“Oggi l’esclusione da Internet sta diventando sempre più esclusione sociale, ormai non si tratta soltanto di capire quanto si è dentro o fuori dalla rete ma quanto la si comprende”, così Giorgio Alleva, presidente dell’Istat, apre il seminario sulla diffusione di Internet in Italia che presenta la ricerca curata dall’Istituto Nazionale di Statistica e dalla Fondazione Ugo Bordoni dal titolo “Internet@Italia2018”. In una mattinata ricca di interventi i relatori si sono soffermati su alcuni dei punti critici della rete dimostrando che un approccio serio alle molte questioni etiche e sociali che Internet pone è non solo possibile ma necessario. A partire, appunto, dal grado di diffusione raggiunto dal web in Italia che negli ultimi dieci anni ha subito un significativo incremento sia per il numero di “utenti forti”, quelli cioè che lo utilizzano quotidianamente (dal 14.1% al 41.3%), sia a livello di singoli utenti connessi (ormai 2/3 della popolazione totale). Si riduce, quindi, il divario sociale tra gli utilizzatori della rete e ciononostante rimane invariato quello generazionale. Quasi un terzo dei cittadini, soprattutto donne anziane poco scolarizzate, dichiara di non aver mai usato Internet o di non essere interessato affatto allo strumento ed è significativo che questa percentuale si concentri nelle zone periferiche del Paese. Sono il Meridione e le Isole a essere più penalizzate dal punto di vista dell’accessibilità e, giocoforza, dello sviluppo di competenze. In questo caso la frase di Alleva è vera anche al contrario: le disuguaglianze sociali si riflettono nella rete. Anzi, sostiene ad esempio il presidente della FUB Antonio Sassano, si acuiscono, in quanto i rischi on-line sono più sottili e meno percepiti. La cosiddetta “democratizzazione” dello strumento, almeno finora, non ha corrisposto a una vera diffusione delle competenze. Tanto che persino l’Unione Europea ha modificato i propri parametri di giudizio: fino al 2015 si parlava di “abilità informatiche”, successivamente si è passato a definirle “competenze”.
Sono proprio le competenze uno dei nodi fondamentali dello studio. Risulta chiaro che il cosiddetto digital divide, il divario digitale tra chi può connettersi e chi non può, è un problema già obsoleto in un territorio dove gli smartphone sono il secondo dispositivo più usato dopo i pc, in costante crescita. Tuttavia, come si chiede Laura Zannelli dell’Istat, possiamo considerare lo smartphone uno strumento di inclusione nella rete? La risposta, che sembrerebbe scontata, nasconde invece un’inattesa scoperta: anche tra chi usa solo questo tipo di dispositivi per connettersi a Internet (il 24% degli utenti totali, soprattutto i giovani e i giovanissimi), una percentuale significativa dichiara di non avere “alcuna competenza comunicativa”. In pratica, l’unico motivo per cui questi individui usano il 3g o le bande più potenti è il sistema di messaggistica istantanea, Whatsapp o simili. Il che ci porta a teorizzare una sorta di divario digitale di secondo livello, basato sull’utilizzo effettivo della rete e non più sull’accessibilità. Cosa faccio quando navigo su Internet, come proteggo i miei dati, qual è il mio livello di comprensione degli strumenti che il web ha per orientare le mie preferenze e influenzare i miei giudizi sono questioni dirimenti nel mondo digitalizzato che, come sottolinea il prof. Alessandro Rosina dell’Università Cattolica di Milano, dobbiamo affrontare oggi. Nel giro di soli dieci anni, infatti, il cambiamento nell’approccio a Internet potrebbe essere tale da non permettere più questa sorta di “educazione civica telematica” fondamentale soprattutto per i giovani. Se consideriamo che, alla luce dei dati fin qui raccolti, si potrebbe eliminare persino la capacità degli individui di restare fuori dalla rete, non possiamo di certo ignorare la questione. Del resto, quel processo di maturazione che nel normale corso della vita coinvolge tutti, on-line sembra falsato se non apertamente in controtendenza. Gli anziani di domani assomiglieranno sempre di più ai giovani d’oggi piuttosto che il contrario, spostando l’asse produttivo del paese avanti nella fascia di età e creando una sorta di vuoto che sempre Rosina definisce “erosivo” a livello sociale. Per questo rafforzare le competenze dei giovani significa aumentare l’apporto qualitativo di tutta una generazione alla società e diminuirne la carica di erosione quantitativa; “renderli protagonisti di un mondo del lavoro innovativo” come afferma il professore stesso, “piuttosto che vittime del lavoro che manca”.
