Guy Caruso analizza le ripercussioni delle rivolte sulla geopolitica petrolifera.
Per l’esperto del Center for Strategic & International Studies se le economie in via di sviluppo continueranno a crescere, si otterranno i prezzi previsti dall’OPEC, da 125 a 150 dollari a barile

Mentre la Primavera araba entra nel suo secondo anno, Guy Caruso del Centro per gli Studi Strategici e Internazionali dà uno sguardo a come le sommosse civili in Medio Oriente si stanno ripercuotendo sulla geopolitica del petrolio. Caruso fa un’analisi di come il prezzo del petrolio potrebbe influire sul trattamento che gli Stati produttori di petrolio riservano ai loro vicini. Tuttavia, Caruso intravede altri maggiori cambiamenti nel futuro del petrolio nel mondo, incluso il repentino emergere di nuove tecnologie energetiche nel Nord America e l’aumento del consumo del petrolio nei Paesi in via di sviluppo. Egli è convinto che il mercato del petrolio stia vivendo uno dei suoi più significativi cambiamenti degli ultimi decenni.

Qual è l’impatto della lunga Primavera araba sugli interessi sul petrolio e sui paesi produttori di petrolio in Medio Oriente?
L’impatto più evidente sui mercati petroliferi è stato quello prodotto dalla Libia. La Libia è l’unico paese che abbia ritirato i barili dal mercato a seguito della rivoluzione. L’incertezza principale è relativa alle conseguenze di tutto questo. Anche se non si è estesa ai principali produttori del Golfo, è chiaro che la Primavera stia influenzando il loro atteggiamento. Ad esempio, il re Abdullah sta spingendo sulla riforma politica in Arabia Saudita. La Primavera sta trasformando la mentalità delle popolazioni dei paesi arabi. Con il social media Al-Jazeera non ci sono più segreti. Anche nei Paesi che non sono stati interessati da tali eventi alcuni giovani dichiarano che “è giunto il momento di cambiare”. Non credo che il fatto che si tratti di qualcosa di più ampio di un movimento populista – e che, dal punto di vista della comunicazione tra tutti i cittadini, sia un evento maggiormente diffuso – possa ripercuotersi, nel lungo periodo, sul cambiamento politico in gran parte del mondo arabo. Ciò comporterà un più ampio cambiamento politico nel Golfo? Non sappiamo cosa succederà in Siria. Si teme che in futuro vi possano essere delle ripercussioni sui Paesi del golfo.


Cosa comporterà per l’economia dell’industria petrolifera?

Non è affatto facile dirlo. Fino a quando i prezzi del petrolio resteranno relativamente elevati, grazie alle entrate che avranno a disposizione, per questi governi sarà più facile riuscire a mantenere sufficientemente soddisfatti i propri cittadini. La vera cartina tornasole sarà un eventuale periodo di flessione dei prezzi, il quale renderà più difficoltosa la diffusione delle ricchezze. I paesi che hanno riscontrato più problemi sono quelli in cui la ricchezza non ha raggiunto livelli ottimali, come ad esempio Egitto, Siria, Tunisia, e la Libia, per via delle modalità di distribuzione delle ricchezze da parte di Gheddafi. Prezzi del petrolio relativamente alti rendono in un certo modo più facile il mantenimento della pace da parte dei paesi con elevate riserve ed elevate entrate derivanti dal petrolio. Vi è un limite. Vi sono anche le aspirazioni personali dei cittadini che vedono cosa sta accadendo, e quindi si assisterà ad una corsa piuttosto interessante.

Quanto hanno influito direttamente sul prezzo del petrolio le sommosse e il conflitto continuo?
Hanno avuto alcune ripercussioni. Fatta eccezione per la Libia, è difficile fare una stima esatta, ma probabilmente, senza i disordini avvenuti in Libia, per il 2011 avremmo registrato un aumento del prezzo di 5-10 dollari. Col passare del tempo, i fattori trainanti dei prezzi del petrolio sono i solidi fondamentali della domanda, le capacità inutilizzate relativamente limitate e le incertezze relative all’Iran. Con molta probabilità nel 2012 vi sarà un ulteriore aumento di 10-15 dollari per barile, imputabile all’incertezza e alle maggiori tensioni geopolitiche.

