E’ la prima volta che il “digitale” entra in scena nel discorso di insediamento di un Presidente della Repubblica. Infatti, Sergio Mattarella –il nuovo Capo dello Stato- ha utilizzato un termine spesso rimosso nel e dal dibattito pubblico, aprendo uno squarcio sul tema inquietante del divario tra chi è tecnologicamente tutelato e chi no. L’Italia è ormai la maglia nera d’Europa sulla velocità della ”banda larga”, ed è pure arretratissima nelle connessioni. Si tratta, come è noto, di uno dei punti più delicati della stagione del capitalismo cognitivo, nonché della morfologia dei linguaggi e delle relazioni della contemporaneità. Non occuparsene è un delitto e bene ha fatto il neo Presidente a cogliere simile urgenza, in una riflessione asciutta ma chiara. Ivi compreso l’accenno al doveroso utilizzo dei nuovi strumenti nella Pubblica amministrazione. Con un altro riferimento preciso, che allarga la visuale al dettato costituzionale dell’autonomia e del pluralismo dell’informazione. Ecco, è una felice carta da visita del primo cittadino, che le cronache di questi giorni hanno ampiamente ricordato come protagonista antico della vicenda radiotelevisiva. Alla fine del luglio del 1990 Mattarella si dimise dal governo Andreotti insieme a quattro colleghi della “sinistra democristiana”, in segno di protesta contro la legge dell’allora ministro Mammì, sulla quale fu messa –tanto per cambiare- la fiducia. Fu la beatificazione del potere berlusconiano, cui furono concesse (caso unico al mondo, insieme al Messico) ben tre reti nazionali, numero diventato “sacro” e immutabile negli anni successivi, tra complicità e distrazioni, figlie della caparbia resistenza del “partito del conflitto di interessi”. Allora si giocò un pezzo rilevante della storia italiana, premessa della nascita di “Forza Italia”. Formazione nata nel video e sospinta dal vento favorevole dell’occupazione proprietaria dell’etere. Ebbene, ci furono dei nobili no nei riguardi del grave processo involutivo del rapporto tra media e politica. Negli altri paesi europei –dalla Francia, alla Germania, alla Spagna- si dava luogo alla concorrenza e alla rappresentazione di idee e di culture diverse, mentre in Italia si bloccò la lancetta degli orologi sul vecchio schermo generalista, impedendo l’evoluzione del pluralismo tanto politico quanto tecnico. Molti dei guai di oggi nascono da lì, come pure dall’incosciente assenza di visione sul versante del servizio pubblico, relegato al ruolo –via via ingiallito- di monopolio bis. La riforma venne progettata dal centrosinistra negli anni !996/2001, con Sergio Mattarella vice Presidente nel governo di D’Alema, ma l’ostruzionismo ostile delle destre e il fuoco amico di parti del
centrosinistra affossarono lo spirito innovatore. Quel testo (capostipite dei tentativi seguiti e delle speranze attuali) fu difeso da Mattarella, sicuro e convinto sostenitore della visione pubblica della comunicazione. Quindi, i cenni del discorso di apertura del settennato nascono da lontano e sono frammenti preziosi da prendere davvero sul serio. Se si raccordano con il costante richiamo alla Carta fondamentale e alla categoria della solidarietà, si coglie la premessa di un vero e proprio Manifesto. Non è corretto tirare la giacchetta della massima autorità, né è ragionevole dare valutazioni preventive. Aspettiamo con fiducia, sognando di poter avere un illustre garante del carattere costituzionale dell’informazione. E’ stato citato il capitolo duro della criminalità in rete. Ma digitale è pure il cuore della democrazia, per come si svolge ora.

Vincenzo Vita

Articolo precedenteMattarella: Wikipedia anticipa l’elezione, ma il Presidente non è sui social
Articolo successivoRischi Globali: tecnologia senza regole e politiche dell’innovazione al centro del rapporto 2015
Vincenzo Vita
Sono stato deputato dal 1996 al 2001 e Sottosegretario del Ministero delle comunicazioni nei governi Prodi, D’Alema e Amato, con delega al sistema radiotelevisivo e alla multimedialità. Ho collaborato alla preparazione di diverse leggi, come la Riforma generale del Sistema delle comunicazioni (L. 249/97), la normativa sulla Promozione di film e audiovisivi italiani ed europei (L. 122/98), la normativa Antitrust sui diritti televisivi del calcio criptato e sul “decoder unico” (L. 78/99), la legge sulla Par condicio (L. 28/2000), la legge quadro sull’Inquinamento elettromagnetico (L. 36/2001) e quella sul “digitale” (L. 66/2001). Numerose sono state le partecipazioni a riunioni europee e manifestazioni internazionali inerenti le tematiche radiotelevisive e culturali. Così a Ottawa, in Canada, nel giugno del 1998 ho contribuito alla nascita dell’International Network on Cultural Policy, un Forum di 23 Paesi dedicato ai temi della globalizzazione e della diversità culturale. In occasione della riunione di Santorini, in Grecia, nel 2000, sono stato nominato coordinatore per il Forum del gruppo di lavoro sui mezzi radiotelevisivi, incarico ricoperto fino alla fine del governo Amato nel 2001. Dal 2002 al 2004 ho fatto parte del Consiglio d’Amministrazione dell’Azienda Speciale Palaexpò di Roma. Dal 2003 al 2008 ho ricoperto il ruolo di Assessore delle Politiche Culturali, della Comunicazione e dei Sistemi Informativi della Provincia di Roma, ho lavorato alla creazione di un laboratorio progettuale, immaginando la Provincia come “distretto culturale”, per una politica culturale aperta e inclusiva, articolata in processi che tendono a obiettivi di sistema e stabilità. Ho cercato di contribuire alla ‘Provincia digitale’. Nell'ultima legislatura sono stato vice presidente della Commissione cultura del Senato. Una voglia di “comunicare la politica” che ho espresso anche a livello internazionale facendo parte dell’International Institute of Communication.