché a ridurlo. In tal senso l’ European Union Emission Trading System (EU ETS), ossia il sistema di assegnazione di quote create per fornire incentivi economici per ridurre le proprie emissioni di gas ad effetto serra, potrebbe esercitare un impatto determinante sulla bancarotta delle centrali a carbone. Negli ultimi dieci anni quindi si è assistito ad un incremento delle energie rinnovabili e ciò grazie all’uso di energia solare e eolica che rappresentano circa l’86% della crescita globale di capacità rinnovabili nell’anno in corso, nonostante il leggero calo dell’energia solare nell’anno attuale (da 110 GW del 2019 a circa 90 GW nel 2020). Le principali fonti rinnovabili per la produzione di calore sono i biocarburanti solidi, come pellet di legno, letame essiccato, incenerimento di rifiuti rinnovabili e rifiuti alimentali, mentre, come è risaputo, il carbone è la fonte energetica che emette la maggiore quantità di gas a effetto serra. L’Italia quindi può orgogliosamente considerarsi tra i primi Paesi della UE per l’energia low carbon, ma per rispettare l’accordo di Parigi del 2015, sarebbe comunque necessario un tasso di crescita del 15% all’anno della produzione di energia solare e eolica, con una costante riduzione della produzione di carbone dell’ 11%. L’analista del Sandbag Dave Jones, ha affermato che il fatto che l’energia rinnovabile abbia superato il carbone è una buona notizia per il clima, ma i governi devono accelerare drasticamente la transizione del settore elettrico in modo che la produzione globale di carbone crolli già nel corso di questo 2020. “Passare dal carbone al gas significa semplicemente scambiare un combustibile fossile con un altro. Il modo più economico e veloce per porre fine alla produzione di elettricità da carbone è attraverso una rapida diffusione dell’energia eolica e solare”.