Un commiato semplice, asciutto, come una “breve” dell’Ansa, per un gigante del giornalismo italiano: “Ieri è morto all’età di 102 anni Sergio Lepri, giornalista, Cavaliere di Gran Croce, partigiano 1943 – 1945”. Il necrologio lo aveva preparato lui stesso e lo hanno pubblicato il 22 gennaio i figli Stefano, Paolo e Maria Maddalena aggiungendo solo che le ceneri sarebbero state deposte nel cimitero fiorentino di San Miniato al Monte, accanto a quelle dell’amatissima moglie Laura, morta nel giugno 2011.
Voleva uscire di scena in punta di piedi il nostro mitico direttore, ma avrebbe così tolto agli amici, ai colleghi, ai suoi studenti, la possibilità di rendergli omaggio e di salutarlo per l’ultima volta. Così, in poche ore è stata allestita una camera ardente nella Sala della Protomoteca in Campidoglio: al centro la bara coperta con la bandiera dell’ANPI, l’associazione nazionale partigiani d’Italia, appoggiata sulla bandiera la targa donatagli dal circolo Ansa per i suoi 100 anni. Più indietro una bella foto di Sergio a Cortina d’Ampezzo che anche in tarda età lo ha visto camminare sui sentieri delle Dolomiti. Oltre al tennis (che ha praticato fino al 2015), la roccia e lo sci di fondo erano gli sport che, insieme alle lunghe passeggiate romane, lo aiutavano a tenere in gran forma il corpo e la mente.
Fino alla tarda età ha scritto e raccolto documenti per il suo sito www.sergiolepri.it che è stata ed è una miniera d’oro per tutti coloro che fanno giornalismo e comunicazione e per chiunque voglia – come recita il titolo di uno dei sui libri di successo – “Scrivere bene e farsi capire”, pubblicato nel 1988 da Gutenberg 2000. Quel sito è un tesoro da proteggere e far vivere a lungo anche per la quantità di documenti e stimoli culturali che ”con estrema generosità – come ha scritto Mario Nanni – regalava ai lettori: narrazioni storiche, pagine di grande giornalismo e consigli di stile e di linguaggio”.
Sabato 22 gennaio, in quella grande sala del Campidoglio, i figli Stefano, Paolo e Maria mi hanno confermato non solo che il sito, curato tecnicamente da un parente fiorentino, resterà in piedi, ma che uno dei documenti più preziosi che contiene, il libro on line “1943”, è stato messo al sicuro e salvato a parte con un accurato back-up.
Proprio al disastro del 1943, in Italia, Lepri ha dedicato la sua ultima testimonianza, quella che apre il libro “Pezzi di Storia” (Istimedia edizioni), uscito in settembre, che ho curato insieme a Stefano Polli, vicedirettore dell’Ansa. Un pezzo che contiene dettagli importanti su quello che accadde nella notte tra il 10 e l’11 agosto a Palazzo Manni, a Orte, quando si tentò di avviare una comunicazione – poi rivelatasi furbesca e improduttiva – sul cambio di alleanze dell’Italia. Lui c’era, da semplice sergente che spostava le bandierine su una grande carta geografica. E capì. Ma la comunicazione si inceppò e così si arrivò al disastro dell’8 settembre frutto di “ignoranza, silenzi, sotterfugi, false iniziative, bugie, stupide furbizie”, ha scritto Lepri.
In precedenza, l’ultimo libro Sergio Lepri l’aveva scritto nel 2014, a 95 anni, con Ettore Bernabei (93 anni): “Permesso, grazie, scusi. Dialogo fra un cattolico fervente (Ettore) e un laico impenitente (Sergio)”.
Per molti anni, dal 1986 al 2004, Lepri è stato docente di “Linguaggio dell’informazione” nella scuola di giornalismo della Luiss, ma ha tenuto indimenticabili lezioni anche alla Lumsa, ai miei studenti del Master di Giornalismo. Lo andavo a prendere a casa e lo riportavo dopo la lezione: e anche quei minuti in macchina erano un regalo a chi, come me, insegnava il mestiere ai giovani futuri giornalisti, ma non finiva mai da imparare da lui, “un maestro di vita, prima ancora che di giornalismo”, come ha scritto Giorgio Mendicini su Facebook.
La rete, in quei giorni, è stata la piazza virtuale nella quale tutti abbiamo postato i nostri messaggi di addio al “direttore”; tutti d’accordo con quello che ha scritto Marcello Cambi, un amico e collega, fiorentino come Lepri: “I tuoi insegnamenti e la tua competenza ci ispirano ancora oggi nelle nostre vite professionali e personali”.