Antonio Nicita, Commissario AGCOM, per Natale ha inviato ai suoi amici il suo ultimo ebook su #questianni domande digitali in cerca di regoleanche per promuovere la discussione sugli scenri a venire, infatti chiede suggerimenti, opinioni da inviare su dueanni@antonionicita.it.

Pubblichiamo il prologo per incuriosire tutti voi e spingervi a leggere  e quindi scaricare il testo e inviare commenti. La costruzione dell’Italia va condivisa…

“Negli ultimi due anni sono accaduti diversi e importanti avvenimenti in Europa e in Italia.
In Europa c’è un nuovo Parlamento europeo e nuovi Commissari, con competenze anche innovative. L’Europa soprattutto, il discorso su di essa e il suo futuro (sospeso tra crisi economico-finanziaria, difesa delle ragioni fondanti dell’Unione, governo dei flussi migratori, spinta all’integrazione e alla diversità multiculturale, nuovi nazionalismi e attacchi terroristici al cuore del vecchio continente) costituiscono la cifra di questi anni. Dal modo in cui l’Europa risponderà a queste sfide dipenderanno certamente il destino di noi cittadini e gli equilibri geopolitici che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni.
In Italia, c’è un nuovo Governo, è stato eletto un nuovo Presidente della Repubblica e sono state approvate riforme che, al di là delle valutazioni politiche di ciascuno, sono destinate ad incidere profondamente sul funzionamento delle istituzioni, della pubblica amministrazione, del mondo del lavoro e delle imprese, della scuola, della trasformazione digitale del paese. Siamo quindi testimoni di un momento di profondo cambiamento. E non solo in Italia.
Un ruolo da protagonista, in questa cornice, lo svolge la cosiddetta rivoluzione digitale. Un processo pervasivo di cambiamento continuo, di transizione dilatata tra il “non più” e il “non ancora”, a ben vedere. L’avvento del capitalismo digitale non è, infatti, un passaggio definito tra due chiari stati del mondo. C’è una prima e un dopo, è vero, ma il dopo è confuso ed è in continuo divenire, come hanno scritto Balbi e Magauda (Storia dei media digitali, Laterza, 2014).
Nel 2015 l’Unione Europea ha messo al centro della propria agenda politica ed economica la creazione di un’economia e una società digitalizzate, rafforzando le politiche già approvate nel 2010 con l’Agenda Digitale 2020.
Gli orientamenti della Commissione si muovono, in particolare, lungo tre direttrici, riprese dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nella Relazione annuale del 2015: “garantire alle famiglie e alle imprese un accesso di alta qualità alla rete Internet per lo scambio di beni e servizi online; creare le condizioni per lo sviluppo di reti ultraveloci e affidabili; sfruttare il potenziale di crescita stimolando le imprese e la pubblica amministrazione all’utilizzo di infrastrutture ICT e di servizi e applicazioni digitali e in rete (Cloud Computing, Big data, Internet delle cose)”. Il consolidamento della direzione di marcia verso un’Europa digitale richiede innanzitutto – come ha rimarcato il Presidente dell’Agcom, Prof. Angelo Cardani – l’evoluzione del quadro legislativo e della regolamentazione. Non a caso, già nel calendario del primo anno di lavoro, la Commissione Juncker ha previsto significativi passi in avanti della disciplina di governo verso un “connected digital single market”, tra i quali: a) la revisione del quadro normativo in materia di telecomunicazioni; b) la modernizzazione delle regole sul diritto d’autore alla luce della rivoluzione digitale, con un nuovo approccio alla regolamentazione dei contenuti digitali in un sistema multi-piattaforme, ivi inclusa la riforma della direttiva Servizi Media Audiovisivi; c) l’evoluzione e la semplificazione delle regole di consumo per gli acquisti on-line e la rapida conclusione dei negoziati in materia di norme europee di protezione dei dati comuni.
Si tratta, com’è facile intuire, di definire il percorso delle regole che caratterizzeranno i mercati ‘digitali’ dei prossimi dieci anni, nella transizione tra il tradizionale mondo telco-media e quello governato dall’ecosistema digitale delle multi-piattaforme.
