di MICHELE MEZZA
“Cosa c’è meglio di un milione di dollari? Un miliardo di dollari”. Così risponde nel film “The Social Network” l’attore che interpreta Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook.
Lo stesso anno Eric Lefkosky e Andrew Mason, i due fondatori di Groupon.com, quando hanno respinto la proposta di acquisto per ben 5 miliardi e 300 milioni di dollari avanzata da Google per il loro sito, sostenendo che “30 miliardi è meglio di 5 miliardi”.
Groupon.com si avvia così a chiudere un contrastato 2010 diventando il caso digitale dell’anno. Un’azienda con solo due anni di attività, priva di ogni asset tecnologico, si sta imponendo come snodo strategico dell’economia 2.0
Groupon.com realizza una delle più vecchie formule del marketing di bottega: vendere un prodotto civetta sottocosto per attirare visitatori nel proprio negozio. Lo fa su scala locale, anzi localissima, quartiere per quartiere; isolato per isolato, di ogni grande città americana. È forse l’esemplificazione più persuasiva e vincente della forza della cosiddetta lunga coda, teorizzata da Chris Anderson, il direttore di Wired.
Il mercato, spiegava Anderson, si articola ormai in una lunghissima teoria di nicchie locali, dove ognuno cerca il prodotto particolare, specifico, esclusivo.
Groupon.com offre un ambiente, una cassa di risonanza, un megafono digitale, ad ognuno dei singoli negozianti che vuole tentare la sorte alla roulette del consumo iperindividualizzato.
In pochi mesi il fenomeno ha dilagato su entrambe le coste degli Usa e ora è sbarcato in Europa. Il meccanismo rimane lo stesso: ogni esercente si iscrive, e grazie alla sua geolocalizzazione è in grado di lanciare la propria offerta: uno sconto del 50/60/70% per un singolo prodotto. L’offerta vale in genere 24 ore. L’adesione avviene via e-mail, con la quale i consumatori si iscrivono alla lista di coloro che si impegnano ad acquistare il prodotto o il servizio.
Prevalentemente il sistema si è rivelato miracoloso per servizi di alto e medio target: saloni di estetica, abbigliamento su misura, arredamento di modernariato, etc. Ora si sta aggredendo il mercato degli articoli di largo consumo.
Ma il senso dell’operazione groupon.com, il motivo per cui Google era pronto a procedere all’acquisto più oneroso della sua storia (4 volte quanto è stato pagato YouTube) è che dietro al successo commerciale dell’operazione si affaccia un’altra straordinaria prospettiva: la pubblicità hyperlocal. Si tratta della promozione e delle offerte di singoli esercizi, negozi o centri commerciali, che al momento non è ancora preda di media industriali. Solo in Italia si valuta in almeno 1,5 miliardi di euro il suo gettito annuale. Una somma che sanerebbe i deficit dell’intero sistema della comunicazione. Ma fino adesso questa ricchissima grotta di Aladino è rimasta inviolata per il semplice fatto che fino ad oggi nessuno è riuscito ad allestire un sistema di raccolta e produzione di pubblicità locale sostenibile e redditizio. Troppo estesa e capillare dovrebbe essere la rete dei venditori e troppo costosa la sua gestione. Grazie alla piattaforma on line questo problema pare risolversi applicando all’inserzionista della piccola pubblicità il modello di user generated content. È questa l’efficace scorciatoia inventata da Google: spingere gli infiniti singoli esercenti ad affacciarsi sulla Rete e a proporre direttamente formato, contenuto e spazio della propria pubblicità. Su questo Google sta lanciandosi come un avvoltoio, puntando che al momento nessuno nel mondo dispone della sua potenza di calcolo per elaborare gli algoritmi necessari a gestire le infinite transazioni. Groupon.com rappresenta il pretesto per spingere commercianti e consumatori sulla Rete con il miraggio di realizzare grandi affari o di catturare molti clienti. Stiamo entrando nell’epoca dell’advertising 2.0: tantissimi inserzionisti per pochi euro. A condizione che si comprenda che l’eldorado sta proprio sotto casa, nella cronaca hyperlocal.
Michele Mezza
giornalista RAI