Se fosse il Presidente degli Stati Uniti o il Presidente della Francia e il suo paese si trovasse in una fase di recessione più o meno grave, come valuterebbe il modo in cui i prezzi futuri del petrolio potrebbero influire sulla sua situazione economica?
Questo è di certo molto importante per i paesi in via di sviluppo. Per alcuni paesi le proiezioni per il 2012 indicano una crescita molto lenta o pari a zero. Nel breve periodo ben pochi paesi consumatori potranno fare a meno di ricorrere ai propri abbassamenti coordinati delle riserve come nel 2011 in risposta ai disordini libici. Se i prezzi continueranno a salire, a mio avviso fino a raggiungere un prezzo di circa 130 dollari per il Brent, i paesi consumatori dovranno seriamente prendere in considerazione un’ulteriore riduzione delle riserve: immettere più petrolio sul mercato e far calmare le acque, anche in assenza di disordini in Iran. I leader politici, in particolare quelli che aspirano alla rielezione come Obama e Sarkozy, cercheranno di rallentare il rapido aumento dei prezzi.

Quanto ha influito la recessione sui paesi produttori di petrolio?
Nel 2009 vi è stato sia un calo della produzione che della domanda, quindi si è registrata una flessione delle entrate prodotte dal petrolio. Tuttavia il 2010 ha fatto registrare una ripresa e il 2011 è stato un buon anno per i produttori per via dell’aumento dei prezzi e della ripresa della domanda. Credo che il 2012 e il 2013 possano essere anni altrettanto buoni per i paesi OPEC, con prezzi più alti e una maggiore domanda. Nonostante la recessione dell’UE e la lenta crescita degli USA, i principali fattori trainanti restano le economie emergenti quali ad esempio la Cina e l’India. Lo stesso Medio Oriente sta crescendo così come la relativa domanda. Nel medio e breve termine i paesi produttori potranno aspettarsi profitti maggiori.

Come hanno influito le altre principali fonti di energia sui produttori mediorientali?
Il Presidente Obama ha basato la sua campagna sulla trasformazione dai combustibili fossili all’energia alternativa, sulle rinnovabili e sul miglioramento dell’efficienza energetica. Ci si è mossi in quella direzione al fine di sostenere tutto ciò nei primi tre anni di mandato, ma credo che nella campagna 2012 di Obama si sia ammesso che si tratta di una trasformazione che richiede molto tempo, probabilmente decenni. Lo ha anche affermato nei suoi recenti discorsi. Non esiste una cura miracolosa. Si ammette che la trasformazione dai combustibili fossili alle energie alternative è un processo lungo decenni e che richiederà un grande sforzo sia economico che di cambiamento mentale per ottenere un risultato.

Crede che gli USA lo otterranno?
Alla fine sì. Probabilmente trascorreranno due o tre decenni prima di vedere un cambiamento significativo nella trasformazione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili.
In che modo crede che i Paesi e le società che producono petrolio dovrebbero adeguarsi? Finora ha parlato soltanto della prossima generazione.
La principale strategia dei Paesi produttori di petrolio sarà quella di concentrarsi sulle economie emergenti. La trasformazione di cui stiamo parlando inizierà dai paesi sviluppati e si sposterà gradualmente verso la Cina e altri Paesi. Probabilmente tali Paesi attraverseranno un forte periodo di crescita e continueranno a richiedere combustibili fossili, in particolare nel settore dei trasporti. Vi sarà sempre un mercato per le grandi quantità di petrolio provenienti dall’Arabia Saudita e dall’Iran, paesi con grandi riserve a un basso costo. Tuttavia i prezzi potrebbero tornare a scendere in termini reali in un periodo di 20-30 anni.

A suo avviso quale sarà l’impatto delle nuove tecnologie per l’estrazione di petrolio e gas sull’economia del petrolio?
L’applicazione di tali tecnologie, quali ad esempio la trivellazione orizzontale e l’idrofratturazione, rappresenta probabilmente lo sviluppo più significativo dell’industria petrolifera da cinquant’anni a questa parte. Per gli USA e il Nord America, ciò comporta una dipendenza sempre minore dalle importazioni di petrolio nella regione. In effetti, si prevede che entro il 2025, se non prima, il Nord America (USA, Canada e Messico) importerà ben poco, su base netta, dai paesi esterni alla regione. Tuttavia allo stesso tempo si assisterà a un consistente spostamento della domanda non solo verso l’Asia, ma ci si aspetta che anche le economie emergenti dell’Africa e dell’America del Sud possano mostrare una crescita piuttosto significativa della domanda. Si parla molto del cambiamento del panorama politico, e si tratta dell’aspetto principale. Venti anni fa si parlava della sicurezza energetica nel Golfo Persico per via della “guerra delle petroliere”, e due terzi del petrolio proveniente dal Golfo era diretto verso destra, in Europa e in Nord America. Oggi è diretto a sinistra, verso l’Asia. Questa tendenza persisterà. Non passerà molto tempo prima che gran parte del petrolio proveniente dallo Stretto di Hormuz si diriga verso l’Asia.