Di produzione, capitali e imprese si è occupato anche Antonio Nicita, commissario garante dall’Agcom, sostenendo quanto sia fondamentale sviluppare non solo un’offerta ma anche una domanda adeguata. Soprattutto in un mondo in cui le aziende cosiddette OTT (Apple, Google e Facebook per citare tre colossi) insistono con l’esporci le loro norme di autoregolamentazione ma negano ai governi e alle varie agenzie di controllo l’accesso ai propri server. Ad oggi non è ancora presente un modo per certificare se le politiche professate con annunci spot sulle piattaforme più diffuse nel web siano attendibili o no. Queste corporation stanno conquistando fette di mercato sempre più rilevanti e non possono più essere trattate come fenomeni legati al boom della tecnologia. Basti pensare che Apple ha un valore di circa ottocento miliardi di euro e che il Pil italiano è circa di milleottocento miliardi, poco più del doppio. Solo che il paragone è tra un’azienda e uno stato. Da qui deriva, ad esempio, il nuovo approccio di alcuni studiosi, soprattutto inglesi, che stanno iniziando ad analizzare le grandi compagnie alla stregua di entità statali. Ma senza addentrarci in queste varianti metodologiche il dato clamante è che le grandi aziende concentrate nella Silicon Valley hanno acquisito un potere enorme che, forse, già ci è difficile quantificare. Nicita riporta un articolo apparso di recente sulla rivista “Science” che in seguito a uno studio statistico illustrava come su un campione dato di utilizzatori medi di Internet una notizia falsa si diffondesse molto più in fretta di una vera e tra queste le notizie politiche riuscissero a propagarsi ancora più velocemente. Perciò i casi recenti di Facebook e Cambridge Analitica sembrano confermare la tendenza delle OTT a volersi sostituire a sistemi preesistenti e a determinarli. E, sempre per questo, dobbiamo tutelarci e tutelare i più giovani affinché l’uso della rete sia, come auspica Sassano, “critico e cosciente”.
“Purtroppo”, ha aggiunto Filippo Celata professore del Memotef della Sapienza di Roma, “Internet è sempre più diffuso e pervasivo proprio perché il suo uso è sempre più passivo e superficiale” anche a causa di processi tutti interni alla rete come le camere d’eco e le bolle di filtraggio che, in maniera spesso poco consapevole, riducono drasticamente la pluralità delle opinioni nelle nostre nicchie telematiche. Non solo, anche laddove si comprende il sistema, il sospetto innato dei non-nativi digitali verso la rete li porta a credere che su alcuni temi ci sia una volontà occulta di censura, di plagio o semplicemente di mistificazione. Così si diffondono i cosiddetti pregiudizi di conferma e tutti quei meccanismi psicologici che il web genera scientemente ma che nella maggioranza dei casi gli utilizzatori recepiscono passivamente.
Allora ci si chiede, e in questo istituzioni come l’Istat e la FUB possono ricoprire un ruolo di primo piano oltre a produrre importanti strumenti di analisi come la ricerca “Internet@italia2018”, quale sia il modo migliore per intervenire ora. Se negli ultimi dieci anni il motivo principale dell’aumento dell’uso di Internet è la volontà di mantenere e ampliare la propria rete di contatti personali, sono passate in secondo piano molte altre funzioni della rete. L’ironia dell’evoluzione tecnologica vuole che fino a pochi anni fa non essere connessi ci precludesse molte opportunità, oggi invece c’è chi inizia a pensare che proprio l’essere costantemente connessi possa diventare un fattore limitante. Il tutto, come evidenzia ancora Celata, in un’ottica analitica che tenti di darci gli strumenti per combattere la possibile deriva del web nel futuro prossimo. “Il nostro obiettivo”, conclude il professore, “deve essere trasformare gli utilizzatori di Internet in cittadini digitali perché il rischio che diventino sudditi digitali è ancora molto forte”.

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Sabato Angieri
Laureato in “letteratura europea” presso l’università “La Sapienza”di Roma è giornalista freelance e traduttore editoriale, ha collaborato a diversi progetti culturali e artistici come autore e scrittore. Attualmente collabora con Lonely Planet come autore e con Elliot edizioni.