di LIVIA SERLUPI CRESCENZI –
E’ già passato qualche giorno dall’8 marzo, Festa della Donna, ma l’Europa non si ferma e fa sentire nuovamente la sua voce, come ormai fa già da qualche anno, in materia di parità di genere con politiche mirate a sensibilizzare l’opinione pubblica. Il grande tema che affligge ancora il mondo occidentale non esclude nessuno tra i paesi che oggi devono trovare le risorse per superare una crisi economica difficile e che richiede risoluzioni impegnative e responsabili. Nell’Unione Europea, infatti, le donne continuano a guadagnare in media il 16,4 per cento in meno degli uomini, secondo i dati pubblicati dalla Commissione europea in occasione della Giornata europea per la parità retributiva.
I giorni trascorsi dall’inizio dell’anno ad oggi sono quelli che una donna deve lavorare in più rispetto agli uomini. “La giornata europea per la parità retributiva ci ricorda il numero di giorni e di ore di lavoro femminile non remunerato trascorsi dal 1° gennaio – spiega Viviane Reding, commissaria europea per la giustizia e vicepresidente della Commissione – Il principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro – continua Rending – esiste nei trattati dell’Unione fin dal 1957 e sarebbe ora di farlo valere ovunque”. Nonostante una leggera tendenza al ribasso rispetto al 17% di divario retributivo medio registrato nell’Unione negli anni passati, la differenza media nella retribuzione oraria lorda fra donne e uomini sull’insieme dell’economia è ancora molto elevato. Le misure adottate dalla commissione per sensibilizzare le imprese su questo tema sono molteplici, tra queste vi sono campagne di formazione per le aziende, un video clip, un sito web e saranno organizzati una serie di eventi nazionali in vari Stati membri UE per diffondere informazioni sulle discriminazioni salariali. La Germania poi, nel 2009, ha lanciato un software, il Logib-D, per permettere alle aziende di monitorare, al loro interno, gli scarti salariali uomo-donna.
Tuttavia, le asimmetrie fondate sul genere esistenti nel mercato del lavoro in termini retributivi riflettono un fenomeno dirompente anche sotto altri aspetti significativi come la presenza delle donne nelle posizioni apicali di aziende, della pubblica amministrazione e della politica. Secondo i dati della Commissione, solo uno su sette tra i membri dell’organo di amministrazione delle migliori aziende europee sul mercato è una donna (13,7%), con un lieve miglioramento rispetto al 2010 quando rappresentavano l’11,8% del totale. “Di questo passo – ha però sottolineato ancora il Commissario per la giustizia Reding – ci vorranno più di 40 anni per raggiungere un accettabile equilibrio tra i sessi (almeno il 40% per entrambi i sessi)”. Su mille leader di imprese come dirigenti di piccole aziende, direttori o funzionari quadro, lo studio evidenzia una disparità notevole esistente su 34 paesi tra cui i 27 Stati membri. Quindi anche la Croazia, l’Islanda, la ex Repubblica Iugoslava di Macedonia, la Turchia, la Serbia, il Liechtenstein e la Norvegia. Infatti, sulla totalità dei paesi il 71% di uomini occupano livelli apicali di impiego rispetto al 29% di donne. I dati evidenziano, altresì, un’importante disparità di genere per l’accesso ai livelli apicali di occupazione anche per le grandi aziende quotate in borsa esistenti nei vari paesi analizzati. In Finlandia, ad esempio, le donne rappresentano il 27% dei componenti dei consigli di amministrazione, in Lettonia rappresentano il 26% del totale ma arriviamo al 3% a Malta, al 4% a Cipro senza tralasciare la posizione dell’Italia con il suo miserrimo 6%.
Alcuni Stati membri hanno recepito le raccomandazioni europee e sono state approvate normative in materia di parità di accesso femminile agli organi di amministrazione e controllo delle società quotate. In Italia, ad esempio, il 28 giugno 2011, è stata approvata una legge che introduce la cosiddetta quota rosa e prevede il raggiungimento nel 2015 di 1/3 di donne nei consigli di amministrazione e dei sindaci delle società quotate in borsa.
Donne e uomini nei consigli delle più grandi società quotate, gennaio 2012
Avere più donne in posti di lavoro apicali significa contribuire a creare un ambiente di lavoro più produttivo e innovativo e a migliorare la performance aziendale complessiva, rafforzando oltretutto la competitività. Le donne rappresentano il 60% dei nuovi laureati e aprire le porte a posizioni di alto livello diventa un incentivo per le donne non solo ad accedere ma anche a restare nel mercato del lavoro, contribuendo così ad aumentare i tassi di occupazione femminile ed utilizzando il potenziale delle donne come risorsa di crescita. “Se vogliamo raggiungere l’obiettivo fissato da Strategia per l’Europa 2020, la strategia di crescita dell’UE, e aumentare il tasso di occupazione per donne e uomini di età compresa tra i 20 e i 64 anni al 75% abbiamo bisogno di fare della diversità di genere una risorsa di crescita” ha ancora sottolineato il vicepresidente della Commissione Viviane Reding.
Una delle iniziative avviate dal Presidente José Manuel Barroso e dalla vicepresidente Reding nel marzo 2010 è stata la Carta europea delle donne. La commissione ha poi, nel 2010, adottato una strategia per l’uguaglianza di genere per i prossimi cinque anni con l’obiettivo di migliorare lo stato delle donne nel mercato del lavoro. Per quest’anno la Commissione annuncia una proposta legislativa finalizzata a migliorare l’equilibrio di genere nelle società quotate in borsa. Tra le importanti iniziative del vicepresidente Reding, inoltre, vi è anche il documento del marzo 2011 che ha invitato le imprese europee ad aumentare volontariamente la presenza delle donne nei consigli aziendali con la firma dell’Appello per le donne nei consigli d’amministrazione d’Europa – “Women on the Board Pledge for Europe”. La aziende infatti, con la firma di quest’impegno, avrebbero aumentato la rappresentanza femminile nei consigli del 30% entro il 2015 e del 40% entro il 2020. Tuttavia, nel corso degli ultimi 12 mesi, solo 24 aziende in tutta Europa hanno firmato l’impegno. Ma oggi, la Commissione sta invitando il pubblico, le singole imprese, le parti sociali, le ONG interessate e i cittadini a suggerire e commentare il tipo di misure che la UE dovrebbe adottare per affrontare la mancanza di diversità di genere nei consigli di amministrazione. La consultazione pubblica sarà aperta fino al 28 maggio 2012.
Livia Serlupi Crescenzi
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