Per i “non nativi” digitali, da qualche decennio a questa parte, la rivoluzione digitale ci riserva continue sorprese, alle quali, con qualche resistenza e un discreto entusiasmo, ci adattiamo, cambiando progressivamente le nostre abitudini. Non è cosi per la generazione dei millennials, digitale e connessa, alla quale guardiamo, soprattutto chi è genitore, con speranza e con una qualche apprensione, tra l’ottimismo dell’innovazione e la paura dell’alienazione digitale. Il mondo della Rete è inteso come moltitudine di libertà e di opportunità ma anche come luogo del pericolo, della solitudine nascosta, della verità condizionata, della separazione da sé. La risposta appartiene ai pronipoti, come direbbe Keynes (Economic Possibilities for Our Grandchildren, 1930). A noi – quelli che si ricordano ancora i gettoni telefonici, la tastiera del Commodore64, i primi ‘telefonini’ pesanti con antenne lunghissime e che forse, come ha scritto recentemente Matteo Serra (www.chefuturo.it), siamo ‘innovatori ibridi’ – a noi, dicevo, spettano le domande. Anzi, forse proprio la necessità di porre domande e di esercitare capacità critica costituisce la più importante eredità da lasciare ai millennials. Domandare come fosse un prurito. Una certa scomodità. Un disagio. Un disallineamento rispetto a quanto ci circonda. Un tempo ‘liquido’ che contiene più di una generazione e che, per questo, ci riguarda e, insieme, ci supera. E’ il nostro momento ma non è solo il ‘nostro’ tempo.
In questi due anni mi è capitato di vivere quotidianamente con il punto interrogativo. Ho avuto l’opportunità di guardare da vicino questi cambiamenti, di doverli osservare ogni giorno da angoli diversi, sovrapposti, da un punto di osservazione privilegiato, quello dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Ma senza l’ansia di dover fornire una risposta: “so di non sapere” è stato, non senza sforzo, il mio mantra. Quasi un imperativo categorico da tenere a mente nell’incontro quotidiano con esperti, imprese, gruppi di interesse che invece sembrano sicuri, ad ogni occasione, circa “la verità” su ciò che è e su ciò che va fatto. Coltivare il dubbio mi ha permesso fin qui di non cadere nel ‘dovere’ della regola, prima di comprenderne la necessità, l’impatto, la natura controintuitiva degli effetti indesiderati. Le regole nascono per risolvere – e meglio di ogni possibile alternativa – un problema meritevole di soluzione, nei limiti della normativa vigente, ma senza generarne altri, di più gravi. Un compito tutt’altro che facile.
Dal mio punto di osservazione, da due anni a questa parte, ogni giorno si presenta, infatti, con un rompi-capo. Perché problemi diversi, in mercati diversi, sono pezzi dello stesso mondo, parti dello stesso processo di cambiamento, tessere che dovrebbero incastrarsi, come il puzzle nella copertina di questo volume, in una visione sistemica, aggiornata, innovativa. Di qui, il punto interrogativo, le “domande” che ritrovate qui.
Nella giornata tipica dei cittadini e delle imprese italiane, infatti, l’uso di smartphone, di Internet, di contenuti audiovisivi, di interazioni digitali con la PA, di spedizione e ricezioni di prodotti e documenti è continuo, ubiquo e, spesso, congiunto. Le regole che impattano su singoli pezzi di una ‘giornata digitale’, tra telco e media, tra e-commerce e pacchi postali, tra e-mail e lettere cartacee influenzano la vita digitale quotidiana. E’ da essa che occorrerebbe partire, dai bisogni, dalla mutata natura delle transazioni per ricostruire il quadro di regole pensate per mercati, se non per segmenti distinti. Il mondo cambia ad una velocità sconosciuta alle regole e ai regolatori, alle routine decisionali e organizzative, agli approcci dei Tribunali amministrativi e persino alle rigidità delle Direttive europee e ai relativi framework regolatori. E’ vero che le routine, come ci hanno da tempo insegnato Nelson e Winter (An evolutionary theory of economic change, Cambridge University Press, 1982) semplificano le scelte di cittadini e imprese, ma esse sono anche fattori di formidabile resistenza al cambiamento. E questo vale per il regolatore e per tutti gli stakeholders.
Una regolazione incapace di adeguarsi al cambiamento finisce per prendere decisioni frammentate e, spesso, incoerenti. Ad esempio, è sufficiente accendere una TV ‘connessa’, di quelle ancora un po’ rudimentali che sono in commercio a prezzi contenuti, per rendersi conto di quanto lontana siano l’attuale normativa e parte della regolazione che la applica alla natura di una reale transazione digitale. Pur con qualche indugio di troppo sui tasti del telecomando – o dei telecomandi, a seconda dei casi – è oggi assai facile, con la nostra tv connessa, passare dalle tradizionali emittenti nazionali alle offerte pay, a YouTube, Netflix, Chili, all’Internet Browser, ad attivare una conference call, a giocare anche on-line. Più difficile è far capire ai propri figli che non si può fare tutto sempre, ma questo è un altro discorso.
