di MARIA PIA ROSSIGNAUD

 

In un mondo dove l’informazione primeggia si può essere “disinformati”. Vediamo perché.

Cultura significa, secondo me, acquisire nozioni, informazioni e soprattutto conoscenza da fonti considerate credibili alle quali si affida il compito di aiutarci a crescere a tutto tondo. Intanto con l’evolversi della società le fonti aumentano costantemente e trovarne di attendibili diventa forse uno dei drammi dell’odierno. Coloro che sono più impegnati, o che a pieno titolo svolgono funzioni rilevanti nella nostra società, alimentano un dibattito che attualmente è senza risposte. Trovare fonti attendibili potrebbe effettivamente diventare il tallone di Achille del terzo millennio.  Perché? Prima di tutto per l’evoluzione inattesa dell’esplosione della conoscenza. Questa esplosione ha portato una rivoluzione epocale che noi di Media Duemila abbiamo definito “La Grande Mutazione”. Una mutazione che ha coinvolto diversi attori del mondo dell’informazione e che oggi coinvolge il mondo intero, così come avevamo previsto. La trasformazione epocale è evidente, è davanti agli occhi di chi ne rimane stupito e davanti agli occhi di chi non ne comprende l’importanza.

Ciò che voglio immaginare insieme a voi tutti  è come giorno dopo giorno saremo informati, come saranno informati i nostri figli ed i nostri nipoti. Un’utopia, forse, ma bisogna sempre essere coscienti che temere il domani significa anche non saper costruire il presente, e quando non sappiamo costruire il presente ci illudiamo che ne saremo capaci domani, senza prestare troppa attenzione al fatto che l’oggi diviene sempre domani. Troppo spesso si è così avidi dell’oggi da dimenticare il domani.

Riprendiamo dunque proponendo una riflessione su tre concetti fondamentali per il mondo dell’ informazione. Informazione, Giornalismo e Propaganda.

Essere informati in modo corretto crea una serie di opportunità, essere oggetto di una campagna propagandistica di dubbia serietà può creare enorme disagio.

Su Wikipedia leggo che “la propaganda è l’attività di disseminazione di idee e informazioni con lo scopo di indurre a specifiche attitudini ed azioni; il conscio, metodico e pianificato utilizzo di tecniche di persuasione per raggiungere specifici obbiettivi atti a beneficiare coloro che organizzano il processo”. Essere informati dunque non significa proprio questo, ed il giornalismo dovrebbe essere una cosa diversa, almeno così insegnano nelle scuole di giornalismo.

Nel nostro terzo millennio, e cioè nell’età dell’informazione succede però che elementi distinti di uno stesso sistema vanno confondendosi sempre più a causa della disintermediazione dell’informazione. I cittadini sono diventati giornalisti, i giornalisti utenti-lettori e le voci si moltiplicano attraverso molti canali: Internet, social network, blog, sms, twitter (i cinguettii della rete)…

Eppure ciascuno di noi ha bisogno di informazioni corrette ieri come oggi. Solo che oggi è più difficile distinguere il grano dal loglio.

Possiamo allora affermare che l’informazione senza mediazione è da considerarsi propaganda? “La reintermediazione della disintermediazione” queste le parole con cui Sergio Maistrello, giornalista esperto in nuove tecnologie, definisce il problema su cui ogni persona, e non solo il giornalista, dovrebbe riflettere ed afferma: “Ora che, ad esempio, il governo Obama può parlare direttamente ai cittadini, chi svolgerà la funzione terza di discernere fra informazioni e propaganda?”.

Nell’ articolo, intitolato ”La reintermediazione della disintermediazione”, Maistrello afferma: “Può un governo, il cui compito è appunto governare, diventare anche il soggetto deputato a raccontare le proprie gesta senza scadere nella demagogia? Può permettersi di trattare con sufficienza i canali preferenziali con la stampa, non avendo più quell’unica urgenza nello spiegarsi al popolo?”.

Certo è pur vero che se ci troviamo di fronte ad un giornalista embedded il problema resta irrisolto. Questo però è un altro segmento di discussione che non riguarda il percorso scelto in questo documento di riflessione sulla tecnologia digitale ed i cambiamenti che questa sta producendo nel mondo dell’editoria e del giornalismo.

Il mediatore o più semplicemente il giornalista ha un ruolo centrale nella trasformazione in atto perché secondo me il mediatore, il bravo giornalista, fa la differenza fra tre concetti fondamentali: giornalismo, propaganda ed informazione (vedi Media Duemila di settembre “Ritorno al Wall Street Journal”).

Nessuna notizia è veramente gratuita, il problema è capire chi paga. Perché c’è sempre chi paga. E  se a pagare non è il lettore, a sostenere la pubblicazione è la pubblicità. Anche in questo caso l’informazione che riceve l’utente finale non si può considerare veramente oggettiva, perché deve tenere conto degli interessi di qualcuno.

