Con Internet e, poi, il 2.0, pareva cosa fatta, o almeno a portata di clic: più trasparenza e, quindi, meno corruzione; anzi, basta con la corruzione. Invece, una decina di anni dopo, tra il Datagate e l’ultima indagine globale di Transparency International, eccoci qui a commentare il rischio che la trasparenza funzioni a senso unico: i fatti nostri sono effettivamente trasparenti a tutti, nel senso che tutti li possono sapere, magari spiando, intercettando o ‘hackerando’; mentre la trasparenza virtuosa resta, se non un miraggio, una oasi lontana.

E l’Italia non se la passa bene, né in assoluto né al confronto con gli altri Paesi: se la Corte dei Conti stima a 60 miliardi il peso annuo della corruzione nostrana, la classifica di Transparency ci colloca al 72° posto sui 107 Paesi presi in esame. Siamo più vicini al fondo della classifica, Afghanistan, Corea del Nord e Somalia, che alla vetta, dove stanno i soliti noti, Australia e Nuova Zelanda, Danimarca e i Nordici, Giappone.

Se c’è una prassi che accomuna democrazie e dittature, questa è la tangente.  Nel 2012, circa una persona su quattro al Mondo avrebbe imposto, o subito, questo ‘mezzuccio’ per ottenere il dovuto, o magari un favore.   In Italia, il 5% degli intervistati dalla Doxa dichiara di avere sborsato,  nell’ultimo anno, almeno una bustarella. Lo  stesso risultato nel Regno Unito. E la mazzetta risulta prassi per il 75% della popolazione in Liberia e in Sierra Leone, mentre lo è solo per l’1% nei Paesi più virtuosi.

La  corruzione  nel settore pubblico può assumere le forme più disparate e più fantasiose. E, spesso, corrotti e corruttori, esattori e pagatori, si tengono bordone: il 64%, della popolazione mondiale, quasi i due terzi, ritiene che i contatti personali siano utili per ottenere servizi e ‘servizietti’ nella pubblica amministrazione; e la percentuale sale all’80% in Italia, Israele, Libano, Malawi, Russia e  Ucraina.

Corruzione, bustarelle, mazzette sono pratiche e termini universalmente diffusi. E le istituzioni ritenute più corrotte sono, nell’ordine, su una scala da 1 a 5: i partiti politici (3,8), la polizia (3,7), la pubblica amministrazione (3,6). L’Italia è fra i Paesi dove i partiti politici sono considerati più corrotti.

Molto variabile, invece, la percezione dei cittadini rispetto all’azione anti-corruzione dei  governi. Solo il 5% dei norvegesi, ad esempio, ritiene che il proprio esecutivo sia condizionato da pochi, ma forti interessi, mentre in Italia e in Belgio lo pensa il 70% della popolazione locale e in Grecia l’83%. Percentuali minori, ma sempre alte, in Francia (57%) e nel Regno Unito (60%). In 88 dei 107 Paesi in esame, le politiche del governo per contrastare la corruzione nel settore pubblico sono ritenute inefficaci.

Articolo precedenteAgcom e giovani “bandivori”. Tv – pubblicità ieri come oggi
Articolo successivoSocieting Reloaded, pubblici produttivi e innovazione sociale