Presidente, perché per il terzo appuntamento di Firenze avete deciso di puntare su diseguaglianza, PIL, economia, democrazia declinate per il mondo dell’intelligenza artificiale?
È da diverso tempo che ci stiamo occupando dell’impatto delle macchine sulle società odierne a partire dal lavoro. Molti dicono che a causa delle macchine ci sarà una disoccupazione spaventosa. Studi recenti della Oxford University parla di molti lavoro a rischio e quello del World Economic Forum nel 2016 parla di 7 milioni di posti di lavoro persi a fronte di 2 milioni che si creeranno in alcuni paesi del mondo.
Allora ci siamo resi conto che il problema non è l’intelligenza artificiale in sé. Stiamo producendo macchine che dovrebbero sostituire tutto o in parte il lavoro degli uomini. Il caso delle macchine che negli Usa potrebbero prendere il posto dei minatori ne è un esempio. Il punto centrale è che viviamo in un’economia che ha migliorato le condizioni di vita di tutti. Ma si tratta di un modello in crisi, in quanto rimasto unico. Ragionando in un modello di AI, affinché funzioni è necessario che si siano centinaia di soluzioni o di modelli che competono tra di loro. Se il modello è unico non si evolve, non va avanti.
A Davos ad inizio anno è stato affermato che la diseguaglianza nel mondo sta aumentando: l’1% della popolazione detiene il 99% della ricchezza. C’è qualcosa che non torna anche a livello di democrazia e la gente sta perdendo fiducia nell’attuazione del modello democratico talvolta con moti di rivolta.
Altra questione è l’ambiente. Tutti quelli che dicono che il problema del lavoro non c’è perché si creeranno nuove opportunità partono dal concetto che l’economia continuerà a crescere. Ma per crescere bisogna contrapporre il modello della cosiddetta “economia del cowboy” con distese e risorse sconfinate, all’economia dell’astronauta, dove ci si trova a fare i conti con risorse limitate. Anche il concetto di costo va cambiato. Oggi ci si basa sul libero mercato, ma se cominciamo a ragionare, ad esempio, su quanta plastica produciamo, il concetto cambia. Quanto costa una bottiglia di plastica in termini ambientali ?
Come Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale siamo convinti che l’AI possa farci del bene, e molto. C’è da ripensare il modello economico e bisogna tenere conto della diseguaglianza, della democrazia dell’impatto ambientale. Le macchine possono essere strumenti eccezionali ma bisogna dare loro un indirizzo specifico.
Ci fa un esempio di condotta “stupida” sull’utilizzo della tecnologia nel contesto ambientale?
In questo momento storico stiamo lavorando tutti con degli enormi cloud che consumano energia in maniera spaventosa. Alcune ricerche affermano che i centri di Amazon, di Google e così via, tra non molto non riusciranno più a funzionare poiché necessiterebbero di troppa energia. Un altro esempio è quello della Cina dove in intere aree non ci sono più api a causa del massiccio uso di pesticidi. Mao Tse-tung negli anni ‘60 lanciò l’offensiva contro i “quattro flagelli”: ratti, mosche, zanzare e passeri. Quando i passeri sono pressoché spariti hanno proliferato insetti che a loro volta sono stati combattuti con pesticidi ed insetticidi che hanno determinato, appunto, la scomparsa delle api. I cinesi allora hanno cominciato ad impollinare gli alberi a mano con i cotton fioc, poi una ditta giapponese ha pensato di realizzare un drone capace di impollinare. Ma questa non è una bella soluzione, non ci ridà le api, le sostituisce (ma difficilmente i droni faranno il miele). Ottima invece l’idea di un’azienda canadese che ha pensato a piccoli robot che rilevano la presenza nei campi di agenti infestanti con l’obiettivo di ridurre l’utilizzo di insetticidi, intervenendo in modo mirato e immediato.
La corsa alla tecnologia è dunque anche una corsa alla riduzione dei costi da parte di governi e aziende?
Sicuramente sì, ma dobbiamo capire cosa significa “costo”. Se cerchiamo di ridurre, ad esempio, il costo del lavoro bisogna stare molto attenti a quello che facciamo perché rischiamo di aumentare a dismisura la diseguaglianza sociale. Se invece intendiamo con costo quello ambientale e lo relazioniamo al debito pubblico, quel costo va ridotto.
I governi hanno una strana misura per i costi. Quella universalmente adottata è il Pil, che considero una misura balzana che ricorda la leggenda di Re Mida. Oggi esistono molti indicatori alterativi come il Bes, Benessere equo e sostenibile, e la stessa Intelligenza Artificiale potrebbe essere usata per migliorare gli indicatori di questo tipo. I governi, invece, cercano di ridurre i soli costi monetari, ma è facile dedurre che se pensiamo ad una nazione come azienda allora lo stato dovrebbe licenziare i cittadini riducendo i costi, ma producendo un risultato assurdo.
Quale potrebbe essere il giusto punto di equilibrio?
Dobbiamo metterci a lavorare tutti assieme: economisti, sociologi, ingegneri ambientali, ricercatori di AI, ecc. e dobbiamo smetterla di ragionare a breve termine. Ci saranno nuovi posti di lavoro, nuovi mestieri ma difficilmente impiegheranno tanta gente, quindi è necessario ridurre l’orario di lavoro. Dobbiamo diventare intelligenti noi prima delle macchine, capire a 360 gradi il nuovo modello con cui abbiamo a che fare. Sulla Terra siamo in tanti ed abbiamo un impatto sul pianeta importantissimo.
C’è molto lavoro da fare. Il denaro è uno strumento, non dev’essere l’obiettivo. Capendo questo otterremo le direzioni in cui muoverci. Il vantaggio dei molti vale più del vantaggio dei pochi.
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