Nell’oggi dovremmo poter escludere l’interesse di un leader nel voler fabbricare consensi non consoni ad una società democratica.  Ieri come oggi la politica si basa, vive e guadagna voti e quindi potere sulla costruzione ed acquisizione di consensi, dunque non si può escludere che attraverso l’impiego di tecnologie emergenti qualcuno  cerchi  di diffondere messaggi unilaterali.

Ed ecco che a questo punto emerge una dimensione determinante nel nostro dibattito: quella tecnologica. Come sottolinea e ripete Derrick de Kerckhove, stella  polare della rivoluzione digitale:  “Oggi non si può prescindere dalla dimensione tecnologica, in ogni ambito culturale. Lo abbiamo anche visto con Google. Il filmato che è stato riprodotto sul Web riporta a tre aspetti di uno stesso problema. Ci sono delle leggi che impediscono di fare cose illecite, dunque una dimensione politico-legislativa. Ci sono delle persone deputate a controllare che ciò non avvenga, dimensione sociale. Esistono delle persone che infrangono le regole. Ma oggi queste regole sono più difficili da far rispettare perché nella dimensione tecnologica ogni aspetto assume contorni e dimensioni diverse”.

A questo punto la nuova domanda è: la dimensione tecnologica prevarica il resto? Come si fa a mettere dei punti fermi e provare a promuovere un dibattito oggettivamente lineare? Anche su questo concetto interviene il de Kerkchove pensiero che sottolinea come oggi stia scomparendo la categoria dei lettori per i più moderni screttori. Cioè un popolo che non si limita a leggere ma commentare, linkare, saltare da un testo ad un altro. Certo tutto ciò è possibile solo su supporti digitali. Il libro cartaceo, così come il giornale quotidiano stampato, non ti permettono di divagare. Resti fisso sullo scritto, sulla pagina. Ed ecco a questo proposito le parole del nostro direttore scientifico ospite ad un symposium internazionale: “Ogni genitori dovrebbe obbligare i propri figli a leggere su carta, perché la parola si ferma solo sulla carta”.  Questa frase era inserita in un discorso sulla storia del linguaggio ed invita gli “screttori” a ritornare lettori o scrittori.

Scrittori oggi lo siamo comunque tutti, la smania di comunicare è dilagante. Forse è per questo che i giornalisti, cioè coloro che non hanno smanie comunicative ma fanno un mestiere e svolgono un ruolo professionale riconosciuto, hanno bisogno di reinventarsi. L’Osservatorio TuttiMedia con  Media Duemila sull’argomento ha organizzato un momento di approfondimento dedicato a: “Nuove professionalità per nuovi giornalisti” che in Italia ha rappresentato un interessante momento di approfondimento fra i protagonisti del mondo dell’editoria.  Si sono confrontati editori, manager, giornalisti ed aspiranti giornalisti delle scuole romane (vedi Media Duemila di giugno).

Di autonomia e credibilità, concetti in contrasto con propaganda e giornalismo embedded, parla Giulio Anselmi, attualmente presidente dell’Ansa (la prima agenzia giornalistica italiana). Anselmi  ha avuto un percorso di vita del tutto simile al nostro fondatore Giovanni Giovannini, infatti da grande giornalista si trova oggi a capo di un’azienda editoriale non più da direttore responsabile ma da leader del settore manageriale. 

Funzione civile, dunque corretta informazione che a questo punto viene distinta dalla propaganda e ci porta ad una riflessione sulla verità. Dov’è la verità, questa terra di mezzo che sembra utopia di un mondo senza bavagli.

Luca de Biase, autorevole giornalista de Il Sole 24 Ore scrive: “Sei il padrone delle tue parole e ne sei responsabile”. L’articolo da dove prendo questa citazione racconta della creazione di “The Well”, dove la regola era niente anonimato perché gli intellettuali che vi aderivano per scrivere e commentare gli eventi erano spinti da un’utopia libertaria, vedevano nelle conversazioni in Rete la possibilità di contribuire all’informazione ma senza nessuna forma di anonimato. Queste persone garantivano la qualità attraverso la trasparenza e la responsabilità individuale. Tutto questo succedeva nel 1985. Allora Mark Zuckenberg, oggi patron di Facebook, aveva meno di un anno. Sergey Brin e Larry Page, padri di Google avevano 12 anni. I Nati digitali, i ragazzi con l’età di Internet, nascevano più o meno in quegli anni. La trasparenza dell’informazione doveva e voleva essere per “The Well” azione basilare per promuovere la cultura ed il business. Secondo De Biase nella vita come nella Rete la logica della complessità prevale sulla linearità delle affermazioni di principio ed ecco che ci troviamo di fronte ai numerosi conflitti dei nostri giorni.

Il tema dell’informazione dunque è un tema delicato e determinante per la crescita di ogni Paese. La dimensione del conflitto di potere fra libertà e limiti è oggettivamente difficile. Media Duemila continua ad immaginare il presente per costruire il futuro e chiede, chiederà a tutti ed a qualsiasi livello, di intervenire per cercare di capire se effettivamente la dimensione tecnologica dell’oggi (e del domani) prevaricherà su tutto il resto.

 

Maria Pia Rossignaud

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