Per lei la 69° edizione del Prix Italia è stato un vero e proprio battesimo del fuoco: Karina Laterza, primo contratto in RAI dal 1991, è il nuovo segretario generale del Prix Italia, succedendo a Vittorio Argento, Paolo Morawski e Giovanna Milella. Ha assunto l’incarico ai primi di maggio di quest’anno, venendo dal giornalismo all news. Napoletana, laureata in Economia in Bocconi, il suo primo Prix a Milano ha invitato a tornare ai fatti. Ovvero ha voluto sollecitare i lettori, gli editori e i giornalisti a privilegiare la realtà senza rincorrere le suggestioni delle fake news.
Il premio Nostalgia di Futuro 2017 è stato ospite del Prix Italia a Milano per la prima volta. Anche per la manifestazione organizzata dall’associazione Osservatorio TuttiMedia è stata la prima volta a Milano dopo otto edizioni nella capitale economica italiana. Karina Laterza ha aperto l’evento dedicato a “Programmare il mondo” con Marina Ceravolo (Rai Pubblicità e consigliere OTM). Nella foto Karina Laterza a sinistra e Marina Ceravolo a desta).
Prix Italia come agone del rinnovamento dei media?
Dallo scorso anno, Prix Italia ha recuperato il suo DNA itinerante, che non è casuale: è un viaggio che collega strettamente la RAI al suo territorio. L’anno scorso eravamo a Lampedusa, a parlare di immigrazione e abbiamo portato la nostra comunità internazionale sulla frontiera dell’accoglienza italiana, perché potesse vedere e vivere direttamente le storie della popolazione che si prodiga per la fiumana di disperati che approda sulle nostre sponde.
Da un capo all’altro della Penisola, quest’anno siamo andati a Milano, luogo dell’innovazione per antonomasia, città molto produttiva, di particolare vivacità e protesa ad accogliere la punta avanzata dell’internazionalizzazione italiana. Questo Prix milanese non poteva che avere un titolo che invita al ‘ritorno ai fatti’: in questo caso parliamo di informazione e di contrasto alle fake news. Ne abbiamo parlato in varie sessioni, dedicate ai nuovi strumenti di contrasto, tecnologici e non solo, per il riscontro delle informazioni in un panorama sempre più complesso, nonché alle strategie editoriali che puntano a riaffermare centralità e autorevolezza nell’informazione.
Abbiamo avuto con noi esponenti di sigle famose come Google, Fb, ma anche al Jazeera, Le Monde e speaker che rappresentano Gruppi di avanguardia in questo campo, come First Draft e Rasto Kuzel di Memo 98, che ha lavorato in particolare sull’inquinamento dell’informazione elettorale nell’Europa dell’Est. La discussione, quindi, ha riguardato i macrosistemi, ma anche esperienze specifiche, ma non meno interessanti, come a esempio, il caso portato da al Jazeera: avevano pubblicato il video di un coro canadese che cantava in arabo. Secondo la notizia che avevano trasmesso, il coro dava il benvenuto ai rifugiati in Canada. Naturalmente, la news aveva suscitato grande interesse, tanto che il video era diventato virale, pur essendo falso : la canzone era, sì, in arabo, ma parlava di tutt’altro. L’avevano dovuto ritirare di corsa e scusarsi pubblicamente
Tutti i dibattiti, in fondo, si sono imperniati sulla necessità di ristabilire il principio di responsabilità come baluardo rispetto a una vera e propria ondata di inquinamento dell’informazione.
A chi giova ciò?
In realtà, alla lunga, non giova a nessuno. Nel breve periodo, le notizie eclatanti, anche se false, portano click e soldi a chi le pubblica in Rete e, ahimè, audience, a chi le riprende sui media tradizionali. A ciò si aggiungono interessi specifici di chi vuole danneggiare un avversario politico o commerciale o, più banalmente, denigrare un ‘nemico’ o l’ex partner. E, ancora, molti speaker hanno sottolineato il meccanismo perverso delle eco-chambers, gruppi di opinione che si rimpallano notizie vere, verosimili o palesemente false per rafforzarsi nelle loro convinzioni e, in realtà, non sono veramente interessati a essere informati.
