Piera Rossi

Con Isa Maggi, una amica che con tenacia e lungimiranza coordina gli Stati Generali delle donne,  e Carmine  Marinucci altro amico attivista insostituibile di #Diculther  abbiamo collaborazioni a tutto tondo e quindi insieme daremo spazio nelle nostre riviste  ad articoli che possono fare la differenza. 

Oggi dalla Rubrica “Donne che stanno cambiando l’Italia “  leggiamo la visione di  Piera Rossi, scrittrice, registra e tanto altro.

Cosa vuol dire parlare di te ed entrare nella tua storia personale ed artistica sulle ali del tempo passato e futuro?

Parlare di sé è come trovarsi al centro di un labirinto. Quale strada intraprendere? Da dove cominciare? Partire sicuramente dal punto in cui mi trovo oggi, dal mio presente. Un presente che ha il sapore dello smarrimento, lo stesso di quel labirinto a cui accenno all’inizio di questo mio dialogo con te.

Ci siamo incontrate la prima volta a Pavia, proprio a Pavia, il giorno dell’avvio della pandemia, era il 20 febbraio del 2020. Non sapevamo ancora  nulla ma ci dovevamo incontrare proprio a Pavia, “casa natale” di Ada Negri.

Ma tu mi riporti al nostro primo incontro a Pavia, quando mi invitasti a parlare di Ada Negri.

Già, Ada Negri, la scrittrice di Lodi, purtroppo lasciata nell’oblio per troppi anni, che io ho amato fin dall’adolescenza, leggendo, esplorando la sua immensa e inesauribile produzione letteraria, in prosa e in poesia: opera che non finisce mai di stupirmi e affascinarmi per la bellezza dello stile, per i temi trattati che trovo di grande attualità. L’amore per Ada, il desiderio di farla conoscere e fare rivivere i suoi personaggi mi hanno spinto a realizzare l’ultimo mio progetto teatrale, appunto “Ada, la solitaria”, il cui cammino è stato bruscamente interrotto nel febbraio del 2020 con il sopraggiungere del Covid che, sappiamo, ha sconvolto e catapultato le vite di tutti noi in una condizione assolutamente sconosciuta e disorientante.

Il Teatro dunque, senza voler apparire iperbolica, il fulcro intorno al quale ha ruotato la mia esistenza fin da ragazza, il mondo che mi ha formato, che ha determinato in modo quasi naturale e prepotente le mie scelte professionali.

Pavia rappresenta per te molto, l’avvio della tua carriera artistica. Raccontaci.

A 15 anni proprio a Pavia feci il mio ingresso in questo mondo, grazie a una figura di grande carisma, ovvero a Carlo Rivolta, allora direttore del Teatro Fraschini e poi del Teatro alle Vigne. Fu lui che introdusse me e altri giovani nell’universo fantastico delle scene, assolutamente sconosciuto e distante dal nostro vivere, quotidiano e monotono, di studenti. Una vera rivoluzione! Il buio, la luce, i costumi, il trucco, le quinte, la graticcia… la polvere, gli odori… si può perfettamente capire cosa tutto ciò potesse suscitare nell’animo di una ragazza di provincia, quale varco potesse spalancarsi davanti ai suoi occhi di adolescente che aveva fino ad allora vissuto di sole letture.

Con Rivolta avvenne la mia vera formazione professionale e umana. Egli ci “impose” la conoscenza di tutte le figure che operano all’interno del teatro: maestranze, macchinisti, fonici, registi, ci avviò allo studio dei testi teatrali, alla loro fattiva messa in scena. E sempre con uno spirito di condivisione totale, senza barriere, senza alcuna preclusione generazionale di ruoli. E sempre con un contagioso entusiasmo.

Pavia fu un periodo di formazione  e poi? Come hai costruito quel  bagaglio prezioso che ha poi caratterizzato  tutti i lavori e progetti successivi?

