È un silenzio “assordante” quello che sinora ha contraddistinto la condotta di Israele di fronte all’evolvere tumultuoso e violento della crisi mediorientale. Non che Gerusalemme stia ad osservare l’avanzata dello Stato Islamico con indifferenza o, ancor più, inconsapevole del fatto che il cruento confronto tra le forze ribelli e fondamentaliste del Califfato e le popolazioni di Siria e Iraq possa presto bussare alle sue porte, ma possiamo immaginare che per il momento i vertici del Paese abbiamo preferito non contribuire ad alimentare maggiormente il conflitto assumendo un ruolo attivo nei suoi confronti. Certo che Israele non guarda con tranquillità la discesa in campo, tra le forze della coalizione internazionale pronte a fermare l’avanzata dell’Isis, dell’Iran. A confermare questo timore anche l’ex ambasciatore israeliano in Italia e in Francia, Avi Pazner, grande conoscitore dei fragili equilibri di un’area sempre sotto assedio.
Ambasciatore Pazner, guardando al Medio Oriente il mondo sta cercando di capire quali siano le posizioni dei paesi vicini all’area del conflitto. Alcuni sono interessati alle risorse energetiche, controllate appunto dallo stato islamico, mentre altri temono di perdere visibilità dopo una possibile fase di distensione dei rapporti tra Stati Uniti e Iran. Qual è la posizione di Israele di fronte a questo possibile cambiamento di scenario?
“A mio avviso, il principale problema dell’area mediorientale, in questo momento, è rappresentato dall’instabilità; non ricordo, da quando ho iniziato a seguire la politica internazionale, ovvero 50 anni fa, il profilarsi di una situazione tanto esplosiva. Alcuni importanti paesi come la Siria, l’Iraq, la Libia o lo Yemen, non sono più guidati da compagini governative regolari ma da pseudo-movimenti di stampo terroristico, con denominazioni differenti, alcuni dei quali fanno capo al nuovo Stato Islamico e altri che mantengono uno stretto legame con al Qaeda. Tutto il Medio Oriente è percorso e minacciato da fazioni fondamentaliste che puntano alla destabilizzazione della regione, potendo contare, purtroppo, sulla perdita di forza e legittimità dei governi centrali. Ciò rappresenta una minaccia molto pesante per tutta la regione. Di fronte a tale scenario da molte parti si ritiene che l’intervento, anche militare, dell’Iran potrebbe risultare risolutivo della crisi. A nostro parere, in realtà, l’Iran fa parte del problema e non della soluzione. A Teheran è insediato un governo islamico radicale che, secondo noi, non ha abbandonato il progetto di sviluppare armi nucleari. L’attuale disponibilità dell’Iran a sostenere l’azione dell’America e dei Paesi occidentali nasconde, a nostro avviso, una finalità evidente: in cambio del sostegno in questa azione di lotta contro i movimenti terroristici Teheran chiede all’occidente una maggiore apertura verso il proprio programma nucleare, anche nell’ambito dei negoziati attualmente in corso a Ginevra. L’Iran ha sinora rifiutato tutte le proposte avanzate dai Paesi occidentali e che non prevedono, neanche per il futuro, la produzione di armamenti nucleari. Israele osserva con molta preoccupazione questa situazione, riscontrando da un lato la destabilizzazione del Medio Oriente per mano dei movimenti Islamici e, dall’altro, paventando l’emergere dell’Iran che minaccia non soltanto Gerusalemme, ma tutti i paesi del Golfo. Per questa ragione pensiamo sia un errore accettare l’ingresso dell’Iran in questo contesto”.
Quanto secondo lei lo Stato Islamico è guidato anche da interessi energetici e di controllo delle fonti di energia per consolidare le proprie posizioni di egemonia nell’area?
“Quello che mi sento di affermare è che la finalità energetica non è la principale ragione per la quale esistono e agiscono questi gruppi terroristici; è evidente che la loro presenza nelle aree di estrazione di petrolio, sia in Iraq che in Siria, non è un caso. È evidente che il commercio anche clandestino di queste risorse è finalizzata alla sussistenza economica del califfato, “svendendo” oltretutto il petrolio ad un quarto del prezzo ufficiale, ed è per questa ragione che i raid aerei americani hanno colpito prima di tutto le installazioni energetiche al fine di non permettere all’IS di acquisire un potere ancora più grande. Io ritengo che l’Occidente, l’America e i Paesi arabi moderati riusciranno a sconfiggere lo Stato Islamico, nonostante occorreranno molti mesi, forse anni, ma non è possibile lasciare nel frattempo nelle mani di questi combattenti il controllo del mercato energetico nel nord dell’Iraq e nell’est della Siria. Torno a ribadire che lo scopo finale dell’avanzata dell’Isis è l’istituzione di una grande nazione islamica dal Maghreb all’Iraq, e ciò include il controllo delle fonti energetiche. Dal momento però che l’America, i Paesi occidentali e i Paesi mussulmani più moderati, come l’Arabia Saudita, la Giordania, gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto, si oppongono, immagino e mi auguro che l’impatto sul versante energetico possa avere ripercussioni moderate”.
