In occasione del compimento del mezzo secolo dalla propria creazione, l’Istituto Affari Internazionali (IAI) – la think tank di riflessione, strategia e proposta politica, nata su impulso di Altiero Spinelli, uno degli autori del Manifesto di Ventotene, il documento ispiratore dell’idea di Europa unita – ha realizzato una folta messe di eventi, incentrati su varie declinazioni della politica estera e della situazione internazionale, senza allontanarsi dal proprio stile sobrio e mirante ai contenuti piuttosto che allo sfoggio di mondanità.
Così è stato anche, lo scorso 23 giugno, per un dibattito articolato su più panel su: “La politica estera dell’Italia – Cinquant’anni dell’Istituto Affari Internazionali” che, oltre ad affrontare temi caldi e caldissimi sul tappeto – a cominciare dal coincidente referendum in Gran Bretagna sulla Brexit – ha fornito l’occasione per presentare l’omonimo libro edito da Il Mulino, curato da Cesare Merlini, uno dei Pilgrim Fathers dello IAI e suo presidente del Comitato dei Garanti, e costituito da una serie di saggi scritti da alcuni collaboratori d’eccellenza dell’Istituto.
L’understatement genetico della think tank è stata quasi una parola d’ordine osservata ‘religiosamente’ dai protagonisti dell’incontro: lo stile asciutto e senza indulgenze all’autocelebrazione ha rappresentato la cifra distintiva degli interventi introduttivi del presidente dello IAI, l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci e del direttore Ettore Greco i quali hanno rimarcato come, nella pubblicazione, si segua il filo conduttore di un resoconto lineare e avulso da protagonismi di quanto ‘partorito’, sotto il profilo delle proposte e delle riflessioni sui versanti europei e mondiali, in questo mezzo secolo di attività, nel pensatoio dello IAI e, perché no, anche di ciò che non è andato a segno.
Una trincea fondativa che ha continuato ad essere prioritaria per le generazioni di studiosi che si sono succedute è stata quella europea e la simbolicità della data in cui, del tutto casualmente, avveniva la manifestazione, rispetto alle forche caudine per il progetto europeo rappresentato dalla consultazione sul Brexit, ha fatto da fil rouge in diversi interventi.
Le parole dei relatori e le loro analisi dettavano l’immagine di un’Europa che si muove senza rete come un acrobata su un filo teso, reso insicuro da continui scrolloni, costellato da ostacoli contro il completamento di politiche comuni – per la difesa, la sicurezza, gli esteri e l’immigrazione – e dell’Unione economica e monetaria. Una soluzione potrebbe essere nella diversificazione delle regole di adesione, con una gradualità di coinvolgimento onde promuovere una più radicata integrazione fra gli Stati membri (con l’utopia di una nuova stagione dei Trattati). Non va, inoltre, dimenticata una visione globale dei rapporti Ue/mondo e una innovata governance in tal senso.
Il primo panel, coordinato dall’editorialista di Repubblica Stefano Folli, ha messo a confronto le riflessioni del già vicedirettore generale di Bankitalia, Pierluigi Ciocca; del Presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano e del vicepresidente della casa editrice ‘Il Mulino’, Angelo Tantazzi.
Da Ciocca un incipit che ha rimarcato lo stretto vincolo fra Bankitalia e lo IAI, fin dalla sua genesi nel 1966 (così come sono stati ricordati, nel corso dei lavori, quelli con la Fondazione Olivetti e il Ministero degli Esteri, nonché con la stessa casa editrice Il Mulino) e il contributo dato dall’Istituto per creare una cultura economica italiana emancipata dall’ortodossia neoclassica o dalla frigida accademia.
“Ai tempi della creazione dello IAI – ha ricordato Ciocca – l’economia italiana cresceva del 6% l’anno e rappresentava il 4% del PIL mondiale, contro l’attuale 1,9%, senza dimenticare l’odierno abnorme debito pubblico equivalente al 130% del Prodotto Interno Lordo nazionale.”
L’excursus ‘storico’ di Ciocca ha focalizzato i diversi modus agendi dei Governatori susseguitisi fino all’avvento della moneta unica e, nel contempo, ha sottolineato quanto l’euro sia un’ottima moneta; talmente forte che anche iniziative teoricamente indebolenti non riescono a deprezzare. Poi, una riflessione: riguarda la determinazione della Germania di affrontare qualsiasi ‘sacrificio’ pur di mantenere una posizione di creditrice. Ciò perché essere debitore dà un ruolo soccombente e fragile.