Spesso questo cambiamento è troppo veloce persino per le imprese oggetto di regolazione. Fedeli e affezionate alle proprie strategie del passato ormai lungamente sedimentate, le imprese regolate finiscono spesso per restare intrappolate nelle proprie retoriche, anche quando queste appaiono, con ogni evidenza, inattuali, se non anacronistiche. Si finisce così per guardare con sospetto e resistenza ad ogni forma di innovazione regolatoria, inclusa quella che, a conti fatti, andrebbe a beneficio proprio di chi ne ostacola il passaggio. Il regolatore è così quasi spinto a dover occupare territori non suoi. Talvolta, la ricerca della massimizzazione del beneficio sociale può generare il risultato paradossale di un neo-paternalismo regolatorio, che per quanto liberale nel senso di Sunstein e Thaler (La spinta gentile, Feltrinelli, 2008), finisce per doversi occupare di ciò che è bene per le imprese regolate, nonostante la resistenza delle stesse. Il risultato, non sorprendente, è che regole innovative scontentano tutti. D’altra parte, come diceva Whinston Churchill, un grande popolo ha, non solo il diritto, ma anche il dovere dell’ingratitudine.
E’ un mestiere difficile quello del regolatore, proprio perché esso, se da un lato deve essere aperto ad ogni forma di consultazione (le imprese e i consumatori dispongono di informazioni e di esperienze dirette), dall’altro non deve mai puntare al consenso, né tantomeno a forme di compromesso al ribasso, mantenendo il profilo tecnico e il dovere di fornire sempre una motivazione solida e trasparente. Federico Caffè scriveva della solitudine del riformista. Ma c’è anche, eccome, la solitudine del regolatore. Che non guasta, intendiamoci, essendo anzi necessaria perché la solitudine del momento decisionale, dopo aver ascoltato tutte le istanze, è in effetti la cifra più importante attraverso la quale ‘ascoltare’ e misurare la propria indipendenza.
Resta il fatto che, spesso, cambiare – anche solo prospettiva e visuale – genera paura e incertezze ed è quindi complicato ridefinire, per imprese e istituzioni, le routine decisionali nel merito e nel metodo. Anche questa resistenza al cambiamento finisce per alimentare le domande quotidiane di chi è chiamato a regolare i mercati.
Alcune di queste domande ho provato a scriverle in questi anni, nei ritagli di tempo e nello spazio tra 4000-7000 battute e compongono la prima parte di questo e-book, gratuitamente scaricabile dal mio sito web. Vanno intese come occasioni per discutere e non certo come ‘tesi’, né, a maggior ragione, come bilancio dei primi due anni in Agcom. Se decidere è un processo faticoso, il cambiare idea, dopo aver approfondito un tema da diversi punti di vista, offre un qualche sollievo a chi decide. Martin Heidegger scriveva che “il domandare è la pietà del pensiero”. Meno prosaicamente, farsi sempre delle domande significa migliorare le motivazioni a supporto delle proprie tesi, essere aperti alle ragioni degli altri, sfidare continuamente il proprio particolare punto di vista.
Le domande che ho raccolto in questo volume sono finalizzate proprio alla costruzione maieutica di una possibile nuova agenda regolatoria su temi la cui complessità è crescente e rispetto ai quali le armi del regolatore sono talvolta ancronistiche, più spesso assai spuntate, specie su questioni rispetto alle quali è difficile avere informazioni sufficienti a definire un approccio chiaro e completo. Gli spunti sono quelli che troviamo nel dibattito, non solo italiano, in questi tempi. Inevitabilmente alcuni temi sono collegati, in qualche misura, a questioni delle quali mi sono occupato in Agcom, anche in veste di Relatore (tra le quali: l’indagine conoscitiva congiunta Agcom-Agcm sulla concorrenza dinamica per i servizi a banda larga e ultra larga; la conclusione dell’analisi di mercato dell’accesso alla rete fissa 2014-2017; l’avvio dell’istruttoria per la definizione dei mercati e l’individuazione di posizioni dominanti nel settore audiovisivo; la spinta per una nuova ‘bolletta 2.0’ volta a rafforzare la trasparenza per i consumatori; la liberazione e messa a gara della ‘Banda L’; la liberazione e messa a gara della Banda 3.6-3.8 GHz; l’efficientamento sistemico e il calcolo dell’onere iniquo del servizio universale postale; l’indagine conoscitiva per i servizi machine-to-machine; la collaborazione Agcom-Berec nella misurazione del traffic management; il controllo degli effetti della manovra tariffaria di Telecom Italia sui consumatori finali; la modernizzazione dei test di replicabilità nelle offerte che coinvolgono la rete fissa dell’incumbent nelle comunicazioni elettroniche).
