Giovannini fu colto dall’8 settembre mentre si trovava giovanissimo caporalmaggiore in Costa Azzurra assieme all’esercito italiano che doveva respingere un eventuale sbarco alleato. I tedeschi offrono ai soldati italiani 3 alternative: restare a combattere per la Germania; restare a lavorare per la Germania; essere trasportati in Germania come prigionieri. Sceglie quest’ultima: passerà 20 mesi in vari campi tedeschi fino all’aprile del ’45. In quei 20 mesi tenne un diario, un quadernetto nero appunto, da cui il titolo che viene pubblicato a 60 anni di distanza, come si diceva comincia proprio con l’8 settembre. Giovannini: “Quelle ore passate lì io le ho sempre considerate un’ora di vergogna, perché non siamo stati capaci, s’è sfasciato tutto, i generali sono spariti… Nessuno li ha più visti. Ecco però, quel giorno lì incomincia una redenzione che non è solo quella della lotta partigiana in Italia, ma di questi seicentomila disgraziati, quando bastava andare nella baracca a firmare dal sergente tedesco e accettare di aderire alla Repubblica di Salò ed essere rimandati a casa. C’è una forma di eroismo: tutti intestarditi a costo della fame, dell’abbrutimento, pur di essere contro”.
Un quaderno dalla copertina nera riposto in un cassetto insieme a qualche fotografia e a qualche lettera ingiallita. E’ un diario di prigionia che riprende vita, dopo sessant’anni, per raccontarci storie d’amore e di crudeltà, di coraggio e di orgoglio sullo sfondo della più grande tragedia umana del ‘900.
Lo ha scritto un caporalmaggiore di 22 anni, appunto Giovannini Giovannini, che negli anni seguenti sarebbe diventato, passo passo, inviato speciale de “La Stampa” di Torino, vicedirettore dello stesso giornale, proconsole dell’Avvocato nell’impero editoriale degli Agnelli, presidente dell’Ansa e presidente della Federazione degli Editori di giornali per oltre vent’anni.
Il libro, edito da Scheiwiller, viene presentato il 7 giugno alla Sala stampa Estera di Roma da Ezio Mauro, Arrigo Levi, Luigi La Spina.e dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta.
Giovanni lo dedicò “ai seicentomila soldati italiani che, prigionieri in Germania, dal 1943 al 1945, seppero scrivere una pagina degna di un onorevole ricordo” , ma anche – indirettamente – alla memoria di Larissa, una studentessa ucraina protagonista delle ultime drammatiche pagine del diario, una ragazza che il caporalmaggiore Giovannini non riuscì a salvare.