Invece, ci sarebbe bisogno che ogni Paese prendesse il timone dei propri investimenti come volano economico: è sperimentato che ciò che investe uno Stato si ottiene triplicato in risultati economici, con positive ricadute sulla produttività.
Giorgio Napolitano ha esordito con un calembour: “Non bisogna esagerare con l’understatement delle celebrazioni per lo IAI – ha detto – giacché l’Istituto merita di essere celebrato per il contributo dato nella determinazione degli assi fondamentali dello sviluppo democratico del Paese.”
L’ex Presidente della Repubblica ha ripercorso i tempi ormai lontani di un sistema democratico bloccato fra maggioranza e opposizione e gli avvicinamenti fra la maggioranza governativa e il Pci su singoli temi, come, ad esempio, la politica verso i Paesi del Medio Oriente.
Su altre questioni, però, fino alla metà degli anni ’70, invalse una ‘strozzatura’ determinata dalla preclusione ideologica dei due partiti della sinistra, instauratasi con l’avvento delle guerra fredda: certe scelte, infatti, venivano interpretate come la porta d’accesso perversa dell’imperialismo USA.
“Il punto di svolta della bipartnership – ha sostenuto Napolitano – è stato nel 1976, quando ci furono le larghe intese e il governo di programma presieduto da Andreotti. Intanto, Altiero Spinelli veniva candidato come indipendente nelle liste del PCI, con l’impegno di designarlo al Parlamento di Bruxelles e, nel ’78, fu eletto direttamente, con l’indizione diretta di elezioni europee.”
E oggi? Oggi non si sa bene, secondo Napolitano, se ci sia una bipartnership o un grande vuoto, giacché non sono riconoscibili forze che abbiano una posizione determinante nella politica italiana, sia a destra, sia, a maggior ragione, a sinistra.
Ciò che si sente di meno è una comune dimensione culturale, specie un orientamento condiviso sulla sicurezza. “Quando vado in Senato – ha raccontato – e ascolto ciò che dicono i colleghi, mi avvedo che mancano i fondamentali in politica estera e, quindi, c’è ancora tanto bisogno del contributo dello IAI.”
Un focus di Napolitano ha riguardato le politiche di sicurezza: “Sono temi – ha sostenuto – su cui la sinistra è arrivata tardi, per il preconcetto che si trattasse di sponde della destra; cosicché oggi si trova in arretrato su questioni che hanno un’assoluta centralità.”
Sulla difesa comune europea, per Giorgio Napolitano, occorrerà convincersi che gli Usa si stanno tendenzialmente disimpegnando e, dunque, è più urgente che mai avviare quella cooperazione strutturata rimasta sulla carta del Trattato di Lisbona.
Il secondo segmento dell’incontro si è realizzato in un dialogo fra il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan e il vicepresidente dello IAI (nonché suo predecessore) Fabrizio Saccomanni. Il tema era di non poco momento: come dovrebbe essere strutturata una politica europea per la crescita? Ovvero, come rimettere le mani su quei meccanismi da cui dipende l’attuale stagnazione?
A fronte di un documento importante portato da Padoan all’esame dei colleghi europei nel corso del Consiglio Ecofin, la road map di mediazione che si è coagulata, a detta di Saccomanni, è labile e ‘annacquata’ rispetto alle proposte originarie italiane.
Il ministro dell’Economia ha rivendicato un impegno pregresso nella realizzazione in Italia di un’International political economy, che consentisse il lento passaggio dal sistema egemonico USA a un mondo multipolare, sostanziatosi nel G20 con la partecipazione dei Capi di Stato e di Governo, nel post crisi della Lehmann Brothers – prima vi partecipavano solo i ministri economici –.
Il che, a detta di Padoan, è tutt’altro che risolutivo e lascia aperti molti problemi: ma, piuttosto che niente…
E l’Europa? Lì, a parere del titolare di via XX Settembre, è fondamentale la questione della leadership. Se, però, si ritiene un dogma assegnarla alla Germania, si imbocca una via non praticabile, perché non si riscontra sufficiente coesione; la si può raggiungere solo con una coalizione di Paesi in grado di generarla, sì fa generare più crescita, occupazione, stabilità, benessere e sicurezza, con un impegno all’inclusione e alla lotta alle disuguaglianze.