Nel dibattito, sono emersi i rischi per la democrazia?
Assolutamente sì. Per dirla con Luca de Biase, direttore di Nova 24, nel campo dell’informazione sta replicandosi un meccanismo simile a quello instauratosi per l’inquinamento ambientale: de Biase ha ricordato come negli anni ’60 e ’70, pochi, sparuti gruppi segnalassero i rischi degli sversamenti industriali e delle emissioni di gas serra per l’ecosistema, nell’indifferenza generale. Abbiamo dovuto generare il buco nell’ozono, ammalarci perché si creasse un movimento di opinione pubblica veramente attento al problema. Oggi le fake cominciano a creare inquinamento informativo, un rumore di fondo, una nebbia che mette a rischio il dibattito democratico. L’opinione pubblica comincia ora a rendersene conto.
Cosa fa la RAI in questo settore?
Certamente avverte la responsabilità che nasce dall’essere servizio pubblico. Certo non siamo esenti da errori di valutazione, ma è nel nostro DNA anteporre la verifica delle notizie al gusto di arrivare per primi. La ricerca di fonti attendibili, il riscontro con gli inviati sul campo, l’inquadramento di scenario di ogni notizia per chiarirne i contorni: tutto questo risponde alla necessità di farci davvero servizio pubblico. In questo ci aiuta all’interno del Paese la nostra capillarità sul territorio e, anche all’estero, la rete dei corrispondenti in grado di interpretare le realtà in cui vivono.
L’allargarsi dell’utilizzo di Internet per ricevere informazioni rende le persone più vulnerabili ad essere preda di untori di fake news. Questo tema è stato affrontato nel corso del Prix Italia?
Certamente sì. Tornando al parallelo con l’inquinamento ambientale, potremmo dire che la buona informazione, come l’aria pulita, ha un costo, richiede professionalità e impegno. Se il pubblico vuole avere un servizio che lo informi deve comprendere che a monte c’è un’organizzazione che cerca le notizie, le riscontra, le inquadra correttamente grazie a una buona formazione culturale, con Testate giornalistiche che trovano nell’essere attendibili la loro ragione d’essere e la base che garantisce il loro lavoro. Se si vuole informazione professionale bisogna pagare dei professionisti. Internet può fornire moltissime notizie ed essere utile nei campi in cui già si sa molto; ma, l’informazione generalista richiede competenza. Nell’era delle minoranze rumorose occorre un giornalismo molto responsabile, in grado di valutare i numeri, le statistiche, i contesti, le leggi; altrimenti si cade preda dei pochi che suonano la grancassa rispetto alle maggioranze silenziose, che, per definizione, non hanno voce sull’informazione. Su Internet il fenomeno di ciò che cattura attenzione viene scambiato per adesione crea quella nebbia sulla democrazia di cui abbiamo parlato.
Lei da giornalista ha lavorato al TG1 e Rai News 24. C’è stato un momento in cui lei ha avvertito più nettamente l’impatto delle fake news?
C’è stato un momento che, per me, è stato illuminante: è stato quello in cui hanno cominciato ad arrivare dal web le immagini delle macabre ‘imprese’ dell’ISIS, con prigionieri giustiziati nelle maniere più spettacolari. La riunione di redazione a Rai News 24, in quei giorni, era pirotecnica: si discuteva tutti i giorni come e se mandare in onda le immagini sanguinarie che ci arrivavano. Erano notizie? Da dare per intero, senza filtro, come arrivavano? Quale era la notizia reale che contenevano? Alla fine, il direttore Monica Maggioni ha deciso che il contenuto ‘pubblicitario’ di quei filmati chiaramente montati ad arte, anche non notevoli capacità e mezzi era nettamente superiore al contenuto informativo e che era nostro dovere passare solo l’informazione: “E’ successo questo o quello… rivendicato da…”, non farci cassa di risonanza di un messaggio emotivo. Da quel momento in poi, abbiamo trasmesso le notizie illustrate solo da qualche foto. All’epoca ci accusarono di censura; secondo noi si trattava di una scelta responsabile.