Comunicazione  pubblica per un pubblico che non è più quello che era. Oggi (24 giugno 2022) in occasione dell’incontro “Comunicazione pubblica e istituzionale. diritto fondamentale nella traiettoria europea” ho sentito molti interventi su un segmento del mondo della comunicazione che non è proprio il mio.  Ma pur sempre si tratta di fiducia e di infrastruttura.

Viviamo un momento in cui le infrastrutture tecnologiche e mentali divergono, e non voglio dire che siano apertamente in conflitto,  ma determinano incertezza nell’uomo.

Il linguaggio che usiamo adesso per condividere informazione  è indebolito dall’interferenza  della trasformazione digitale perché lo ignora. Non è il suo problema. L’algoritmo, il digitale non parlano.

Anche se il fatto di avere a disposizione tutte le traduzioni del mondo ci farebbe immaginare che la macchina parla, ebbene, no non è vero. La macchina traduce senza sapere di cosa parla.

Il senso, come ho già proposto in altri contesti, è una parola  che ha diversi significati. Il digitale la impoverisce di due significati importanti che implicano l’interpretazione e il sentire dentro.

L’algoritmo le lascia solo la direzione perché è una sequenza di direzioni, non voglio demonizzare ma siamo al cambiamento epocale della nostra esperienza come umani perché l’indebolimento del linguaggio significa rendere più difficile il fare senso.

La tv e la radio erano mondi fondati sulla condivisione, si dava un senso ad uno spazio pubblico condiviso. La comunicazione della Pubblica amministrazione è parte di questo spazio, ma il digitale con i social media e le fake news stanno cambiando il senso anche di questa comunicazione facendo crescere la divisione sociale. Siamo in un mondo più difficile da gestire perché lo spazio pubblico è frammentato, e lo spazio privato, dono della scrittura è invaso dagli algoritmi che ci fanno scambiare molte cose che a volte non sono pertinenti.

Post verità significa che la verità non ha più le sue basi, ciascuno di noi può prendere la parola, non importate il suo grado di istruzione, questo contesto ci riporta in un’era di oralità pericolosissima perché velocissima.

La scrittura rallenta perché ti obbliga a riflettere. Oggi con il digitale si diffonde tutto all’istante, quando questo contesto si è presentato per la radio, abbiamo visto cosa è successo: la guerra mondiale.

Non c’ è limite alla diffusione delle notizie ma il punto è che non c’è educazione che dona  resistenza. Ecco che la fake news diventa la norma.

Come fare a mettere un po’ di ordine in questa situazione?

La trasformazione digitale gemella, duplica dà una condizione di cognizione alla materia.

Duplica i motori, le città per avere un controllo più veloce. Ora stiamo andando verso la duplicazione della persona.

E poi arriva il Metaverso che duplica la vita quotidiana, c’è chi pensa solo a farci soldi. Un giocattolo che però non bisogna sottovalutare, ed allora usiamo queste tecnologie per dare servizi. E  invece di Metaverso parliamo di Metacity, utile per creare un doppio al cittadino ed alla sua vita in rapporto alla PA. Chiedo che sia possibile attraverso la tecnologia di dare accesso ad ognuno di noi alle decisioni sulla vita dentro la città per negoziare ogni cosa. Quale è l’opera d’arte da mettere del parco, come organizzare una festa, una scuola e tanto altro. Dando voce a chi la vuole significa che la tecnologia può creare coinvolgimento,  partecipazione, senza l’obbligo di presenza fisica.

Invito i comunicatori pubblici a pianificare  un genere di comunicazione per il territorio che sostiene il processo democratico e che vuole rinnovare il contratto sociale. Salviamo così la democrazia dal digitale, perché al digitale non interessa la democrazia che è venuta dall’alfabeto e dalla Grecia. Noi vogliamo essere autodeterminati e nel futuro lo saremo ancora? Proteggere la persona  è fondamentale.

Ricostruire l’agorà greca per la comunicazione pubblica in questo contesto dovrebbe essere prioritario.

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Derrick de Kerckhove
Direttore scientifico di Media Duemila e Osservatorio TuttiMedia. Visiting professor al Politecnico di Milano. Ha diretto dal 1983 al 2008 il McLuhan Program in Culture & Technology dell'Università di Toronto. È autore di "La pelle della cultura e dell'intelligenza connessa" ("The Skin of Culture and Connected Intelligence"). Già docente presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II dove è stato titolare degli insegnamenti di "Sociologia della cultura digitale" e di "Marketing e nuovi media".