Le dieci donne spia che hanno fatto la storia, di Domenico Vecchioni, Edizioni del Capricorno, 2019, pag. 163.
Per secoli l’impiego della donna nello spionaggio è stato limitato da pregiudizi, tabù e luoghi comuni, che la relegavano a ruoli del tutto secondari o al massimo a quello di seduttrice. Lo sostiene, nella premessa al suo ultimo lavoro, l’ambasciatore Domenico Vecchioni. Per molto tempo, in effetti, lo spionaggio si espresse solo nella sua dimensione per così dire militare e si riteneva che le donne fossero meno capaci degli uomini nel maneggio delle armi e nelle attività ‘muscolari’ del mondo dell’ombra: ricognizioni in territorio nemico, esfiltrazioni e sabotaggi.
Domenico Vecchioni, diplomatico, storico e saggista, già autore di Le dieci operazioni segrete che hanno cambiato la Seconda guerra mondiale e di numerosi alttri saggi segnalati da AffarInternazionali.it, tratteggia ne Le dieci donne spia che hanno fatto la storia il ritratto di donne spie straordinarie, capaci di emergere in un settore tradizionalmente maschile grazie alla loro tenacia, all’intelligenza, alla forza di volontà e all’astuzia.
L’impiego sistematico delle donne nello spionaggio prese forma solo nel XX secolo per due principali ragioni: l’evoluzione del concetto di spionaggio in quello più ampio di intelligence e le mutazioni ‘genetiche’ che la prima e la seconda guerra mondiale determinarono nelle attività finalizzate alla ricerca delle informazioni altrui.
Vecchioni racconta la lenta trasformazione che gli apparati segreti hanno subito sotto la pressione degli eventi della prima e della seconda guerra mondiale: non bastava più raccogliere solo notizie militari, ma diventava invece indispensabile capire la capacità di tenuta complessiva del nemico. I servizi segreti cambiarono pelle per adattarsi alle nuove esigenze informative, ricercando inedite professionalità.
Durante la Prima guerra mondiale lo spionaggio dovette dunque aprirsi al mondo dei civili: matematici, ingegneri, docenti universitari, linguisti, economisti affiancarono il lavoro degli esperti militari, migliorandone in modo significativo i risultati. Attraverso questo varco, cominciarono a inserirsi anche le donne: fu l’epoca delle prime grandi donne spia, da Elsbeth Schragmuller a Mata Hari, da Edith Cavell a Marthe Richard.
Con la Seconda guerra mondiale questa tendenza si accentuò. I servizi d’intelligence furono costretti ad adeguarsi alle strategie più sofisticate: spionaggio economico, propaganda politica, pratiche di disinformazione, trasmissioni radio, intercettazioni, decifrazione di messaggi. Settori dove la donna entrò in perfetta sintonia con gli uomini, con cui ormai condivideva gli stessi rischi. Furono gli anni di spie del calibro e della qualità di Virginia Hall, Noor Inayat e Joséphine Baker, esercitando, anche dopo il conflitto, ruoli di sempre maggiore responsabilità, fino ad arrivare all’apice prima con Stella Rimington, la capa degli 007 reali, alla testa dell’MI5 britannico, e con Gina Haspel, da poco nominata capo della Cia, la più potente organizzazione di intelligence al mondo.


Lavinia Giampiccolo

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