I paesi in via di sviluppo potranno pagare un prezzo alto quanto quello del mondo in via di sviluppo, o l’ingente quantità necessaria nei paesi in via di sviluppo comporterà una riduzione dei prezzi?
Si tratta di una domanda da 64 milioni di dollari. Vi è in ogni caso un mercato globale e tutti pagano lo stesso prezzo. Non possiamo isolarci come abbiamo fatto negli anni ’50. Anche se gli Stati Uniti e il Nord America non importassero petrolio dal Golfo, pagherebbero lo stesso prezzo della Cina. I paesi produttori dovrebbero essere in grado di ottenere lo stesso prezzo dai paesi in via di sviluppo e dai paesi sviluppati. Su ciò potrebbe unicamente influire la diffusione di questa nuova tecnologia e il fatto che si ottenga una nuova capacità sufficiente attraverso l’idrofratturazione, vale a dire le formazioni di petrolio greggio leggero in USA e Canada. Al momento si assiste ad un mercato completamente diverso. È possibile che fra 10 o 15 anni si assisterà a nuove forniture derivanti dal petrolio greggio leggero negli USA, in Canada e forse in altri paesi, unitamente all’estrazione in profondità in Brasile e Angola. Non ci vuole molto alla fine. Si tratta di una buona notizia che potrebbe portare a uno scenario in cui si potrebbero ottenere prezzi effettivi più contenuti nel lunghissimo periodo. Ciò che crea problemi è la normale curva di calo del petrolio in questi settori maturi, ma si tratta di un fatto geologico. Quasi sempre si raggiunge un picco e successivamente una flessione. Oggigiorno abbiamo sviluppato tecnologie mirate all’estrazione di petrolio non convenzionale che non avremmo mai potuto immaginare (petrolio greggio leggero e gas di scisto, idrofratturazione e trivellazione in profondità). Si tratta di tecnologie del tutto straordinarie che possono contribuire in modo positivo. Tuttavia, si dovrà continuare a porre rimedio alle curve di calo dei settori petroliferi maturi?

A suo avviso, quali altri fattori non evidenti potrebbero influire sull’economia del petrolio nei prossimi 10-20 anni?
Nei prossimi 20 anni è principalmente quello che succederà relativamente alle economie emergenti. Se queste continueranno a crescere in modo ragionevolmente sostenuto si otterranno i prezzi previsti dall’OPEC (da 125 a 150 dollari a barile). Uno degli aspetti che tendiamo a sottovalutare è la capacità dei paesi di utilizzare l’energia in modo più efficiente, e al momento stiamo notando che paesi come la Cina e alcune delle economie emergenti iniziano ad essere in grado di produrre un PIL maggiore con meno energia. Gli USA hanno raggiunto tale risultato in modo progressivo fin dal 1975. Stiamo utilizzando meno della metà dell’energia per unità di PIL rispetto a 35 anni fa. Qualcosa di simile potrebbe accadere nei paesi emergenti e potrebbe fare la differenza dal punto di vista della domanda. Per l’OCSE o per i paesi sviluppati si tratta essenzialmente di una buona notizia. L’aspetto negativo è che ciò rispecchia il passaggio relativamente significativo dagli usi industriali ai servizi di fabbricazione. L’ammontare di energia utilizzata nel settore dei servizi per dollaro del PIL è alquanto inferiore rispetto al settore manifatturiero e si è spostato verso paesi come la Cina, l’India e il Messico. Tutto ciò ha spostato il problema. Ciò che potrebbe cambiare le cose per i paesi produttori è una crescita globale più lenta in quanto i paesi in via di sviluppo crescerebbero più lentamente. Questo è l’aspetto più importante, se l’economia globale resterà ragionevolmente forte.

di Molly Moore
media2000@tin.it

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