Una Cina strabica sulla scena mondiale, che guarda più a Taiwan che all’Ucraina – per Pechino, è un conflitto regionale -, ma che soprattutto guarda alla propria crescita e ai propri problemi. Giunta all’ora dell’elezione del presidente Xi Jinping a un terzo mandato – non era mai accaduto -, la Cina può crogiolarsi nella soddisfazione per il sorpasso dell’Ue e degli Usa in fatto di Pil, ma deve pure fare i conti con il rallentamento dell’economia e una crescita per i suoi standard asfittica, il rialzo del debito e dell’inflazione, l’ossessione dell’autosufficienza tecnologica, il crollo delle nascite, l’impatto economico e sociale della politica ‘zero Covid’ che innesca fremiti di malumore.
Coi poteri concentrati nelle sue mani, e la presa sull’apparato del partito apparentemente rinforzata, Xi si appresta ad affrontare un quinquennio con tante incognite e con tanti rischi. La Russia, cui conferma vicinanza, è nella bufera della guerra; gli Stati Uniti, che restano rivali, sono al guado delle elezioni di midterm; nel Mondo, i rapporti di forza stanno modificandosi: per Pechino, sono tutti fattori di cautela e diffidenza.
Il segno del XX Congresso del Partito comunista cinese, che s’è aperto domenica 16 per chiudersi domenica 23 con la rielezione di Xi e il rinnovo dell’apparato dirigente, è la continuità, certamente non il cambiamento. Xi vuole che l’apparato militare della Cina acquisti le dimensioni e l’efficacia di quello di una super-potenza e non intende modificare le politiche che creano frizioni con gli Usa e l’Occidente, l’obiettivo di riunificare Taiwan alla Madre Patria, la repressione del dissenso – specie a Hong-Kong -, il mancato rispetto dei diritti delle minoranze e della libertà d’espressione, per non parlare delle pratiche economiche e commerciali disinvolte ed espansioniste.
Verso la Russia, il tono è più indulgente: Pechino e Mosca sono alleate nel mettere in discussione l’ordine internazionale e lo strapotere di Washington, ma Xi non vuole che il conflitto in Ucraina, nella sua escalation, si allarghi da regionale a mondiale. La Cina si dichiara favorevole al rispetto dell’integrità territoriale dei singoli Stati, ma dice anche che le esigenze di sicurezza della Russia devono essere prese in considerazione; e spinge per una soluzione negoziale, anche se non si espone in un ruolo di mediazione. L’Ue è lontana e forse marginale, ‘accerchiata’ e, in qualche misura, ‘neutralizzata’ dalla nuova Via della Seta, che ‘cinesizza’ molti Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America latina.
Il portavoce del Congresso Sun Yeli spiega che Pechino non paventa nei rapporti con Washington una ‘trappola di Tucidide’: un politologo di Harvard, Graham Allison, li interpreta come lo scontro tra Atene, potenza emergente, e Sparta, consolidata nella sua forza, ma che si sente minacciata. Sun è convinto che Cina e Usa “abbiano molto più interessi comuni che differenze” e sollecita i partner a “trovare il modo giusto per andare d’accordo”.
Taiwan è la linea rossa delle relazioni con gli Stati Uniti, come gli episodi degli ultimi mesi hanno ripetutamente dimostrato, dalle missioni a Taipei della speaker della Camera Nancy Pelosi e di altri esponenti statunitensi alle punture di spillo contrapposte delle esercitazioni militari. Nel solco di Xi, Sun afferma che il Pcc “non rinuncia all’uso della forza”: è “l’ultima risorsa” per la riunificazione” e un monito “alle interferenze esterne e alle spinte indipendentiste”. La riunificazione, che Pechino auspica pacifica, è cruciale “al ringiovanimento della nazione” e risponde “all’interesse di tutti, anche dei compatrioti di Taiwan”. “Lavoreremo per rivolvere la questione con sforzi sinceri”, dice Sun, ma “nessuno dovrebbe sottovalutare la nostra determinazione”: “L’isola è parte inalienabile” del territorio cinese