E’ l’icona amorosa del XIX secolo più riprodotta in assoluto e un dipinto dal potente fascino evocativo. Parliamo de ‘Il Bacio’ di Francesco Hayez, che in ben tre versioni arricchisce uno degli eventi culturali dell’anno, la mostra monografica che Intesa Sanpaolo ha inaugurato nella sua sede museale milanese, Gallerie d’Italia – Piazza Scala.
L’esposizione di oltre cento quadri nonché di dieci affreschi, oltre che di alcune opere di coevi, dona al visitatore una straordinaria visuale sul maggiore esponente della pittura del Romanticismo, sapientemente valorizzato dal curatore Fernando Mazzocca e col coordinamento generale di Gianfranco Brunelli.
Intesa Sanpaolo è qui partner istituzionale, come in diverse declinazioni del suo articolato Progetto Cultura, di un pool di realtà culturali prestigiose come le milanesi Accademia di Belle Arti e la Pinacoteca di Brera, e le Gallerie dell’Accademia di Venezia.
Quest’importante artista, che ha segnato profondamente il suo tempo, attraversando quasi l’intero XIX secolo, giacché morì novantaduenne nel 1882, è il protagonista una completa e aggiornata esposizione monografica, che segue e amplia quella realizzata a Milano – città di cui è quasi un vessillo – nel 1983.
Hayez può essere considerato l’anima stessa del Risorgimento, giacché i suoi dipinti mettevano in scena allegoricamente le attese, le inquietudini, gli afflati libertari del Risorgimento, rispecchiandone la sottesa proiezione verso l’Unità d’Italia.
L’esposizione alterna opere notissime al grande pubblico, fra cui il celeberrimo Bacio, mostrato nelle tre versioni che l’artista dipinse, per la prima volta in un medianico rendez vous, ad altre addirittura in mostra per la prima volta oppure mai viste dall’800 in poi.
L’unicum artistico riesce a dare un ritratto a tutto tondo dell’evoluzione pittorica di Hayez, dai suoi primi passi formativi nel Neoclassicismo imperante ai primi dell’800, allorché, da poco uscito dall’adolescenza esordì (la prima opera attestata è del 1809, un ‘selfie’ di famiglia) fino al crepuscolo della vita, nel 1881, quando dipinse il ‘Vaso da fiori sulla finestra di un harem’ che ci richiama un’assonanza preraffaellita.
Nell’accostamento delle diverse opere, attraverso il pennello dell’artista – straordinaria la sua padronanza nello stile e nella tecnica – si riescono a ‘leggere in filigrana’ i mutamenti del clima culturale, storico e sociale di cui Hayez si fa sensore. Per dare così tante sfaccettature nel corso degli anni, utilizza i vocabolari artistici della pittura storica e del ritratto – quelli di Alessandro Manzoni e della Principessa Cristina di Belgiojoso docunt -, o della mitologia, della pittura sacra e, grazie a una spericolata acrobazia, approda a quell’orientalismo, nella seconda metà dell’Ottocento di gran moda, in cui dominano i nudi femminili, quasi un outing della sua propensione di tombeur de femmes.
Gli anni della formazione artistica, poi, sono testimoniati da un confronto fra la sua pittura e la scultura di colui che gli fu maestro e mentore, Antonio Canova, in particolare quando si formò a Roma, e del seguace canoviano Vincenzo Vela.
Sul fronte degli affreschi, ne vengono esposti 10, facenti parte di un ciclo, realizzati nel 1819, destinato all’ufficio della Borsa di Venezia, all’epoca ospitato al pianterreno del Palazzo Ducale. Un ensemble straordinario, tale che suscitò in Stendhal, allorché, nel 1828, li vide, grandi elogi. Ciò non evitò che le lunette fossero staccate dal posto per il quale erano state ideate, se ne perdessero quattro e le rimanenti fossero praticamente dimenticate nei depositi di Palazzo Ducale. Solo recentemente le si è riscoperte e sono state restaurate con un lavoro molto complesso, sostenuto anche col contributo di Intesa Sanpaolo.
Iniziatore iconografico del ‘Bacio’ (ma anche di metaforiche immagini della Malinconia e della Meditazione, espressioni umane della profondità interiore), Francesco Hayez sdoganò tale rappresentazione amorosa sin da quando, nel 1823, all’esposizione di Brera, partecipò con il suo dipinto ‘L’ultimo bacio di Romeo e Giulietta’, che, all’epoca, attirò su di lui le critiche dei benpensanti, per la sensualità della rappresentazione.
Oltre 45 anni dopo, nel 1859, Hayez riprese il soggetto dell’apostrofo rosa fra le parole t’amo (ma il Cyrano di Rostand fu rappresentato passati oltre tre decenni) e in successione, nell’arco degli anni, ne dipinse tre versioni, la prima in abiti trecenteschi, le altre due con una connotazione più coeva, volendo alludere all’addio di un patriota della Seconda Guerra d’Indipendenza alla sua amata. E come si fa a pensare al confronto fra la melanconia struggente ed erotica di questo bacio e l’allegria spregiudicata, presente nella fotografia scattata da Alfred Eisensteadt e finita su Life, in cui un baldo marinaio, recentemente identificato come Glenn McDuffie, bacia appassionatamente un’infermiera, in piena Times Square a New York, il 14 agosto 1945, per celebrare la fine della guerra? Insomma, i baci e la guerra; i baci e la pace; gioia e malinconia. L’importante è che sia… un bacio. Da Hayez a Eisensteadt, un messaggio universale.