Crede che l’Iran, giocando sulla disponibilità a collaboratore al fianco di Paesi occidentali con cui finora ha avuto rapporti conflittuali, miri ad ottenere una revisione dell’embargo sulla vendita di petrolio?
“Ho già accennato al settore nucleare in cui l’Iran opera oramai da molto tempo e per il quale sono in corso nuovi negoziati. Un ulteriore avvicinamento fra l’Iran e l’Occidente immagino che possa alleggerire il quadro di sanzioni che colpisce il mercato iraniano del greggio, con un evidente rafforzamento dell’Iran. Il governo di Teheran ha messo in atto una strategia molto sofisticata, consapevole che per sconfiggere i terroristi non sia sufficiente solo l’intervento aereo ma occorra un’azione anche da terra. L’America e i Paesi europei non sono pronti ad intervenire in una operazione terrestre, mentre l’Iran, in questo senso, manifesta molta disponibilità. L’Isis sta dimostrando una crudeltà disumana, ma per l’Iran ingaggiare un contrattacco con truppe di terra sarebbe molto facile, soprattutto se la contropartita fosse la possibilità di vendere liberamente il proprio petrolio. A mio avviso, offrire all’Iran l’opportunità di rafforzarsi in Medio Oriente non costituisce una prospettiva positiva”.
Quale sarebbe secondo lei la reazione di Israele di fronte ad una situazione in cui l’area mediorientale si rafforzasse attraverso un aumento delle esportazioni di petrolio?
“Un’ipotesi del genere vedrebbe sicuramente un riavvicinamento di Israele ai Paesi arabi moderati che condividono le sue stesse preoccupazioni, soprattutto rispetto ad una possibile avanzata dell’Iran. Prevedo un consolidamento delle relazioni con l’Arabia Saudita, con la quale nel corso degli ultimi anni i rapporti sono stati piuttosto “freddi” ma che, al contrario, ci vede impegnati adesso in una nuova stagione di dialogo, seppur informale, o con gli Emirati Arabi. Evidentemente potrebbe interessare ad Israele rafforzare i propri legami anche con l’Egitto e la Giordania, provando a costruire un’alleanza, anche se non di natura formale, sulla base dell’obiettivo comune di non concedere all’Iran quell’egemonia che ricerca all’interno della regione mediorientale, e che adesso Teheran sta tentando di ottenere offrendo il proprio aiuto all’Occidente”.
Lei pensa che Israele possa subire delle ripercussioni negative dal punto di vista energetico a causa della crisi in corso?
“Sinceramente no. Israele ha condotto molte esplorazioni nella fascia di Mediterraneo antistante le proprie coste individuando ingenti riserve di gas naturale. Fra pochi anni saremo completamente indipendenti, anche grazie ad investimenti realizzati sul versante del fotovoltaico. Israele non ha il problema di approvvigionarsi di energia; sono lontani i ricordi della crisi energetica dei primi anni ‘70, durante la guerra del Kippur, quando subimmo un duro embargo, ma in quel caso il problema era di livello mondiale. Oggi Israele può facilmente reperire tutta l’energia di cui ha bisogno e, ribadisco, che fra due o tre anni raggiungeremo la completa autonomia energetica”.
Come valuta le minacce terroristiche che stanno allertando i governi mondiali? A suo avviso la lotta all’Isis darà risultati positivi in breve tempo, grazie anche agli interventi militari occidentali?
“Siamo evidentemente molto preoccupati per queste minacce, e ciò conferma, come detto, l’estrema instabilità della situazione. Il pericolo non proviene solamente dalle organizzazioni terroristiche, ma anche da alcuni paesi della regione mediorientale. Ritengo comunque che l’intervento militare, soprattutto grazie all’impegno statunitense e di altri Paesi occidentali, possa produrre un risultato molto positivo nella lotta al terrorismo islamico. Nel frattempo tutti noi subiamo il clima di grande incertezza che potrebbe alimentare altri conflitti, come quello che ci ha visti impegnati l’estate scorsa contro Hamas, un ramo di quell’albero islamico che ha diramazioni in Libano come in altri Paesi del Golfo dove ci sono riserve energetiche molto importanti, come nel Bahrein, ad esempio, dove nonostante la gestione sia garantita da un governo moderato, il pericolo terrorista può attecchire comunque. Sono comunque più che certo che, grazie alla determinazione mostrata dalle forze in campo, la vittoria contro la crudeltà terroristica dell’Isis sia assolutamente alla portata dell’Occidente”.
Grant Summer