L’immodesta aspirazione, tuttavia, è stata qui quella di non parlare delle decisioni dell’Autorità (giustamente il Presidente Cardani ricorda spesso che un’istituzione deve parlare esclusivamente attraverso i suoi provvedimenti) cercando invece di porre domande di sistema, proponendo uno sguardo lungo sui fenomeni osservati e valutazioni che possano spingersi un po’ più in là del dettaglio specifico che alimenta una data questione regolatoria. I temi che il lettore non troverà, invece, potranno esserci in futuro (in fondo il vantaggio di scrivere un e-book e di offrirlo gratuitamente sul proprio sito web è dato dal fatto che, come una fisarmonica, il pdf si può a mano a mano aggiornare e arricchire).
Infine, nella sezione ‘numeri’, propongo – al lettore sopravvissuto – una serie minima di dati per orientarsi, volti a tracciare l’evoluzione dei mercati tradizionalmente oggetto di regolazione o di indagine da parte dell’Agcom. Si tratta di un work in progress che dovrà dunque essere aggiornato in futuro, anche grazie ai commenti di chi vorrà (all’e-mail dueanni@antonionicita.it) e con le domande che qui mancano, anche per valutare cosa è cambiato in questo settore e quali risultati sono stati conseguiti.
In questi due anni ho imparato tante cose nuove. Per esempio a saper dire di sì e a saper dire di no. Ho imparato il peso e il sollievo della solitudine (che anima il dovere) dell’indipendenza. Ho anche avuto la fortuna, fin qui, di conoscere interlocutori che mi hanno stimolato con argomenti appassionanti e decisivi in merito a regole che devono sempre fondarsi su valutazioni e competenze tecniche. A partire da coloro con i quali condivido fruttuosamente questa esperienza, primo tra tutti, e per tutti, il Presidente Angelo M. Cardani. Ringrazio di cuore Maurizio Dècina per la sua bella, affettuosa e incoraggiante prefazione, Fernando Bruno e Marco Delmastro per gli utili suggerimenti. Ho ricevuto continui stimoli, sul piano dell’analisi economica e di quella giuridica, rispettivamente, da Annalisa D’Orazio e da Roberta Guizzi. Un ringraziamento va anche a Claudia Colafrancesco e Serena Salvio per avermi aiutato a fare ordine tra i tanti appunti.
Molte delle idee e degli spunti che ho raccolto in questo volume nascono da discussioni avute in questi due anni, tra gli altri, con Bernardo Argiolas, Giovanni Cazora, Giorgio Corda, Piero De Chiara. E poi, ancora, con Carlo Cambini, Vincenzo Cavallo, Stefano Da Empoli, Isabella De Michelis Slonghello, Maurizio Franzini, Alberto Gambino, Antonio Manganelli, Emanuela Michetti, Giulio Napolitano, Antonio Perrucci, Oreste Pollicino, Augusto Preta, Eugenio Prosperetti, Antonio Sassano, Guido Scorza, Andrea Stazi, Alessandro Verrazzani e i tanti funzionari e dirigenti dell’Agcom con i quali ho approfondito varie tematiche e che ringrazio per il loro tempo. Nessuno di loro è, ovviamente, responsabile delle inesattezze e di talune conclusioni che qui trovate.
Qualche giorno prima che io iniziassi il mio nuovo lavoro presso l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni mi ha lasciato mio padre, Santi Nicita. Mi manca la sua voce e il nostro discutere. Eppure, talvolta, quest’assenza sa diventare parola, come musica in sottofondo. Che sa consigliare e consolare.
A proposito di musica, proprio adesso, mentre scrivo queste righe, Amy Winehouse spunta dalla mia random list e canta. Sembra arrivata apposta per farmi concludere. E allora concludo qui, ripetendo il suo stesso maledetto, malinconico, fiducioso refrain: “our day will come”. Non a caso, domani è Natale.

Clicca qui per scaricare il testo

Articolo precedenteUsiamo i Big Data raccolti dalle Telco contro l’analfabetismo di ritorno
Articolo successivoMaurizio Mensi: il “pacchetto normativo” in tema di privacy
Antonio Nicita
E' docente di Politica Economica alla Sapienza Università di Roma. Dal 9 gennaio 2014 è Commissario dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AgCom), Commissione Infrastrutture e Reti. E’ autore di numerose pubblicazioni su riviste internazionali sui temi della regolazione, della concorrenza e dell’analisi economica del diritto. Tra i volumi pubblicati: La Nuova Televisione. Economia, mercato, regole (con F. Silva e G. Ramello) per Il Mulino, La Tripla Convergenza (con A. Castaldo e S. Da Empoli) e Economia dei Contratti per l’editore Carocci. Nei primi mesi del 2016 pubblicherà il volume dal titolo Market liberalizations. Economics, Policy and Politics (con F. Belloc) per Springer. Per una lista completa delle pubblicazioni si rinvia al sito www.antonionicita.it