L’intervento di Padoan ha spaziato verso la sicurezza, collegata a filo doppio con il contrasto al terrorismo, la sfida dell’emigrazione e la relativa crescita del benessere comune. Non sono mancati approfondimenti sull’Unione bancaria, considerata dal relatore elemento indispensabile per ottenere un’unione monetaria stabile.
E qui interviene la contrapposizione fra due ‘scuole di pensiero’ fra gli Stati membri: quella dell’introduzione di misure per ridurre i rischi e l’altra, che prevede una condivisione dei rischi stessi. L’Italia è per questa seconda tesi, pur senza distrarsi dalla tensione alla minimizzazione dei rischi.
La Germania, invece, non vuole neanche sentire parlare di condivisione, adducendo motivi di equilibrio di politica interna. Il sentiero su cui procedere, pertanto, pare assai stretto e scivoloso. “Un motivo di moderato ottimismo ci fa guardare fiduciosi verso un futuro non troppo rigoroso: la Presidenza slovacca, che comincerà il prossimo 1 luglio, ha fatto propria la proposta italiana di instaurare misure di assicurazione contro la disoccupazione. Ve n’è invece uno che rende pessimisti: il problema più profondo fra Stata è la reciproca sfiducia. Quando si saprà fugarla, allora sarà un nuovo inizio per la Ue.”
Il panel conclusivo, moderato da Antonio Polito, editorialista de’ Il Corriere della Sera, ha visto protagonisti Romano Prodi, già pluriPresidente del Consiglio dei Ministri e Presidente della Commissione europea; Emma Bonino, ex Commissaria europea e Ministro degli Esteri e Luca Giansanti, attuale Direttore generale per gli affari politicie la sicurezza del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale.
Se la prima sessione è stata dedicata ad un’analisi del passato, è toccato alla seconda parlare di futuro.
Romano Prodi ha, sin dalle prime battute, parlato di regressione e di complicazione nei rapporti economici. “Quand’anche vincesse il no alla Brexit (NdR: cosa poi non avvenuta con una valanga di contraccolpi per il tempo a venire), comunque l’Ue ha subito un vulnus dal momento in cui è stato promosso il referendum. E, poi, sarebbe da festeggiare non la permanenza della Gran Bretagna nell’Unione, bensì la ‘vera’ sua entrata. (NdR: e invece stiamo a stracciarci le vesti sulla sua ‘vera’ uscita).
I premier britannici con cui ho avuto un’interlocuzione allorché presiedevo la Commissione erano una vera spina nel fianco; oggi li vedo tutti a sbracciarsi per il no alla Brexit e a glorificare l’Europa!”
Anche sugli Usa, Prodi è stato pungente: “Impongono sempre più la politica atlantica, volendo far pagare a noi tutti i conti del loro disimpegno, visto che non riescono a reggere i costi rispetto al passato; e nell’antagonismo fra Usa e Russia, degno della guerra fredda, l’Europa se ne deve stare seduta su uno strapuntino di seconda fila.
Sul Mediterraneo, poi l’Italia è sola, alle prese di problemi più grandi di lei, senza che si veda all’orizzonte la benché minima politica di cooperazione. E’ comodo, come fa la Germania, ammantarsi di riluttanza, per suggere i vantaggi e scansare le responsabilità. Si ricordi che quando gli USA vararono il Piano Marshall, lo fecero non perché erano Dame di San Vincenzo, ma per coltivarsi alleati forti”.
Emma Bonino, infine, ha messo in guardia contro l’illusione di assicurare la democrazia attraverso il web: “E’ democrazia autentica – ha affermato – quando ci sono i pesi e contrappesi e quelli non si possono sintetizzare in un clic. Charge.org può anche lanciare una petizione contro la pena di morte; ma il giorno dopo può, senza trasalimenti etici, promuoverne una a favore. La tecnologia semplifica e nega la complessità. E invece è questa che ritroviamo nel nostro quotidiano.”
Per il continente europeo, secondo la politica radicale, l’orizzonte, se vuole avere un futuro, è quello federalista, che garantisce, democrazia, partecipazione e autonomia.

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Annamaria Barbato Ricci
Annamaria Barbato Ricci è una stimata e nota giornalista italiana, free lance e già capo-ufficio stampa alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero dei Trasporti e consulente nello staff di Presidenza dell’UNICEF. E' stata coordinatrice e co-autrice della trilogia “Radici Nocerine: la Storia al servizio del Futuro”, e ideatrice de Le Italiane, un libro che racconta 150 anni di Italia al femminile.