Dopo questa prima esperienza immersiva nel mondo teatrale, mi attendeva un viaggio che, partendo proprio da quella che era l’arte teatrale, mi portava a un orizzonte più vasto. Iniziai la mia pluridecennale collaborazione col maestro Italo Gomez, già sovrintendente al Teatro la Fenice di Venezia e fondatore di uno dei primi festival internazionali: L’autunno musicale di Como. Questo incontro mi consentì di sperimentare tutte le arti teatrali e il dialogo interdisciplinare che il teatro intreccia con le altre arti: nacquero “Il canto delle pietre” concerti di musica antica nelle chiese coeve, “Culture dei mari” (1990-2004) un comitato che nasceva con scambi culturali tra città che si affacciano sul Mediterraneo. Un ambizioso progetto che sicuramente anticipava temi e problematiche oggi di grande attualità, di cui allora non si aveva ancora la piena consapevolezza. E si realizzavano concerti di musica bizantina in architetture normanne, coreografie di Isadora Duncan in siti archeologici, talvolta dimenticati, riscoprendo il valore delle minoranze linguistiche (catalano, grecanico, arbëreshë) e del patrimonio musicale della tradizione popolare.

Fu questo un periodo di significativa formazione ma anche di continui viaggi e di nuove scoperte e incontri. Un bagaglio preziosissimo che mi è stato poi fondamentale in tutti i lavori e progetti che ho in seguito affrontato.

Dopo un viaggio molto articolato maturando esperienze diverse e caratterizzato anche da incontri fondamentali, c’è stato quasi un ritorno a casa ma con un obiettivo ben preciso ed anche innovativo, il coinvolgimento del territorio.

Conclusa questa intensa avventura, sentii il bisogno di realtà stanziali; collaborai con l’orchestra Mozart di Bologna diretta da Claudio Abbado, con l’orchestra Toscanini di Parma nelle stagioni estive di lirica; tornai poi alla prosa in una bella collaborazione col Teatro Arsenale di Milano diretto da Marina Spreafico.

Dal teatro Arsenale sono ritornata al luogo da dove partì la mia vita professionale, il Teatro alle Vigne di Lodi in qualità di direttore artistico. Qui potei attuare tutto il patrimonio culturale ed esperenziale che avevo raccolto in tutti quegli anni; mi trovavo in uno spazio da me ben conosciuto con tutte le sue risorse, potenzialità ma anche carenze. Ho cercato di far coesistere l’aspetto tradizionale del programma (prosa, musica, teatro per le scuole) con attività più innovative, laboratori per ragazzi e adulti (Le Officine), per aprire le porte di un luogo a pochi conosciuto coinvolgendo il territorio e la sua popolazione, vivificandolo e rendendolo centro pulsante dell’attività culturale della città. Ho portato il teatro fuori dalle mura teatrali sgravandolo da quella autoreferenzialità di cui spesso s’ammanta (Labirinti dell’anima). Un teatro capace di dialogare col terzo settore, con gli spazi architettonici della città, piazze, vie, mercati…

Ed ora una nuova esperienza, di condivisione e di profonda ed intima interconnessione con la Madre Terra. Ma Ada  continua ad essere la tua compagna di viaggio in un tempo di post covid di grande consapevolezza…

Chiusa la fase della mia direzione al Teatro alle Vigne, mi ritrovo oggi ad affrontare una nuova esperienza, la creazione di una associazione che eredita i Labirinti dell’anima, i laboratori sperimentali che sempre di più vogliono dialogare con la natura, con le problematiche ambientali, portando sempre con me il lavoro di Ada Negri, la solitaria, e nuovi studi in attesa di essere messi in scena.

A fine anno dovrò insegnare organizzazione teatrale in un master di regia promosso dalla regione Lombardia e da giorni mi sto chiedendo: “Ma oggi, dopo tutto quello che è accaduto e dal quale ancora non siamo usciti, da dove devo cominciare per dire cosa, come e perché il teatro deve…?”.

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